Primarie Pd: ormai per tutto. E in Rai perché no?

di Pino Nicotri
Pubblicato il 24 Dicembre 2012 - 09:44 OLTRE 6 MESI FA
Pierluigi Bersani (LaPresse)

Forse è un bene che si facciano le primarie per indicare chi si vuole come capo del governo nel caso vinca la coalizione preferita. Dico “forse” perché il fatto che si tratti di un’iniziativa copiata da un altro Paese, in tal caso gli Usa, già depone male rispetto la genuinità e la necessità reale di introdurre anche in Italia il passaggio delle primarie. E che si tratti di un rito democratico non significa automaticamente che sia cosa realmente utile e anche buona. Purtroppo le primarie sono state introdotte in Italia sulla scia della scopiazzatura fatta dal Walter Veltroni dello slogan “Yes we can” lanciato nel 2008 da Obama candidato alla Casa Bianca, scopiazzatura che nel Belpaese non ha dato grandi risultati.

A ben vedere, anche il nome del Partito Democratico è nato copiando il nome di uno dei due partiti che si alternano da tempo alla Casa Bianca, il partito dei campioni di popolarità Kennedy, Clinton e Obama. E adesso Pierluigi Bersani ha lanciato con orgoglio nel suo Pd le primarie anche per scegliere chi candidare come senatore e deputato al Parlamento. Fatta eccezione per una percentuale di big o presunti tali, comunque stagionati. Ci sono inoltre le primarie per scegliere il sindaco a Milano e chissà se si arriverà alle primarie per scegliere oltre ai governatori delle regioni e anche chi candidare per le elezioni amministrative a consigliere regionale, provinciale, comunale, di quartiere…

Tutto ciò è un bene? Non ne sono convinto. Così facendo si pongono infatti le basi per lo svaporamento dei partiti. E’ vero che tra uno scandalo e l’altro i partiti in Italia sono caduti troppo in basso, e alcuni anche tra una pochade e l’altra, ma questi sono difetti dell’intera società civile italiana, che a parte le chiacchiere non è affatto migliore dei rappresentanti politici e amministrativi che non a caso s’è scelta finora con il voto elettorale. E’ però anche vero che i programmi e le linee politiche specie se di lungo respiro possono essere elaborate, proposte e gestite solo da strutture ramificate e portanti come i partiti politici, certo non da movimenti o singoli personaggi per quanto più o meno di spicco e volenterosi.

Esistono già le leghe, liste e partiti ad personam e liste civiche, a volte utile correttivo al malfunzionamento di partiti e buona espressione di realtà particolari. L’inflazione delle primarie somiglia alla moltiplicazione e generalizzazione di leghe e liste civiche, il che alla lunga conduce più al fiorire del “particulare”, e quindi più alla disgregazione, che alla cura dell’interesse generale.

Bersani ha dichiarato con cipiglio “Noi facciamo le primarie. E gli altri cosa fanno?”, ma il problema è avere un programma e una linea politica ben definita e di interesse generale. Inseguire a tutti i costi quello che si crede sia il modernismo puntando sul nuovismo non è mai stata una buona soluzione. In ogni caso, non sono queste le riforme in grado di rimettere in sesto i partiti e tanto meno l’Italia in carreggiata. Specie se teniamo a mente che siamo in Europa, che in Europa ci sono Paesi come la Germania e la Francia, e che fuori dall’Europa ci sono colossi come la Cina e l’India oltre a pezzi grossi in arrivo come il Brasile e non solo.

Più che copiare, per giunta in modo scontato dai soliti Usa, e spacciare le scopiazzature per novità, urge creare. Creare programmi e strategie per realizzarli. Programmi basati però su analisi della realtà sociale, economica e produttiva anziché su calcoli elettorali e annesse alleanze “con chi ha i voti”.

La cosa strana di questa inflazione di primarie per scegliere chi candidare è che invece per le assunzioni e nomine in Rai e in altri importanti gangli di competenza politico parlamentare non solo non si fanno primarie di nessun tipo, ma neppure si indicono concorsi per titoli ed esami. Chi candida chi? E perché?

Stando così le cose, le primarie rischiano di essere solo una moda. E un diversivo.