Renzi vs sindacati. Predica austerità, ma pensa più a Jobs che al job

di Pino Nicotri
Pubblicato il 7 Novembre 2014 - 07:30 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi (LaPresse)

Matteo Renzi (LaPresse)

ROMA – La nomina di Fabiola Gianotti a direttore generale del CERN di Ginevra, il più prestigioso centro di Fisica delle particelle esistente al mondo, è una splendida notizia, ma anche un brutto scherzo per Matteo Renzi. Vediamo perché.

La mania delle scenografie simbolo, copiate per i congressi nazionali dall’estero o dalla Storia antica e già care al Partito Socialista di Bettino Craxi e allo stesso PD, ha portato Matteo Renzi a una scelta per il recente congresso del PD che oltre a essere un po’ troppo retorica si è rivelata anche sbagliata, forse una vera e propria gaffe. Lui per la Leopolda, come si chiama la vecchia stazione ferroviaria di Firenze, ha infatti scelto la ricostruzione del garage californiano dove Steve Jobs e i ragazzi della futura Apple qualche decennio fa hanno assemblato il loro primo computer e posto le basi della enorme fortuna della ormai mitica Mela. Chissà se Renzi conosce l’indirizzo di quel garage – 2066 Crist Drive di Los Altos, contea di Santa Clara – e chissà se sa che era il garage della casa di proprietà della famiglia Jobs.

Fatto sta che la prestigiosa nomina di Fabiola Gianotti, italiana e donna, dimostra che avrebbe fatto meglio a scegliere come scenografica la ricostruzione di quella che oggi a Roma è via Panisperna 89. A suo tempo – anni ’30 – vi si trovava infatti la sede degli studi e degli esperimenti rudimentali, quasi caserecci, dei “ragazzi di via Panisperna”: vale a dire, degli italiani Enrico Fermi, Premio Nobel per la Fisica nel 1938, Emilio Segré, Edoardo Amaldi, Bruno Pontecorvo, Ettore Majorana e Franco Rasetti diventarono i giovanissimi padri di quella che poi è diventata l’energia atomica, compresa purtroppo la Bomba. In via Panisperna 89 è nato il fenomenale filone della Fisica nucleare e subnucleare italiana, filone del quale ha fatto parte Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica nel 1984, e del quale oggi Fabiola Gianotti è di fatto il più autorevole rappresentante. E teniamo conto che il CERN è nato nel 1960 per opera anche del suo primo direttore generale, cioè di Edoardo Amaldi, ex ragazzo di via Panisperna, e che oltre a lui ha avuto altri due direttori generali italiani: con Gianotti sono quattro, pari a un terzo del totale.

Se proprio proprio non si voleva rinunciare alla ricostruzione dello spartano garage di Steve Jobs, scelta comprensibile nella nostra epoca di computer, telefonini, iPod, iPad e agognate (ma rare) startup di giovani imprenditori, vi si poteva riservare almeno un angolino alla pure spartana stanza di lavoro di Federico Faggin. Si tratta pur sempre del fisico veneto inventore del microprocessore, senza il quale non sarebbero esistiti Jobs e i suoi ragazzi del garage di Los Altos.

Invece Renzi ha preferito seguire un altro filone, pur rinunciando ai suoi fasti: il filone inaugurato nel 1987 con la scenografia del Tempio greco al congresso di Rimini del Partito Socialista. Scenografia alla quale hanno fatto seguito nell’89 quella immaginifica e già post moderna della Piramide per il congresso di Milano e nel ’91 quella fin troppo ottimista dell’Arco di Trionfo per il congresso di Bari dello stesso Partito Socialista di Bettino Craxi. Nel PD l’idea di una scenografia ad hoc, simbolica e senza fronzoli, l’ha già avuta Valter Veltroni: che nel 2011 scelse infatti la sala congressi del Lingotto, cioè del cuore della Fiat. Scelta forse suggestiva, ma non proprio beneaugurante visto come e dove sono andati la Fiat e il suo cuore.

Come che sia, la contrapposizione tra il PD riunito a congresso alla Leopolda, Renzi e il suo governo da una parte e dall’altra il mondo sindacale con annessa grande manifestazione di piazza del 25 ottobre, è la migliore fotografia della spaccatura non tanto di ciò che resta della “sinistra”, ma del mondo del lavoro. Il nuovo, rappresentato da Renzi e dal renzismo, che non riesce a organizzarsi compiutamente e a rappresentare adeguatamente l’esistente, che è composto in gran parte da strati e conquiste del mondo del lavoro ormai obsolete per due motivi: perché nate grazie all’esistenza dell’Unione Sovietica e del Partito Comunista che ad essa si appoggiava, nate cioè in tempi ormai antidiluviani, e perché il mondo è molto cambiato, ci fanno infatti una spietata concorrenza anche economica Paesi come la Cina e altri ancora dove la mano d’opera costa molto meno, cioè i lavoratori sono pagati moltissimo meno dei nostri e hanno molto meno diritti. E il vecchio, che è organizzato,ma non è in grado di rappresentare anche il nuovo, così come i nonni non sono in grado di rappresentare i nipoti, per due motivi: cultura, linguaggio, valori e visione del mondo troppo diverse, e necessità ineluttabile che i nipoti si organizzino autonomamente, si diano cioè anche una fisionomia e una identità propria, senza andare a rimorchio dell’organizzazione, della fisionomia e dell’identità dei nonni.

Ridotto all’essenziale, il significato di questo inedito e straordinario antagonismo tra ciò che rappresentano la Leopolda e Renzi e ciò che rappresentano i sindacati lo si può così riassumere: i lavoratori saranno sempre più ridotti a forza lavoro, vale a dire da figure professionali a semplice merce, e i datori di lavoro saranno sempre più condizionanti dalla finanza, vera padrona del vapore. Non a caso il grande supporter di Renzi nonché protagonista della Leopolda è quel Davide Serra – nella City londinese da circa vent’anni e capo di Algebris Investments, gruppo finanziario con 1,4 miliardi di euro e sedi a Londra, Singapore e Boston – che dopo avere proposto l’anno scorso di “rendere licenziabili tutti quelli sopra i 40 anni” a Firenze ha proposto di limitare il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici.

Ironia della sorte dovuta al cognome del padre fondatore della Mela dell’elettronica: mentre alla Leopolda il renzismo celebrava Jobs, in piazza a Roma un milione di persone protestava contro Jobs Act, com’è chiamata la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi.

Ma c’è poco da meravigliarsi: l’austerità predicata oggi da Renzi&C l’ha inventata a suo tempo Enrico Berlinguer, nonostante fosse il segretario del Partito Comunista, allora esistente e nel massimo della sua salute elettorale. Dimostrazione inoppugnabile che né i comunisti di allora né gli attuali loro nipotini renziani, tutt’altro che comunisti, oltre agli slogan hanno mai saputo elaborare una vera politica dello sviluppo: né del Paese né dei lavoratori.