Pietro Grasso e le tasse universitarie? Aboliamo prima quelle sulle borse di studio

di Pino Nicotri
Pubblicato il 12 Gennaio 2018 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
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Pietro Grasso (Foto Ansa)

La proposta del presidente del senato Pietro Grasso di abolire le tasse universitarie è stata accolta male non solo dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, ma anche molto male e in modo spesso sguaiato soprattutto nei social dai molti che ci vedono solo un favore ai ricchi, senza peraltro specificare chi siano i ricchi, cioè da quale reddito annuale cominciare per qualificarli come tali. Una reazione che denota a che livello è arrivata in Italia l’invidia sociale, quella che non si preoccupa più, come accadeva quando esisteva ancora la sinistra, o almeno una sinistra efficace, di elevare il livello di vita medio e in particolare di chi nella scala sociale, lavorativa e del reddito è in basso, ma si preoccupa invece di abbassare il livello di vita di chi è più in alto. Senza neppure specificare cosa si intenda per più in alto.

E’ come dire che se una legge permettesse l’ingresso gratuito nei musei o alla Scala, o i trasporti cittadini pubblici gratuiti come accade in alcune città europee – Tallinn in Estonia, Templin in Germania, Aubagne e Châteauroux in Francia – si pretendesse che invece i ricchi debbano per forza pagare il biglietto. Insomma, una forma di discriminazione e basta, gabellata come “maggiore giustizia sociale”.

Detto questo, bisogna però aggiungere che Grasso potrebbe intanto cominciare a proporre almeno di non tassare almeno le borse di studio, come invece purtroppo accade perché, eccetto alcune eccezioni, vengono assimilate al reddito da lavoro. Ci si riempie la bocca affermando che il merito va premiato, e poi invece lo si punisce tassandolo! Ci si lamenta tanto che i giovani devono avere una preparazione che permetta loro di inserirsi nel mondo del lavoro e poi la preparazione non viene affatto facilitata, ma anzi taglieggiata tassando perfino le borse di studio. Che, ricordiamolo, come dice la parola stessa vengono date non per andare a divertirsi o comprare telefonini ultimo modello, ma per studiare: studiare di più, specializzarsi meglio, prepararsi quindi meglio al proprio domani.

Si tassano perfino le borse di studio per stage e master all’estero, anziché incoraggiare e facilitare ai “nostri giovani”, come vengono chiamati solo quando fa comodo, la possibilità di vivere periodi all’estero anche per conoscere meglio il mondo e sprovincializzarsi.

Mi sono stati segnalati casi di tassazione – avvenuta prima al momento dell’erogazione e poi anche con addebiti supplementari dell’Agenzia delle entrate a carico dei genitori dello studente – anche di borse di studio per master all’estero concesse a studenti universitari da Province e Regioni autonome, borse che come tali è invece espressamente previsto non siano tassate. Come del resto è previsto che non siano tassate anche quelle concesse dalle Regioni ordinarie a studenti universitari, cioè non ancora laureati. Sul sito fiscooggi.it si legge infatti quanto segue:

“Sono riconosciute esenti dall’Irpef le borse di studio corrisposte:
– dalle regioni a statuto ordinario agli studenti universitari e quelle corrisposte dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano allo stesso titolo”.

Sono state cambiate le regole? Beh, bisognerebbe divulgare il più possibile la notizia, anziché nasconderla o non farla comunque conoscere a sufficienza. In ogni caso, il senatore Grasso potrebbe cominciare col chiedere la detassazione delle borse di studio. Anche se il solito coro di invidiosi e rancorosi, cioè di qualunquisti, reagirebbe pretendendo che ai figli dei ricchi le borse di studio siano invece tassate. Come se i finanziamenti che permettono l’esistenza (anche) delle Università provenissero da chi le tasse non le paga o ne paga poche perché ha redditi bassi anziché provenire anche e soprattutto da chi ha redditi alti.