Sarah Scazzi: per Sabrina, la tecnica Bebawi non funziona

di Pino Nicotri
Pubblicato il 21 Aprile 2013 - 07:17 OLTRE 6 MESI FA
misseri sabrina

Sabrina Misseri: il resto della vita in carcere

Questa volta la strategia dell’accusarsi l’un l’altro non ha funzionato. E così Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano sono state condannate all’ergastolo per avere ucciso, il 26 agosto 2010, la giovanissima Sarah Scazzi, cugina di Sabrina e nipote di Cosima, in quanto figlia di sua sorella Concetta Serrano. Otto anni di carcere a Michele Misseri, padre di Sabrina e zio di Sarah, per occultamento e soppressione di cadavere.

Il movente del delitto a detta della corte, a grande maggioranza donne, che ha emesso la sentenza, dopo quattro giorni di camera di consiglio passati in isolamente all’interno di una sede della marina miliare, è stata la gelosia di Sabrina: taglia over size e modi poco femminili, era inferocita perché il ragazzo di cui era innamorata mostrava attenzione per la cuginetta.

Spalleggiata dalla madre, Sabrina ha strangolato Sarah. Michele è intervenuto dopo per nascondere il cadavere in un pozzo della campagna di Avetrana. Per poi accusarsi del delitto da “raptus sessuale” quando il 26 ottobre spinto dai rimorsi fece trovare il cadavere agli inquirenti e cambiare due volte versione in seguito: “E’ stata mia figlia Sabrina”, “No, sono stato io. Ho fatto tutto io, mia moglie e mia figlia non ne sapevano assolutamente nulla”.

Nell’interrogatorio in aula del 5 dicembre 2012 zio Michele s’è contraddetto ancora, ma questa volta senza volerlo: “Abbiamo spostato il cadavere di Sarah”, ha detto usando il plurale. Un plurale che contraddiceva clamorosamente la sua affermazione di avere fatto tutto da solo: strangolamento con una corda, abuso sessuale del cadavere e infine suo lancio in fondo a un pozzo abbandonato.

Il rimpallo delle responsabilità, l’accusare prima se stesso, poi la figlia, poi di nuovo se stesso, era di fatto la riedizione della strategia usata per confondere le idee della corte d’assise usata nel 1964 a Roma dai coniugi Youssef e Claire Bebawi, che avevano ucciso Faruk Chourbagi, amante di Claire, nei pressi di via Veneto, diventata famosa con il film “La dolce vita” di Federico Fellini, e in aula si accusavano l’un l’altro.

Benché la corte fosse sicura, perché provato, che almeno uno dei due coniugi fosse l’assassino, il suo verdetto fu di assoluzione di entrambi per insufficienza di prove. L’avvocato difensore di Claire era Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica italiana, mentre l’avvocato di Youssef era Giuliano Vassalli, futuro Ministro di Grazia e Giustizia. Una volta usciti di prigione, i Bebawi fuggirono prima in Svizzera e poi in Egitto, motivo per cui quando in appello vennero riconosciuti colpevoli e condannati tutti e due a 22 anni di carcere continuarono a vivere indisturbati all’estero.

Del delitto dei Bebawi se ne sono occupati il giornalista Fabio Sanvitale e il poliziotto della Squadra Scientifica della polizia di Roma Armando Palmegiani, autori del libro “Morte a via Veneto”. “La strategia del rimpallo usata dai Bebawi è una strategia che non paga”, spiega Palmegiani: “Lo dimostra anche il caso dei coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati entrambi all’ergastolo in via definitiva per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006. Non tutti gli avvocati sono del calibro, professionale e politico, di un Leone o di un Vassalli. Ed è estremamente difficile farla franca in tutti e tre i gradi di giudizio”.

Il comportamento di Sabrina è stato strano e sintomatico fin dall’inizio: ha cominciato a sostenere agitatissima con una amica “Sarah l’hanno presa!”, cioè rapita, dopo neppure mezz’ora di ritardo della cuginetta all’appuntamento per andare tutte e tre al mare. Ero in vacanza al mare in Puglia e quanto detto imrpudentemente da Sabrina mi ha portato a scrivere dopo soli due giorni sul mio blog che nascondeva evidentemente qualcosa di grave. Purtroppo era vero.

La tragica vicenda di Avetrana conferma che quando sparisce una ragazzina il movente è sempre sessuale e il colpevole il più delle volte è nell’ambito dei parenti e degli amici più stretti. Dove cioè più covano non solo gli appetiti sessuali degli adulti che improvvisamente si trovano in presenza non più di una bambina, ma di una smagliante ragazza in fiore; ma covano anche, come nel caso di Avetrana, nella tragedia della povera Sarah,  l’invidia, il rancore, la gelosia fra conanguinei. Buttarla sul rapimento, specie quando i “rapitori” non forniscono nessuna prova di avere in mano l’ostaggio, è solo un tentativo di depistaggio.