Palkiewicz era col Papa a Varsavia quando Viganò…Sarà a Roma il 12 novembre

di Pino Nicotri
Pubblicato il 7 Novembre 2019 - 10:31| Aggiornato il 31 Marzo 2020 OLTRE 6 MESI FA
Palkiewicz era col Papa Wojtyla a Varsavia quando Viganò...Sarà a Roma il 12 novembre

Papa Paolo Giovanni II in una foto d’archivio Ansa

Quest’anno ricorre il primo secolo di relazioni diplomatiche dell’Italia con la Polonia. Per celebrare il “compleanno” il 12 novembre si svolgerà a Roma il convegno intitolato appunto Cento anni delle relazioni diplomatiche italo-polacche.

Il convegno è organizzato da Università LUMSA di Roma, Istituto Polacco di Roma, Accademia Polacca Roma e Ambasciata della Repubblica di Polonia in Italia.

Tra i vari ospiti, la figura più interessante e poliedrica, anzi vulcanica è senza dubbio Jacek Palkiewicz, giornalista ed esploratore, dottore in scienze geografiche, docente in Università di vari Paesi, membro della Royal Geographical Society di Londra, che ha conquistato popolarità mondiale nel 1975, attraversando l’Oceano Atlantico in solitario, su di una scialuppa di salvataggio, senza radio, né sestante: 44 giorni da Dakar a Georgetown. 

Veterano del Sahara e della Siberia, spesso ha viaggiato nello stile degli esploratori dell’Ottocento: su cammelli, yak, elefanti, renne, a piedi, con sampan cinesi e piroghe degli indigeni d’America. Secondo Newsweek, Palkiewicz appartiene all’ultima generazione di esploratori di stampo vittoriano. A Varsavia svolge i corsi per manager su come superare i propri limiti.

Venuto a vivere in Italia e amico personale del Papa polacco Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, nel 1982 ha fondato in Veneto la prima Scuola di Sopravvivenza dell’intera Europa. È stato consulente dei cosmonauti russi nel programma di survival, cioè di sopravvivenza, ed ha addestrato in differenti zone climatiche reparti europei di antiterrorismo.

Nell’estate del 1996 ha scoperto le sorgenti del Rio delle Amazzoni. Nel 2010 ha ricevuto da Papa Benedetto XVI la croce d’oro Pro Ecclesia et Pontifice. Nel 2013 è stato insignito dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per “avere portato la bandiera italiana nei posti più remoti del mondo, difendendo le tradizioni italiane nel campo dell’esplorazione e della scoperta”.

Nel 2015 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere in Polonia, dove infine è tornato a vivere. Insomma un personaggio davvero incredibile, di grande vitalità e straordinarie capacità in vari campi, e che merita senza dubbio di essere intervistato.
 
Palkiewicz, a parte i ricordi del papa polacco, la Polonia di oggi può interessare gli italiani? 

“Certo! La Polonia è un grande cantiere: 38 milioni di abitanti, uno sviluppo economico del 4 per cento l’anno, i salari aumentano del 10 per cento, Varsavia è piena di grattacieli e di vita. Un Paese che sta raggiungendo rapidamente gli standard medi europei e che, per la sua vitalità, non finisce di stupire gli italiani che ci vengono come turisti o imprenditori. Le relazioni economiche tra Italia e Polonia sono in costante sviluppo.

“Oggi purtroppo la Polonia è più conosciuta per i contrasti con l’Unione europea sui migranti che per le enormi opportunità economiche. Le imprese italiane trovano qui condizioni favorevoli per gli insediamenti produttivi, trasparenza, fiscalità non oppressiva, manodopera a costi competitivi, un mercato promettente, una classe media con potere di acquisto in aumento costante”. 

Quante sono le aziende italiane in Polonia?

“Oltre 3 mila, con un fatturato totale di 15 miliardi di euro e quasi 100 mila dipendenti. Questi dati non prendono in considerazione le attività commerciali come i ristoranti italiani, le pizzerie, le gelaterie. Insieme alla Francia, oggi l’Italia è uno dei maggiori investitori stranieri in Polonia. Dobbiamo aggiungere gli oltre 100 mila i polacchi che lavorano nel reticolo di aziende fornitrici di quelle italiane”.  

In un’intervista dello scorso luglio l’ambasciatore italiano a Varsavia, Aldo Amati, ha messo l’accento sulla notevole presenza di imprese bergamasche, a partire dalla Brembo, e sul fatto curioso che “i polacchi si sentoni latini”. 

“È vero, i polacchi si sentono latini e anche un po’ italiani. È un sentimento diffuso fra la popolazione, che si è consolidato nel tempo e risale a Bona Sforza. Nata a Vigevano nel 1494, figlia del duca di Milano Gian Galeazzo, sposò il re polacco Sigismondo I e divenne così la regina consorte. La regina italiana della Polonia.

“Poi nel `600-`700 c’è stato il Grand Tour dell’aristocrazia europea, anche polacca, lungo gli itinerari della cultura soprattutto italiana. Il Grand Tour è stato una lunga missione nell’Europa intrapresa dai ricchi giovani dell’aristocrazia a partire dal XVII secolo per perfezionare il loro sapere. Poteva durare da pochi mesi fino a svariati anni, e di solito aveva come destinazione proprio l’Italia. La parola turismo e più in generale il fenomeno dei viaggi turistici odierni come cultura di massa ebbero origine proprio dal Grand Tour”

E il famoso Viaggio in Italia di Goethe è il resoconto  del Grand Tour di due anni che il poeta tedesco ha compiuto in Italia dal 3 settembre 1786 al 18 giungo 1788

“Insomma, c’è un legame speciale fra i due Paesi: molte città polacche hanno strade dedicate a Montecassino e al bergamasco Francesco Nullo. Conta enormemente l’empatia per il nostro modo di vivere e il patrimonio culturale. Gli Italiani sono sorpresi del “temperamento quasi meridionale” dei polacchi. Basta scambiare qualche parola con loro per entrare subito in confidenza. La maggior parte dei turisti Italiani in Polonia afferma che il loro modo di fare è simile a quello italiano. E poi Italia è stile di vita, creatività: i polacchi di una certa età amano la nostra musica e ricordano con nostalgia il festival di Sanremo, quasi tutte le famiglie conoscono molto bene le bellezze italiane anche perché ssono fra le loro destinazioni privilegiate”.

Perché e quando è venuto a vivere in Italia e perché e quando è tornato in Polonia?

“Da piccolo desideravo di girare il mondo. Ho imparato a memoria l’intero atlante geografico e ho sognato terre esotiche. Nella Polonia comunista, la gente comune non aveva la possibilità di andare all’estero, ma io non ho rinunciato al mio diritto alla libertà e ho deciso di sconfiggere illegalmente i fili spinati della cortina di ferro. Nel 1971 sono sbarcato in Italia, dove ho anche messo su famiglia.

“Ho iniziato da zero, ma almeno ero libero, avevo un passaporto europeo e potevo seguire il mio motto: “La vita dà a ognuno quanto ognuno ha il coraggio di prendere, e io non ho intenzione di rinunciare a tutto ciò che mi spetta”. Ho lavorato molti anni per il Corriere della Sera e pubblicato un mare di reportage su altre testate, ho attirato l’attenzione sulla Scuola di Sopravvivenza, ho fatto l’esploratore. Dato che non ho la pensione, ora sono ancorato in Polonia, dove si vendono bene i miei libri”.

Come ha potuto diventare istruttore anche dei cosmonauti russi?

“Quando Aleksiej Leonov  con  il suo compagno di cosmonave ha rischiato di morire dopo l’atterraggio di fortuna nella taiga, con temperature di 30 gradi sotto zero, il Centro d’Addestramento ha deciso di insegnare l’arte della sopravvivenza ai futuri cosmonauti. Mi hanno proposto la collaborazione per  tenere stages  di 48 ore negli ambienti estremi della taiga,  deserto, zona polare. Ho un’esperienza di oltre 40 anni di vita da esploratore nei luoghi più primordiali ed estremi della Terra. Ho dimostrato che un individuo può sopravvivere anche al di là delle barriere fissate dalla fisiologia”. 

Il suo viaggio più avventuroso?

“Nel 1975 ho deciso provare che un naufrago può sopravvivere, se non cede psicologicamente. Cosi sono partito da Dakar con una scialuppa di salvataggio, senza radio, sestante e auto timone, solo la bussola,  per sbarcare dopo 44 giorni a Georgetown in Guyana. Volevo dimostrare che con poche cose a bordo, un naufrago, può salvarsi se non perde la volontà di lottare.

“Ricordo ancora oggi i lunghi giorni e le notti di tempesta, quando sentivo profondamente la mia impotenza e piccolezza di fronte alla vastità insidiosa dell’Oceano e a quanto, in quei momenti, fossi più vicino a Dio che agli uomini. Non mi sono arreso. Il fatto che oggi sono ancora sulla Terra, devo alla estrema voglia di vivere, alla volontà di lottare con unghie e con i denti. Ha dimostrato che un individuo può sopravvivere anche al di là delle barriere fissate dalla fisiologia. Ho vissuto momenti che hanno segnato profondamente il mio carattere”. 

Le imprese che hanno dato più soddisfazione?

“Ho dato contributo alla moderna geografia. Nel 1996  a capo di una spedizione scientifica internazionale, patrocinata dal Governo peruviano, ho localizzato la sorgente del Rio delle Amazzoni, che oggi risulta anche essere il fiume più lungo (7.030 km) al mondo. Nel 2011 il governo peruviano vi ha posto un monumento con la targa della scoperta. Nel 1994 ho diretto, sotto l’auspicio del presidente russo Boris Eltsin, una missione ecologica in Siberia con astronauti di cinque Paesi per denunciare i disastrosi effetti causati dall’uomo all’ambiente”. 

Lei è riuscito a visitare anche la popolazione più misteriosa dell’Amazonia.

“A metà degli anni ’70 esplorai l’Alto Orinoco alla ricerca di Yanomami, la più primitiva comunità aborigena nel continente sudamericano, per la quale il tempo è fermo nell’età della pietra. Ricordo il panico che avevamo causato. Il primo incontro con un uomo bianco ebbe luogo in un’atmosfera di forte tensione, i bambini scapparono urlando, le donne si nascosero dietro gli alberi. Gli archi con frecce avvelenate puntati su di noi erano una brutta premonizione”.

Si dice che lei è l’ambasciatore della Polonia nel mondo

“Durante le mie spedizioni ho avuto occasione di sbandierare la mia patria nei luoghi più sperduti della Terra per rendere più noto il nome della Polonia nel mondo. Promuovo l’imagine di un Paese interessante, i suoi successi, l’economia e le attrazioni turistiche. Mi nobilitano lezioni universitarie, conferenze presso le società geografiche o incontri in prestigiosi centri culturali in vari continenti.  Qualche anno fa a Shanghai in un incontro d’autore è venuta gente di 23 nazionalità”.

Lei era amico di papa Wojtyla, tanto che lo accompagnò in aereo nel viaggio pastorale che fece in Polonia nell’83. A quanto pare Wojtyla ha confidato a suoi conoscenti, in particolare al giornalista Vittorio Messori, di essere rimasto deluso dalla Polonia liberata dall’URSS.

“Non mi risulta”.

La Polonia è rimasta cattolica come ai tempi dell’URSS o si è diffuso il laicismo?

“La Chiesa cattolica ancora oggi ha un grande potere in Polonia, almeno a livello della dichiarazione dei fedeli. Tuttavia, a causa del declino della religiosità, le statistiche non sono incoraggianti. Solo il 28 per cento dei giovani partecipa alle messe domenicali  e ogni tre studenti uno rinuncia alla religione a scuola”. 

Pare che anche la Polonia abbia tendenze sovraniste. Un fuoco di paglia o il futuro?

“Indubbiamente, sì, ma mi fermo qui. Sono alquanto daltonico politico, non simpatizzo per nessun partito, non mi interessano le loro ideologie. Non manifesto pubblicamente le mie opinioni politiche, resto lontano dalle loro beghe. Questo mi consente di avere strette conoscenze con persone con le quali non devo condividere le mie opinioni. Alcuni mi  criticano per  le mie amicizie con leader di Solidarność, esponenti della  destra, gerarchi della Chiesa e le élite russe. Questo non mi ferisce, perché, come hanno notato alcuni, sto contribuendo, nello spirito di pluralismo, al compromesso per la trasformazione democratica”.

A volte capita di leggere di atteggiamenti antiebraici dei polacchi. Cosa c’è di vero?

“Secondo molti, questo è un problema marginale. Devo dire, che la maggior parte dei polacchi non esprime opinioni antisemite, ma quasi la metà pensa che gli ebrei abbiano troppa influenza nel mondo”.

Si parla di islamizzazione dell’Europa e non pochi la temono, parlano addirittura di invasione. Lei che ne pensa?

“Il mio atteggiamento draconiano nei confronti della correttezza politica suscita spesso polemiche. Mi accusano di xenofobia, discriminazione razziale o diffusione del sentimento anti-immigrativi. Non è così. Io voglio semplicemente vivere in pace a casa mia.

“La vecchia Europa si è piegata sotto  l’ondata dello tsunami islamico. I musulmani che abitano da noi impongono i loro costumi, il loro Dio. Senza integrarsi, rifiutano i valori europei e lo stato di diritto. Questa tolleranza dei leader europei, la farsa del multiculturalismo, le bugie sull’integrazione, fanno arrabbiare la gente. Ricordiamo che nei loro Paesi dobbiamo prestare molta attenzione a non offenderli con abiti, gesti o comportamenti che sono normali per noi e inaccettabili per loro. Per il mio libro “Dubai, il vero volto“, dove ho  esposto il lato oscuro della monarchia assoluta, sono stato condannato a 6 anni in contumacia”.

La Polonia è diventata una base avanzata della Nato verso est, cioè verso la Russia. E’ una novità utile o pericolosa?

“Il governo è convinto che questo va a vantaggio del Paese e che gli americani ci difenderanno. Però tanti esprimono i dubbi, non credono agli americani, con l’imprevedibile Trump in testa. Potrebbe succedere come nel 1939, quando Francia e Inghilterra dopo aver  garantito il loro appoggio hanno lasciato la Polonia sola. La scorsa settimana, Robert Kagan, consigliere di John McCain, candidato repubblicano alla presidenza, ha affermato che i polacchi sono davvero divertenti perché sono convinti che, anche se la NATO si dissolverà, gli Stati Uniti continueranno a preoccuparsi della loro sicurezza. Gli americani hanno deluso già al suo tempo, durante la conferenza di Yalta, quando la Polonia fu ceduta alla zona di influenza sovietica”.

Quali sono i rapporti di oggi tra Polonia e Russia? Buoni? Cattivi? Mediocri? Migliorabili?

“Purtroppo non sono buoni per niente. Nella mia professione di viaggiatore ed esploratore  ho imparato molte cose. Tra l’altro, la saggezza globale: secondo la quale il vicino dall’altra parte del fiume è più importante di un fratello aldilà dell’oceano. Da anni mi sento l’ambasciatore del miglioramento delle relazioni interpersonali, del superamento dei pregiudizi e della costruzione di buoni rapporti tra polacchi e russi.

“Per me è una missione e ho la sensazione che sto facendo qualcosa di molto importante, anche se rischio di essere chiamato un agente del Cremlino. I polacchi non sono russofobi. Perché, come spesso sottolineano, Putin non significa sempre il popolo russo e il potere di Mosca non esprime sempre il punto di vista della società. La maggioranza degli abitanti di Polonia, Italia, Francia e Gran Bretagna vorrebbe ristabilire le corrette relazioni con la Russia”.