Piede torto equino. Ana Ey Batlle: Perché il metodo Ponseti per curarlo

di Pino Nicotri
Pubblicato il 17 Luglio 2015 - 08:56 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Lo scorso 18 giugno  è nata a Roma PONSETI ITALY, associazione di ortopedici e genitori di bambini affetti dall’handicap del piede torto, noto anche come piede equino. E il prossimo 18 ottobre darà il suo contributo con l’Associazione Nazionale Piede Torto Congenito (in sigla PTC) al varo della 3° Giornata Internazionale del Piede Torto Congenito, che si concluderà con la ormai consueta “Ponseti Race”: vale a dire, a dimostrazione che guarire si può, con la corsa dei bambini curati e guariti con il metodo ideato dal medico spagnolo Ignacio Ponseti. Il lavoro dei genitori per fortuna continua e così, grazie a loro, le informazioni circolano sempre più e sempre più bambini possono per fortuna guarire dal piede torto congenito. Ponseti Italy vede uniti, per la prima volta in Italia, medici ortopedici e genitori di bambini con piede torto, per far sì che anche in Italia il metodo del dottor Ponseti sia usato sempre di più e che la chirurgia invasiva sia applicata sempre meno.

Di piede torto e metodo Ponseti ce ne siamo già occupati più volte. Sul tema abbiamo intervistato la più grande esperta di tale metodo oggi esistente al mondo, dottoressa Ana Ey Batlle, ma prima di darle la parola è bene riassumere il problema. Ogni anno in Italia nascono più di 500 bambini affetti da piede torto, i maschi sono il triplo rispetto le femmine, con uno o entrambi i piedi rivolti verso l’interno, in forma più o meno grave. Da oggi tutti questi neonati hanno qualche possibilità in più oggi di essere curati al meglio per questa patologia. Malgrado il piede torto sia la malformazione più comune agli arti inferiori dei neonati, ancora tanti genitori non vengono informati da chi dovrebbe aiutare e rassicurare. La patologia, se curata da ortopedici preparati, si risolve al massimo dopo un ciclo di 4-5 applicazioni di piccole ingessature, dette “gessetti”, gessetti, più un eventuale intervento ambulatoriale di tenotomia del tendine di Achille e un tutore prevalentemente notturno per i primi anni di vita del bambino.

In sostanza a 2 mesi di età i piedini devono essere dritti come quelli degli altri bambini. Nessuna operazione chirurgica, nessun trauma, nessuna conseguenza per la salute se il bambino viene seguito secondo il protocollo oramai collaudato da decenni del dottor Ignacio Ponseti. L’ortopedia italiana usa da sempre un metodo chirurgico per intervenire sul piede torto, tuttavia questo tipo di protocollo si è rivelato inefficace, con conseguenze di rigidità del piede, dolori spesso invalidanti, e ha come conseguenza. quasi sempre, continue operazioni chirurgiche. Il tutto al costo di 20-30 mila euro per operazione invece dei pochi euro del metodo ideato dall’ortopedico spagnolo. Il metodo Ponseti si è diffuso negli USA dove il servizio sanitario è privato e le assicurazioni cercano ovviamente la miglior cura con la minor spesa. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il metodo Ponseti il gold standard per la patologia al quela è applicato.

Il Simposio Internazionale sul piede torto di Barcellona del 2013, dove una delegazione di genitori italiani ha presentato al mondo la situazione critica del nostro Paese, ha chiarito che la salute è un diritto fondamentale di tutti. Ed è un “affare” di tutti. E’ vergognoso, in un Paese civile, avere bambini invalidi se i genitori non hanno la fortuna di trovare le giuste informazioni o i medici competenti. Tutti hanno diritto a essere curati al meglio, tutti hanno diritto ad essere informati! E’ altrettanto vergognoso che, per rimediare a inutili e rovinose operazioni sui piedi, bisogna poi ricorrere all’estero per cercare di riparare. Tanti bambini, adolescenti e adulti, si rivolgono a Barcellona alla dottoressa Batlle come ultima speranza. E la dottoressa al congresso a Praga dell’European Federation of National Associations of Orthopaedics and Traumatology, che ha visto la parttecipazione di oltre 7000 medici provenienti da ogni parte del mondo, ha dimostrato con stupore dei presenti che il metodo Ponseti è applicabile anche negli adulti:  oltre 40 casi di piedi estremamente deformati sono stati da lei risolti con l’applicazione solo di qualche gesso, precise manipolazioni e chirurgia ridotta al minimo.

Diamo ora la parola alla dottoressa Ana Ey Batlle.

Come ha trovato il metodo di Ponseti?

Nel 1997 il dott. Ponseti venne a fare una conferenza nel mio ospedale in occasione di un corso. Io ero la dott.ssa più giovane in servizio e il primario ci chiese se avevamo un paziente in cura, io avevo una bambina di tre mesi affetta da piede torto congenito e la portai al corso. Allora il dott. Ponseti ci insegnò come manipolare i piedi e sistemare il gesso.  E’ così che l’ho conosciuto. Dopo decisi di scegliere questo metodo e andai a trovarlo molte  volte in Iowa.

Perché ha scelto questo metodo?

Quando vidi come con un solo un gesso si correggeva il piede della mia paziente, che da tre mesi provavo a correggere, capì che era proprio quella la maniera giusta di correggere il piede.

Che caratteristiche ci vogliono per applicare in modo corretto il metodo Ponseti?

La prima caratteristica è voler applicare  e volerlo fare con entusiasmo, conoscendo  perfettamente ogni fase della procedura. E’ essenziale conoscere bene l’anatomia del piede e la biomeccanica. Esiste anche una componente di abilità manuale che bisogna tenere conto, come può esistere in qualunque attività artigianale, perché in fondo si tratta di un’arte.

Ha avuto dei problemi o ostacoli in Spagna per applicare il metodo?

Certamente. Sì. Come in tutti i paesi quando si propone un nuovo metodo, specialmente se proposto da un ricercatore giovane. E’ normale l’opposizione. In Spagna, che come la maggior parte dei paesi europei aveva una tradizione chirurgica per la soluzione del problema, è stato difficile, è lo è tuttora, l’uso generalizzato del metodo. E, infatti, si continua ancora a operare in alcune zone del Paese.

Cosa pensa della situazione italiana?

Ricorda molto la situazione del mio Paese. Credo che sia in linea con la maggioranza dei paesi europei, perché c’è una scuola tradizionalmente chirurgica molto importante. Dover imparare di nuovo la tecnica del gesso può essere interpretato come un passo indietro rispetto al bisturi e nel nostro mestiere è una decisione difficile. Bisogna capire che non si tratta di un passo indietro, ma di un passo avanti perché saper sistemare e manipolare un piede è in sé una tecnica, pari alla tecnica chirurgica.

E sui genitori italiani?

Mi pare incredibile la forza che ha il gruppo di genitori italiani. Forse è il gruppo più forte e organizzato che c’è in Europa, in particolare per la cooperazione fra loro, la fiducia che hanno nel metodo e la voglia di farlo conoscere, che è la finalità che ci siamo dati nell’associazione internazionale. Loro lo stanno facendo in Italia con più forza che altrove.

Perché a suo giudizio i medici italiani non vogliono applicare il metodo Ponseti in Italia?

Non so i motivi. Credo che ci sia qualche medico che lo sta applicando correttamente. Non riesco a capire, però, che ci sia qualche ospedale, come mi hanno detto, in cui sia praticamente vietato applicare il metodo Ponseti, poiché si tratta del metodo scelto oggi in tutto il mondo e riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Crede che i motivi siano economici, poiché il metodo Ponseti è molto economico?

Non credo proprio, o almeno voglio credere che non sia questo il motivo. Anche se non conosco molto bene la sanità in Italia, ma in Spagna non ha alcuna influenza nella sanità pubblica perché noi medici abbiamo lo stesso stipendio e non implica alcuna differenza.

Che Paesi utilizzano il metodo di Ponseti?

Si usa in molti paesi, anche se è vero che nella maggioranza dei paesi non è diffuso a livello nazionale, perché c’è sempre qualcuno che continua a usare il metodo tradizionale, perché nei libri di medicina continua a esistere la possibilità di scegliere il metodo tradizionale come una opzione valida. E’ così. Può esserci un medico che continui a usare il metodo tradizionale; per esempio, negli Stati Uniti, dove c’è controllo da parte delle assicurazioni, che dovendo pagare le terapie, hanno sviluppato una procedura affinché ogni paziente con piede torto sia sottoposto inizialmente a un filtro costituto da esperti nel metodo Ponseti. In questo modo il numero di interventi chirurgici è calato in modo esponienzale.

Nelle Università spagnole esiste una specializzazione nel metodo Ponseti?

No, non c’è una specializzazione nel metodo Ponseti. Il metodo si studia se lo specializzando lavora in un centro dove si applica il metodo; comunque il metodo Ponseti  fa parte del programma di studi della Laurea e nell’esame di ammissione alla specializzazione si fanno domande su questo metodo; in definitiva fa parte del programma di studi di ogni medico.

Quali casi Le hanno dato più soddisfazione?

Domanda difficile. Tutti i casi ti danno molta soddisfazione. Tutti sono una sfida: il piede torto del neonato che si rivela più complicato del solito, il piede che è stato sottoposto a sette o otto interventi chirurgici, il piede torto associato ad altre malattie. Ricordo cinquanta casi, e anche cento, che mi hanno dato tanta soddisfazione. Veramente tutti mi riempiono di orgoglio ogni giorno: non potrei metterli in ordine di priorità. Forse la parte della procedura che più soddisfazioni mi ha dato la costituisce la tecnica sui pazienti che arrivano con una lunga storia di interventi chirurgici, perché decisi di usarla e funziona: E’ il mio apporto personale al metodo, di cui mi sento molto orgogliosa.