Mistero Emanuela Orlandi: caso in Parlamento con una commissione d’inchiesta…

di Pino Nicotri
Pubblicato il 14 Ottobre 2017 - 06:53 OLTRE 6 MESI FA
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Mistero Emanuela Orlandi: caso in Parlamento con una commissione d’inchiesta…

ROMA – Il mistero Orlandi sbarca in Parlamento e c’è chi vuole fargli mettere radici con una apposita commissione d’inchiesta. Il cui fine neppure troppo nascosto è mettere sotto accusa e delegittimare i magistrati che hanno finalmente archiviato le inchieste giudiziarie dopo decenni di inutili e costose indagini in tutte le direzioni, anche le più assurde.  Archiviazione confermata anche in Cassazione. Ma andiamo per ordine.

Il primo a fare arrivare in parlamento la scomparsa di Emanuela Orlandi è stato Walter Veltroni nel gennaio 2012 con un’interrogazione parlamentare e successivo battibecco a marzo con l’allora ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Veltroni si spese in discorsi imbottiti più che altro di retorica, con l’immancabile riferimento al “mistero” della morte di Pierpaolo Pasolini. Mistero peraltro inesistente perché chiarito ad abundantiam, ma vecchia fissazione dello stesso Veltroni.

Veltroni in parlamento si spese anche in richieste di accertamenti e in assicurazioni di “svolte nelle indagini” rivelatesi grottesche, con  conseguenti richieste, assurde e poco cristiane, sulla tomba del “rapitore” Enrico De Pedis nel sotterraneo della basilica di S.Apollinare. Sotterraneo peraltro sconsacrato, ma sempre fatto passare come interno alla chiesa e quindi come terreno sacro violato dal sacrilegio di quella sepoltura, indagata in lungo e in largo dalla magistratura senza che risultassero irregolarità di sorta. Risultato: tanta pubblicità a buon mercato per Veltroni, ma sonore smentite dai fatti accertati non solo dalla magistratura.

Ora a farsi pubblicità utilizzando il mistero Orlandi è il turno dell’intero Movimento 5 Stelle, in cerca di voti facili e rielezioni alla prossima chiamata alle urne. Il portavoce del movimento, senatore Vincenzo Santangelo, il 13 agosto, cioè in piene vacanze estive, sulla sua pagina Facebook tra le migliaia di persone scomparse in Italia dal 1983 ad oggi ha improvvisamente voluto ricordare chissà perché proprio Emanuela Orlandi:

“Oggi voglio ricordare il caso di Emanuela Orlandi, nonostante si faccia molto per dimenticarlo”.

Dopodiché il senatore ha annunciato l’intenzione di chiedere già a settembre

“l’istituzione di una Commissione d’inchiesta parlamentare”.

Una commissione del tipo, per intenderci, di quella che da decenni continua a pestare acqua nel mortaio del “mistero” del rapimento e uccisione dell’onorevole Aldo Moro, “mistero” peraltro chiarito da tempo in tutti i suoi aspetti. Ma tant’è…. Finché c’è sospetto c’è speranza, anche se non si sa bene di cosa oltre che di un po’ di pubblicità per se stessi.

Ma cosa dovrebbe fare la commissione? Semplice: dovrebbe capire se

“Uno Stato può spendere tanti soldi pubblici per 34 anni di indagini senza scoprire nulla”.

Il senatore premette che:

“Emanuela Orlandi era (è? era? ancora non è dato saperlo) una ragazza, quindicenne, cittadina vaticana, scomparsa nel nulla trentaquattro anni fa, divenuta, suo malgrado, il caso emblematico di come si possa essere sottratti alla propria vita, e, con ampi margini possibilità, cancellati dalla terra, senza che nessuno acceda alla verità sulla propria sorte”.

L’espressione  “propria sorte” è sbagliata,  perché quel “propria” secondo la grammatica italiana si riferisce alla sorte di chi cerca la verità e non a quella della persona scomparsa, grammatica che un senatore della Repubblica dovrebbe conoscere bene. Ma tralasciamo e proseguiamo con le parole di Santangelo:

“Per lei, infatti, nessuna verità, né storica, né processuale. Lo Stato non è riuscito a dare risposte alla sua famiglia nonostante 34 anni [di] indagini, terminate con l’archiviazione. […….]. Il caso Orlandi è un simbolo di malagiustizia. Comprendere perché il sistema si sia così gravemente inceppato in questa vicenda giudiziaria, dai contorni paradossali, vuol dire dare una speranza anche a tutti gli scomparsi, tantissimi in Italia, che attendono di essere ritrovati, anche solo nella verità circa i loro destino”.

Già da queste parole si comprendono bene due cose:
– la commissione dovrà bastonare e delegittimare i magistrati che hanno fatto il proprio dovere;
– il senatore Santangelo del caso Orlandi, da lui scoperto in piena caldana agostana e annesse vacanze, non sa nulla. Se ne sapesse qualcosa saprebbe bene che lo Stato non è riuscito ad afferrare la verità non perché la magistratura non lo abbia voluto, ma perché è stata spintonata da più parti a occuparsi delle piste più incredibili e surreali: a partire dal rapimento “politico”, per scambiare la liberazione di Emanuela con quella dell’ergastolano Ali Agca condannato per avere sparato a papa Wojtyla nell’81, per proseguire con la pista del rapimento malavitoso – lanciata nel settembre 2005 e ribadita per anni da Federica Sciarelli a “Chi l’ha visto?” – realizzato dalla Banda della Magliana e da De Pedis per farsi restituire “i soldi prestati a Papa Wojtyla per la sua lotta al comunismo”, e a finire col “rapimento consenziente” sbandierato dal fotografo romano Marco Fassoni Accetti. Con nel mezzo decine di altre piste, le più scombinate e fasulle.

L’ultima pista, vecchia come il cucco, ma rilanciata con il “clamoroso dossier” rifilato al giornalista Emiliano Fittipaldi, è quella di Emanuela allontanata dall’Italia per volontà del Vaticano. Volontà dovuta a non si sa quale motivo, ma comunque supposto come torbido. Pista abbracciata con ferrea convinzione, come tutte le altre precedenti benché tra loro inconciliabili, da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela che da qualche tempo giura sull’esistenza del “dossier segreto”. Tanto che ha incaricato lo studio dell’avvocato Annamaria Bernardini De Pace, specializzato nel diritto di famiglia, perché costringa il Vaticano a renderlo noto. Un mistero nel mistero è come si concili questa ennesima pista di Emanuela viva chissà dove con la nomina, annunciata nel gennaio 2015 dal Curatore di Giustizia del Vaticano, avvocato Gian Piero Milano, di un “curatore” incaricato di mettere assieme quanto necessario per la dichiarazione di morte presunta della stessa Emanuela. Dichiarazione necessaria per la spartizione di eventuali eredità di congiunti, come per esempio quella della zia Anna morta nel novembre 2011. Un mistero nel mistero, ma tant’è…

La richiesta di commissione parlamentare d’inchiesta promessa per settembre da Santangelo è stata però rimandata a ottobre. A settembre infatti silenzio assoluto, ed ecco che per martedì 17 ottobre è stata convocata nella sala Nassirya del Senato una conferenza stampa annunciata al grido di “Caso Emanuela Orlandi. Vogliamo la verità”.

Slogan che campeggia come titolo nel testo degli inviti, ma disinvoltamente copiato da una pagina Facebook molto detestata da Pietro Orlandi perché ha sempre implacabilmente smontato tutte le ”rivelazioni” man mano buttate in scena e dallo stesso Orlandi sempre avvalorate.

Strano o un po’ sospetto che il senatore Santangelo non si renda conto che così lo Stato italiano dopo avere buttato via un sacco di quattrini in 34 anni di indagini in tutte le direzioni, e di innumerevoli puntate televisive della Rai, sarà costretto a buttar via ancora per chissà quanto tempo altri quattrini. Con tre soli risultati prevedibili se non certi:

– neanche un passo avanti verso la tanto reclamata verità. Anzi, semmai altra confusione apportata da chissà quanti altri “supertestimoni” che busseranno immancabilmente alla porta della commissione d’inchiesta;
– altra pubblicità per i soliti noti e, d’ora in poi, anche per il senatore Santangelo e il suo Movimento;
– sostituzione di indagini, fatti certi appurati e sentenze della magistratura con il chiacchiericcio, le maldicenze, le fissazioni e gli interessi personali di alcuni. Per sostituire cioè in definitiva alla magistratura e ai processi giudiziari lo spettacolo, l’intrattenimento e i processi televisivi: vale a dire, sostituire la certezza del diritto col capriccio della ribalta.

La presenza della Sciarelli, responsabile dei non pochi passi falsi di CLV proprio sul caso Orlandi, è emblematica: serve al senatore per garantirsi un po’ di pubblicità e può essere utile alla conduttrice per eventuali riposizionamenti in vista di possibili scivoloni elettorali dei suoi referenti politici nel PD. Il tutto, quanto di più lontano dal volere la verità sul mistero Orlandi.

The show musto go on: venghino, siori, venghino, avanti c’è posto. Però per martedì 17 ottobre l’annuncio della conferenza stampa specifica che “i posti sono limitati alla sola capienza della sala Nassyria e per gli uomini c’è l’obbligo di indossare giacca e cravatta”. Opperbacco!