Pietro Orlandi, fratello di Emanuela: “So chi fu”. Perché non dice?

Pubblicato il 11 Maggio 2011 - 23:40 OLTRE 6 MESI FA

“So chi ha rapito mia sorella”, afferma, in apposito libro dal titolo: Mia sorella, Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela Orlandi cioè della ragazzina abitante in Vaticano sparita nel nulla nel giugno dell’ormai lontano 1983 e diventata famosa perché una lunga serie di depistaggi e miti metropolitani ha voluto farla apparire fin dall’inizio come rapita.

Sa chi ha rapito sua sorella, ma non ce lo dice, il che, dopo trent’anni dal rapimento, appare una affermazione molto tirata là,  senza lo straccio di una prova.

Per un quarto di secolo è stata accreditata la vulgata che Emanuela fosse stata rapita dai terroristi turchi Lupi Grigi per scambiarla con la scarcerazione del loro sodale Alì Agca, condannato all’ergastolo per avere attentato alla vita di papa Wojtyla in piazza S. Pietro una domenica del 1981. Poi, con una disinvoltura degna di miglior causa e senza l’ombra di un’autocritica per avere avvalorato oltre 20 anni di pista turca sballata, stampa e televisioni hanno preso per oro colato una telefonata anonima del settembre 2005 a “Chi l’ha visto?”, il programma condotto su Rai3 da Federica Sciarelli.

La telefonata anonima ha seppelito i Lupi Grigi turchi e tirato in ballo la romanissima Banda della Magliana, ridando credito e parvenza di novità a una “rivelazione” che in realtà era stata già archiviata dieci anni prima dal magistrato romano Andrea De Gasperis.

Per chiarire il sequestro di Emanuela Orlandi date una occhiata a chi è sepolto nella tomba di “Renatino” De Pedis nella basilica di S. Apollinare, a Roma, questo il succo della telefonata anonima. Così Enrico De Pedis, morto sparato nel gennaio ’90 e chissà perché detto “Renatino” nonostante fosse un omone di oltre 90 chili, è stato immediatamente promosso sul campo “boss della Banda della Magliana” e “pluriassassino”, nonostante fosse stato regolarmente assolto perfino dall’accusa di essere un semplice membro del sodalizio criminogeno romano e in vita sua avesse avuto una unica condanna: quattro anni, interamente scontati, per una rapina compiuta quando aveva 20 anni. Ripeto: regolarmente assolto, non scampato alle condanne per decorrenza termini o per leggi ad personam fatte confezionare a bella posta in parlamento. Dato che era ormai morto da un pezzo, qualche ex della banda più o meno pentito ha trovato comodo scaricargli addosso di tutto, a volte smentito perfino dai fatti appurati. Non esiste un solo rapporto della polizia dei carabinieri e della guardia di Finanza che parlino di De Pedis come di un assassino o di un capo banda o trafficante di droga; lo indicano come organizzatore del gioco d’azzardo.

A metà 2008, cioè dopo tre anni dalla telefonata, ecco sbucare dal nulla la “supertestimone” Sabrina Minardi. Le “rivelazioni” di questa signora, passata dal matrimonio bene con un famoso e ricco calciatore romano al tunnel delle droghe e dei ricoveri in case di cura, esplodono guarda caso in occasione del compimento del 25esimo anno dalla scomparsa della povera Emanuela. Quasi una torta di compleanno con annessi fuochi d’artificio. Che la signora racconti una serie di cose prive di senso, a partire dall’affermazione di essere stata “per dieci anni l’amante di De Pedis, lo si dimostra facilmente, calendario alla mano. Le sue cene a casa di Giulio Andreotti, per consegnarli insieme con l’immancabile De Pedis “valigie piene di soldi”, per un totale di qualche miliardo di vecchie lire, non vale neppure la pena di prenderle in considerazione. E infatti i magistrati le hanno cestinate. Il suo racconto su De Pedis che le affida la “rapita” Emanuela per portarla “dal benzinaio del Vaticano” e il suo racconto sull’autista di De Pedis che si fa vedere al ristorante a Torvajanica da lei e da De Pedis con un sacco da immondizie con dentro due cadaveri, prima di gettarli in una betoniera, sono racconti assai poco credibili, che, con l’aggiunta del miracoloso “riconoscimento” della voce di chi telefonava a casa degli Orlandi per illuderli, hanno prodotto esclusivamente baccano, ma sul piano giudiziario e degli accertamenti solo lo zero assoluto.

Finiti nel magazzino dei ferri vecchi Agca, la telefonata anonima a “Chi l’ha visto?” e la signora Minardi, ecco comparire nel settembre 2010 tale Maurizio Giorgetti, anche lui inesorabilmente cestinato dai magistrati. Il nuovo ed ennesimo “supertestimone” arriva a dire di avere subito una aggressione in casa, un pestaggio “rappresaglia per le cose che ho rivelato riguardo il rapimento di Emanuela Orlandi da parte della Banda della Magliana”. Giorgetti, senza arrossire, fa anche il nome del “mandante” del pestaggio, ovviamente un ex della Banda della Magliana. Peccato però che per quell’aggressione in casa sua i carabinieri abbiano arrestato sua figlia e il suo fidanzato.

Nei giorni scorsi, “Chi l’ha visto?” ha lanciato una nuova telefonata anomima, lanciata nel cielo dei “supertestimoni”: “Telefono a proposito dei sequestri di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi, che sono opera della stessa mano”, ha premesso il mister X, che ha poi parlato di “un’esca interna al Vaticano nel caso Gregori” mentre, per la vicenda Orlandi, ha fatto riferimento a “un informatore, sempre interno al Vaticano”. Per saperne di più, ha proseguito, “basta rivedersi tutta la storia e soprattutto parlare con…”. Stop. La telefonata si interrompe: il nome pronunciato non è stato mandato in onda. Ma tanto basta: sulla Vatican connection si aprono nuovi scenari. A 28 anni esatti dalla scomparsa di Mirella Gregori, la ragazzina che il 7 maggio 1983 uscì di casa dicendo alla madre che doveva incontrare un amichetto e non tornò mai più, la telefonata  anonima rilancia la cosiddetta “pista interna”.

Che Mirella Gregori non c’entri niente e non sia stata rapita, a me lo ha detto chiaro e tondo lo stesso avvocato dei Gregori, la buonanima di Gennaro Egidio, come ho riportato sia nel 2003 nel mio libro “Mistero Vaticano. La scomparsa di Emanuela Orlandi”, sia nel 2008 nel mio nuovo libro “Emanuela Orlandi. La verità”. Gennaro Egidio era anche l’avvocato degli Orlandi, perciò ha aggiunto – e io l’ho scritto – che neppure quello di Emanuela è stato un rapimento. Affermazioni chiare. Che gli Orlandi, a partire da Pietro, il fratello di Emanuela che ora dice di sapere chi l’ha rapita, conoscono bene, ma che hanno preferito ignorare. Del resto, che i due “rapimenti” fossero solo delle messe in scena lo ha messo per iscritto anche il giudice istruttore Adele Rando nella sua sentenza istruttoria. Ma tant’è:…

Ora arriva il libro di Pietro Orlandi con la sua dichiarazione bomba: “So chi ha rapito mia sorella”. Bene. Benissimo! Chi l’ha rapita? Fuori i nomi! Macché. Pietro dice che a rapirla è stato “un sistema… perché volevano condizionare papa Wojtyla”. Tutto qui? Tutto qui. Insomma, come al solito e nonostante la solita grancassa, buio fitto e nebbia in val Padana. Pietro rilancia Agca, che “a Istanbul mi ha fatto nomi importanti”. Quali? Boh. Però se si crede ad Agca allora NON si può più credere alla sfilza di nomi andati man mano in scena. E invece no: il lato comico è che su internet e Facebook è tutto un osanna alla “nuove rivelazioni” di Pietro.

Non voglio annoiare oltre i lettori. Ovviamente ognuno, compreso Pietro Orlandi, è libero di pensare, scrivere e dire quel che meglio crede, tanto più nei riguardi delle proprie tragedie familiari. Ognuno elabora o rifiuta di elaborare il lutto come meglio crede. E agli estranei, come me, non resta che prenderne atto. Ma non posso chiudere senza ricordare il disagio che ho provato quando ho visto che Pietro, ospite di “Chi l’ha visto?”, non ha battuto ciglio di fronte a una imprecisione non di poco conto della Sciarelli: Emanuela studiava e suonava il flauto traverso, che aveva con sé il giorno della scomparsa, ma non ha mai studiato né suonato il violino. Invece la Sciarelli in una puntata ne ha parlato come di una studentessa di violino, affermando che quando è scomparsa aveva con sé tale strumento anziché il flauto, e Pietro è rimasto zitto. Una scena imbarazzante, ma coerente con il libro uno che dice di sapere chi è l’assassino ma che, ormai trent’anni dopo la scomparsa della sorella, ancora non dice chi è.