Napolitano bis: appello per il fisco e il lavoro

di Pino Nicotri
Pubblicato il 21 Aprile 2013 - 06:59 OLTRE 6 MESI FA
giorgio napolitano

Napolitano: quasi come sul trono

Alla fine Giorgio Napolitano c’è riuscito. Per fortuna, si potrebbe aggiungere, data la situazione. Fin dal 18 luglio 2011, c’è chi ha cominciato a pensare che Giorgio Napolitano non disdegnasse affatto una sua eventuale rielezione a Presidente della Repubblica, vale a dire da quando ha cominciato a battere con largo successo il tasto della coesione nazionale.

Che è infatti lo stesso tasto battuto in questi giorni e che gli ha spianato la piazzola di sosta di altri sette anni al Quirinale. Nel 2011 la parola d’ordine “coesione nazionale” lanciata con insistenza da Napolitano ha permesso l’approvazione a tempo di record anche da parte della sinistra di una manovra finanziaria che ha spremuto ancor più gli italiani che non nuotano nell’oro e non evadono le tasse.

E con grande fiuto e tempismo Silvio Berlusconi sposò la linea della coesione nazionale in modo da poter restare capo del governo, almeno fino a quando la situazione finanziaria e il pressing europeo non costrinsero lo stesso Napolitano a far dimettere Berlusconi con una procedura forse non correttissima per insediare il governo “dei tecnici” di Mario Monti, che non ha dato eccelsa prova di sé.

La rielezione pressoché plebiscitaria di Napolitano fa sorridere delle parole pronunciate solo pochi giorni fa, l’11 aprile, dalla capogruppo M5S alla Camera, Roberta Lombardi:

“Da quello che ho visto del Presidente, penso che abbia diritto di godersi la sua vecchiaia e di fare il nonno”.

Frase sciocca alla quale il Presidente della Repubblica potrebbe replicare così: “Da quello che abbiamo visto della deputata Roberta Lombardi, penso che abbia il diritto di godersi la sua giovane età e far figli, fare la mamma e la casalinga”.

Fanno invece accapponare la pelle le parole “colpo di Stato!” e l’appello ai suoi elettori “Vi aspetto a milioni in piazza” lanciato da Beppe Grillo a irresponsabile commento della rielezione di Napolitano. Solo un ignorante o un dilettante allo sbaraglio può defnire colpo di Stato la rielezione da pare di una larghissima del Parlamento di chi già è Presidente della Repubblica.

Ora che Napolitano è stato rieletto, per fortuna data la situazione di sfilacciamento politico ed economico del Paese, bisogna però stare attenti che non usi di nuovo il tormentone della coesione nazionale, al quale ha aggiunto il nuovo mantra “responsabilità da parte di tutti”, per far continuare al prossimo nuovo Governo, ammesso che riescano a vararne uno, la politica del supplemento di spremitura di chi è già troppo spremuto.

In Italia la pressione fiscale è ormai a livelli decisamente insopportabili, è infatti arrivata alla media nazionale del 52% di ciò che ci entra in tasca. Ciò vuol dire che lavoriamo più di sei mesi l’anno non per noi e la nostra famiglia, ma per il fisco. Livello però non solo insopportabile, ma anche iniquo visto che i soldi delle nostre tasse non vengono usati in modo produttivo né per darci servizi pubblici decenti, che possano cioè reggere il paragone per esempio con quelli della Francia e della Germania.

Nel 2011 ho scritto che la “coesione nazionale” alla fin fine non era altro che la riedizione della “austerità” lanciata nel 1977 da Enrico Berlinguer, segretario generale di quel Partito Comunista Italiano del quale Napolitano capeggiava l’ala “migliorista”, come è noto non invisa a Berlusconi e alla sua Mediaset.

Poiché anche il ’77 era un anno di crisi, Berlinguer convinse i lavoratori e i suoi elettori ad accettare “l’austerità” senza recriminare, in cambio del riconoscimento, a parole, della “superiorità morale dei lavoratori” rispetto il resto della società. Parole rivelatesi chiacchiere, per il semplice motivo che la “superiorità morale dei lavoratori” che stringevano ancor più la cinghia non è stata affatto confermata da investimenti per rilanciare l’economia, la produzione e l’occupazione e migliorare in modo significativo le condizioni di lavoro e le prospettive del mondo giovanile.

La deriva iniziata allora ha infine portato man mano a quella serie di crisi e sfaldamenti di vario tipo che hanno provocato l’innamoramento di massa per suonatori di piffero come man mano sono stati Umberto Bossi, Silvio Berlusconi e oggi Beppe Grillo.

E nel frattempo abbiamo continuato ad avere l’incivile record europeo di morti sul lavoro: di morti cioè di quei lavoratori che pur essendo “moralmente superiori” sono stati trattati sempre più a pedate e pesci in faccia fino a renderli in prevalenza non più lavoratori, dotati cioè di figura e dignità professionale e quindi sociale, ma pura e semplice forza lavoro un tanto al chilo con contrattini cronicamente incerti quando non del tutto assenti.

Lo smantellamento del mondo del lavoro è iniziato, è bene ricordarlo, con le riforme del “pacchetto Treu”, varate dal ministro del Lavoro Tiziano Treu dei governi di Lamberto Dini e Romano Prodi. Il ministro della lacrimuccia e degli esodati Elsa Forero è arrivato dopo: 15 anni dopo.

Due parole infine per chi accecato dall’odio verso Berlusconi si straccia le vesti gridando contro l’ipotesi di un governo di larghe intese che comprenda il Pd e il Pdl.

Non ho mai amato Berlusconi, e sono sempre stato convinto che i guai italiani derivino dall’eccesso di tv e falsificazione della realtà da parte del business pubblicità che affliggono l’Italia. Tuttavia ai Marco Travaglio, Michele Santoro e affini bisogna ricordare che finita la seconda guerra mondiale, che provocò una caterva di morti e distruzioni, danni ben più gravi di qualunque cosa abbia combinato Berlusconi, fu lo stesso leader dei comunisti Palmiro Togliatti a volere quell’amnistia che evitò la galera, l’esilio e il licenziamento di milioni di italiani ex fascisti, o ancora fascisti nel cuore, e perfino ex repubblichini.

Non credo che migliorerebbe l’Italia riuscire a liberarci di Berlusconi, così come non è servito a nulla liberarci di Bettino Craxi fuggito in esilio all’estero pur di sottrasi alle manette, se noi italiani non ci guardiamo allo specchio e non ci decidiamo a migliorare davvero, Iniziando a investire sui giovani, che sono il futuro, non a chiacchiere o con programmi televisivi tipo Amici, l’Isola dei Famosi, ecc, o con il dilagare della moda griffata “ggiovane” compreso il turpiloquio, ma con investimento nella scuola, che forma il cittadino di domani, nell’Università e nella ricerca, che misurano il livello di cultura di una società civile, infine nell’ammodernamento tecnologico del mondo produttivo che crei posti di lavoro di qualità e certezza decorosi.

Tutto il resto è fuffa. Utile solo per correre a nuove elezioni.