Carlo Verdone, seconda serie di Vita da Carlo: Stefano Ambrogi, il “produttore cattivo”, parla del loro rapporto

Carlo Verdone ha girato la seconda serie di Vita da Carlo, 10 episodi da 30 minuti: Stefano Ambrogi, il "produttore cattivo", parla del loro rapporto

di Pino Nicotri
Pubblicato il 22 Dicembre 2022 - 09:34| Aggiornato il 23 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA
Carlo Verdone, seconda serie di Vita da Carlo: Stefano Ambrogi, il "produttore cattivo", parla del loro rapporto

Carlo Verdone, seconda serie di Vita da Carlo: Stefano Ambrogi, il “produttore cattivo”, parla del loro rapporto

Carlo Verdone finisce il 23 dicembre le 12 settimane di set della seconda serie di Vita da Carlo. Sono 10 episodi da 30 minuti l’uno, ricchi di spunti comici e a volte grotteschi.
 
Li vedremo nel corso del 2023 su Paramount+ in streaming anziché su Prime Video come invece la prima serie.
Nella prima serie Carlo Verdone era spinto da alcuni politici a candidarsi a sindaco di Roma. In questa invece il tema non è la politica, ma il vecchio desiderio di Verdone di fare un film d’autore, solo da regista. Per giunta centrandolo su un tema difficile: la sua relazione con Maria F., prostituta di via Panisperna conosciuta nel 1974, quando Verdone era ancora ragazzo e con Maria ha avuto i suoi primi turbamenti.
Vissuto le timidezze dell’età, le attese davanti al telefono e l’emozione di portarla in casa. Anche per mostrarle la splendida terrazza dell’appartamento dove viveva con i genitori: al civico 2 del Lungotevere dei Vallati, parallelo a Ponte Sisto.
Il ponte dove il giovanissimo Carlo bacia per la prima volta una ragazza e sul quale sua madre passa quasi ogni giorno per andare e tornare dalla scuola dove insegna.
Verdone la sua liaison con Maria l’ha già raccontata nel suo ultimo libro, La carezza della memoria, pubblicato l’anno scorso e scritto per mettere in qualche modo a frutto, anche guardandosi meglio dentro, la stasi imposta a tutti dall’epidemia del Covid.
In questa nuova serie di Vita da Carlo il regista vuole realizzare “un film profondo e delicato”, che però scatena le ire del produttore “perchè con la tenerezza non si ride”. E se non si ride al pubblico le cose non interessano.
 
I giornali che hanno parlato di questa nuova serie hanno fatto i nomi di protagonisti e guest star, dal cantante Sangiovanni, pseudonimo del vicentino Giovanni Pietro Damian, a Maria De Filippi, da Zlatan Ibrahimovic a Claudia Gerini e Gabriele Muccino, da Christian De Sica a Mita Medici e Stefania Rocca. Nessuno però ha fatto il nome di chi interpreta la parte, centrale, del produttore, il burbero e cattivo Ovidio Cantalupo, che bada al sodo, cioè al botteghino. A fare la parte del produttore cattivo non è uno sconosciuto di primo pelo, ma Stefano Ambrogi, classe 1960, curriculum di tutto rispetto.
 

La sua carriera di attore è cominciata con il teatro nei primi anni 90. Quanto è stato importante per la sua formazione l’incontro con Gigi Proietti?

Assolutamente fondamentale. Mi cimentavo nei teatri off di Roma. Pino Quartullo nel 1999 mi propose per il ruolo del macellaio, cattivo pure quello, nella commedia teatrale Dramma della gelosia. Il truccatore di Alighiero Noschese mi rese una specie di mostro. Al provino Gigi rise molto, e mi diede un buffetto sulla guancia: “Hai recitato talmente bene la parte del cattivo che t’avrei menato”. Con Gigi feci 40 giorni di prove, scaglionate con altri 20 attori. Poi nel 2002 venne il film Febbre da cavallo, con Gigi, Enrico Montesano e Catherine Spaak.
 

La sua carriera cinematografica è cominciata con un film di Carlo Verdone del 1998, Gallo cedrone.

Per Gallo cedrone andai più volte a Cinecittà dove sceglievano le comparse. Arrivai col mio curriculum.

Ore di attesa soto il sole… Anche se sei solo una comparsa, recitare con Verdone regista è una grande emozione, ti impegna, ti responsabilizza. Non mi pareva vero. Ero solo una comparsa, ma me la cavai bene.

Quanto è complesso per un attore emergente che viene dal teatro approdare oggi nel mondo del cinema?

Ho studiato recitazione dal 1986 al 1989 con la scuola “La Scaletta”, e nel teatro ho esordito nel ’92, anno in cui m’ero iscritto al collocamento. Il primo film con una parte non del tutto secondaria è arrivato nel 2000 con La Cabina, più che altro un cortometraggio. Ma avevo fatto col teatro otto anni di gavetta, avevo lavorato coi grandi, diretto da grandi. Il teatro è stato una palestra fantastica, spaziavo dal drammatico ai vari altri generi. Ci vuole preparazione, pazienza, studio, determinazione.

Che consigli darebbe ai giovani talenti che vogliono emergere nel cinema di oggi?

I giovani devono leggere, studiare, studiare anche recitazione, leggere e studiare di tutto, avere l’umiltà e la volontà di imparare. I film rischiano di tipizzarti, facendoti restare prigioniero di un ruolo ripetitivo. Per questo serve studiare e imparare. Io passo anche ore a parlare con le comparse. Ascolto molto. Cerco di capire e imparare ancora, anche da loro.

Ho fatto molti film di Natale, quelli che oggi si chiamano cinepanettoni, più una ventina d’altri film sempre con parti del tipo “cameo” o “cammeo” che dir si voglia: brevi apparizioni di un personaggio più o meno famoso.

Negli anni l’abbiamo visto recitare in altri film di Verdone. Ora il secondo appuntamento nella serie tv “Vita da Carlo” nelle vesti del produttore cinematografico. Nelle vesti del “cattivo”. Si aspettava così tanto successo di questa serie TV ?

Non, non me l’aspettavo, ma con Carlo tutto è possibile. Anche i miracoli. Perché lui è davvero spontaneo, nei suoi film è sempre “uno di noi”, coi nostri limiti, le nostre mattane, il nostro essere spesso anche ridicoli, la nostra voglia di vivere, esprimerci, socializzare, lo spettatore ci si riconosce volentieri. Io con Carlo mi limitavo e mi limito ad aspettare… Ci credevo e ci credo! E così le sue chiamate per fortuna non sono mancate. Sempre per film ottimi, attori ottimi, dai quali puoi e devi sempre imparare qualcosa in più.
 

La sua carriera è stata un crescendo, ha lavorato poi con registi come Carlo Vanzina, Fausto Brizzi, Christian De Sica, Stefano Sollima e molti altri. Chi di loro le ha lasciato qualcosa in più a livello professionale?

Tutti. Sì, tutti. Perché tutti costoro sono arrivati con un buon testo e con un buon testo io mi animo. Sollima, persona squisita in Romanzo Criminale. Brizzi, maestro anche nelle piccole cose. Verdone il mio maestro. Sì, insieme a Gigi Proietti il mio maestro.

Lei è conosciuto soprattutto per le partecipazioni a commedie italiane, ma ha mai interpretato ruoli drammatici?

A teatro sì, nel cinema no. A gennaio Amara al teatro della Garbatella: la vita nella baracche del dopoguerra a Roma. Al Tor Bella Monica la parte del cattivo nelle prove la facevo talmente bene che Pier Francesco Pingitore poi mi ha detto scherzando che m’avrebbe dato una coltellata: “Ho sperato fino all’ultimo che qualcuno del pubblico si alzasse e ti desse ‘na coltellata!”.

Come si sentono gli attori del mondo del cinema? Sicuri di se stessi o, come si constata spesso, insicuri?

Domina la depressione, l’ansia e anche la colite. Tutte cose delle quali io non soffro. Durante lo studio del copione, durante la realizzazione del film e una volta finito di girare, spesso c’è un sdoppiamento della personalità, per molti è poi difficile tornare a essere se stessi. Si è sotto la pressione della domanda “Ma io che ce sto a fa’?”. Io ho imparato a studiare la parte e a diventare davvero il personaggio che poi devo recitare. Ma ho anche imparato a tornare me stesso, senza difficoltà. Quando avevo 23 anni ho recitato al teatro Vittoria con Vittorio Amendola, che diceva spesso: “Il teatro mi piace perché poi se va a magnà tutti assieme”. E col “magnà tutti assieme”, di fatto un rito, è più facile tornare se stessi.
 

Quanto e come è cambiato il mondo del cinema negli ultimi 30 anni? E cambiato in meglio o in peggio?

Domanda difficile. Io amo la commedia all’italiana anni ’60-’70. Testi di Suso Cecchi D’Amico, Age Scarpelli, Ennio Flaiano, Dino Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari.
Difficile che nascano attori come Monica Vitti, Silvana Mangano, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Dario Fo, Franca Valeri, Enrico Maria Salerno, Paolo Stoppa.
Si ricomincia ora un po’ con Nicola Guaglione, Roberto Menotti, Elio Germano, Pierfrancesco Favino.
Secondo me il cinema è Roma. Ma le pubblicità le fanno tutte a Milano… E la mancanza dell’accento romano, del romanesco… è un danno. L’accento storico del cinema italiano quello romano. Romanesco.

Com’è Stefano Ambrogi fuori dal grande schermo? Che rapporto ha con il suo pubblico?

 Vivo in campagna, in Umbria. Da casa mia si vede un bel panorama, il verde di una vallata: ossigenante e rassicurante. Sono molto casalingo. Non faccio vita sociale. Ho i 4-5 amici che mi vengono a trovare, per i quali amo cucinare, per loro mi invento manicaretti. Con il mondo sono connesso dal computer. Non ho santi in paradiso né referenti politici. Chi mi vuole cercare credo lo faccia per la mia professionalità.

Rapporti con il pubblico? Beh, io recito per il mio pubblico, sperando si allarghi e sia contento. Non frequento occasioni da tappeto rosso, foto in posa e selfie o autografi per il pubblico in attesa oltre le transenne.

Oltre al cinema coltiva altre passioni?

Cucinare e mangiare, andare in moto, giri in moto con amici anche per andare a mangiare in trattorie che valgono la pena. L’Umbria offre molto: tartufi, funghi, formaggi, insaccati e prodotti vari da norcineria.

Mi dicono sia un tifoso della Lazio: quanto è sentita la fede calcistica nell’ambiente romano, anche in quello cinematografico.

Sì, tifo Lazio fin da quando mio nonno mi regalò una sciarpetta coi colori della squadra. E la squadra del cuore col tempo è un po’ come la mamma… Non vado allo stadio perché hanno fatto di tutto per allontanarne la gente, i tifosi.
Verdone, Proietti, Amendola, Venditti e altri sono invece tutti romanisti, cosa che nel mondo del cinema va per la maggiore. Le discussioni e i commenti sulle partite di calcio nel nostro ambiente finiscono sempre a trallucci e vino. Però mai parlare dei derby… Quando ci sono i derby Roma/Lazio manco ci si telefona…
 

Lo stato di salute del cinema italiano non pare sia ottimo. Non è che il cinema è morto di Covid a causa delle misure restrittive, dalla mascherina alla distanza fisica tra le persone?

Nanni Moretti parla di depressione, avvilimento, abbacchiamento generale: “È il clima intorno al cinema e in particolare intorno al cinema in sala che non c’è. Tutti sono abbacchiati.
 
 Vero. Purtroppo. Parole sante. Mancano i soldi e i grandi progetti, ma forse ricominciamo a essere in risalita.
Con l’obbligo della mascherina hanno accoppato il teatro, i concerti con il coro, le trombe, i sassofoni insomma gli strumenti a fiato. Obbligo che non ha fatto bene neppure al cinema. Ma il problema del cinema è che è difficile ricreare la magia di una volta. Quando si andava al cinema anche per limonare al buio con la propria ragazza.

E poi c’è la concorrenza della tv, delle piattaforme in streaming.

Esatto. Beh, però l’intrattenimento delle tv fa pena. Mi riconosco nelle parole di Roberto Andò, regista del film La stranezza, mi pare attualmente in testa alla classifica degli incassi: “Di cinema si parla poco, non è festeggiato. Il pubblico deve sentirsi desiderato. Non ci si deve dare per morti, ma produrre gioia”. Fotografia perfetta. La faccio mia.
E’ ovvio che sia il mercato a dettare legge, ma sarebbe meglio dare ai nuovi film il tempo di essere apprezzati nella sale cinematografiche prima di mandarli in onda con le piattaforme in streaming.

Per rianimare il nostro cinema basterà il contributo statale per l’acquisto dei biglietti?

Il ministro per i Beni Culturali, Gennaro Sangiuliano, ha annunciato lo stanziamento di dieci milioni di euro per uno sconto di 3-4 euro sul biglietto, per vedere un film italiano. “Una goccia nel mare per riportare le persone in sala”, ha riconosciuto il ministro, aggiungendo: “Ma le grandi cose cominciano sempre dalle piccole”. E tra spid e QRcode non è un po’ troppo macchinosa la trafila per avere lo sconto dei 3-4 euro?
 
Macchinosa per noi, ma non per i giovani. Loro queste cose se le magnano.