Tamponi e test, Lombardia caos. E il Portogallo chiude i voli fino al 15 giugno

di Pino Nicotri
Pubblicato il 22 Maggio 2020 - 12:28 OLTRE 6 MESI FA
Tamponi e test, Lombardia caos. E il Portogallo chiude i voli fino al 15 giugno

Tamponi e test, Lombardia caos. E il Portogallo chiude i voli fino al 15 giugno (Foto Ansa)

Tamponi e test, Lombardia nel caos. Fino al 17 maggio la Lombardia deteneva il non invidiabile record di avere un nuovo malato di Covid-19 su ogni due nuovi italiani diagnosticati come colpiti dal morbo. Vale a dire, la metà delle nuove infezioni registrate nell’intera Italia.

E poiché in Lombardia ci sono tre aeroporti con voli internazionali e intercontinentali –  Bergamo, Linate e Malpensa – il Portogallo ha preso la decisioni de sospendere per la quinta volta i voli col nostro Paese. Fino al 15 giugno non se ne parla perché il governo ritiene che

“la situazione pandemica in Italia continua a meritare attenzioni eccezionali”.

Tra i motivi a causa dei quali la Lombardia continua ad essere così malmessa forse c’è anche lo strano rimpallo tra la Regione e le Aziende per la Tutela della Salute (ATS) in fatto di tamponi e test sierologici.

Le ATS ordinavano ai medici non ospedalieri di prescrivere i tamponi solo a chi lavorava in uffici a contatto con il pubblico. Per questo motivo soprattutto a Milano c’è sempre stata – e c’è ancora – molta gente in quarantena fiduciaria. Che poi viene rispedita al lavoro senza avere potuto fare i tamponi.

Un’intera famiglia di un medico morto in servizio per il Covid-19 ha dovuto starsene tappata in casa terrorizzata per 40 giorni. Per poi tornare libera senza avere potuto fare il test del tampone.

Dei casi di portatori sani o con sintomi terminati rispediti al lavoro senza tampone abbiamo già parlato in un apposito articolo il 30 aprile. I medici generici avevano e hanno l’obbligo di segnalare via mail i nomi dei loro pazienti con sintomi compatibili con quelli del Covid o della sua anticamera.

Destinatario delle mail un’apposita piattaforma tecnologica della Regione. Ma per un disguido tecnico di non si sa chi l’intera massa di mail è andata perduta. 

L’andazzo comunque permetteva che dopo 14 giorni dai sintomi i medici rimandassero al lavoro le persone che non avessero avuto sintomi successivi. E tutti coloro che avessero avuto contatti con loro. Bastavano i 14 giorni di quarantena al proprio domicilio.

A un certo punto il Comitato Tecnico Scientifico del ministero ha ritenuto opportuno inviare – a scanso di equivoci a tutte le Regioni – una circolare con le linee guida. Esse riguardavano come appurare se si è guariti o no dal Covid-19. E se si è o no infetti dal coronavirus che lo provoca. E per chiarire senza più possibilità di equivoci  che:

“La decisione di permettere il rientro al lavoro dopo 14 giorni è estremamente pericolosa per la collettività ed espone il medico a responsabilità personali per avere certificato una guarigione in difformità delle linee guida”.

Fare i tamponi a tappeto è stata la strategia imboccata invece di fatto con notevole successo dal governatore del Veneto Luca Zaia. Invece in Lombardia per decisione della Regione chi vuole fare o è bene che faccia il tampone deve pagarsi di tasca sua il test sierologico presso un laboratorio privato.

Se il risultato è positivo allora deve fare il tampone.  I lombardi sono 10 milioni: anche un solo milione di test sierologici, propedeutici al tampone, sono un bel business per i laboratori privati, visto che un test sierologico in Lombardia costa dai 40 ai 60 euro.

Il segretario del PD e presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha dichiarato:

“Chiedo al governo di rendere gratuiti i test sierologici inserendoli nei livelli essenziali di assistenza, almeno per alcune fasce di reddito”. 

Cioè che li paghi lo Stato. Il che tradotto in italiano significa che nelle casse dei laboratori privati andranno ancor più quattrini del previsto. Infatti è ovvio che se non c’è da pagare nulla “almeno per alcune fasce di reddito” il test sierologico gli appartenenti alle fasce di reddito in questione se lo faranno fare in massa. Nessun medico di famiglia rifiuterà di prescriverlo.

Non potendo fissare la Regione i prezzi dei laboratori privati, Zingaretti ha invitato quelli del Lazio a contenere i costi a 20 euro per un tipo di test e a 45 per l’altro.

Come che sia, alla decisione sierologica la Regione c’è arrivata dopo dubbi amletici. Tanto che il sindaco di Milano Giuseppe Sala s’è visto costretto a chiedere con un apposito video chiarimenti. Anche e soprattutto sul perché fino al giorno prima i test sierologici erano esclusi.

Irritato per il video di Sala, a sua volta l’assessore lombardo al Welfare  Giulio Gallera ha risposto piccato con un altro video, a dire il vero alquanto fumoso.

Per (tentare di) diradare il fumo la consigliera regionale del PD Carmela Rozza, rivolta a Gallera e al contenuto del suo video, ha ripetuto in aula al Pirellone le stesse domande poste da Sala. Rimaste inevase. Aggiungendo di suo alcune ben precise conclusioni piuttosto pesanti:

“Rispondo all’assessore Gallera ribadendo le domande del sindaco Sala, che sono poi quelle che pongono tutti i sindaci lombardi, anche quelli di Forza Italia, esclusi solo i leghisti.

L’assessore Gallera dimostra di saper leggere e, soprattutto, di aver capito. Il test sierologico non è diagnostico, come ha detto a più riprese fino a poco tempo fa, ma epidemiologico Ecco i tre quesiti:

– Perché la Regione ha impedito fino ad oggi di fare test sierologici a tappeto, e poi il tampone al fine di individuare il più precocemente possibile le persone che hanno avuto a che fare con il virus?

– Perché si è impedito al sindaco di Milano, insieme all’Università Statale, di fare i test ai lavoratori dell’ATM? –

Visto che, a detta dell’assessore Gallera, mancano i reagenti per fare i tamponi, perché non ha favorito i test sierologici. Avrebbero permesso di selezionare le persone da sottoporre a tampone?”.

E visto che Gallera alle domande di Sala non aveva riposto, Rozza ha tirato le conclusioni:

“Purtroppo, alla luce delle delibere approvate sui test, abbiamo capito tre cose:

– che la Regione Lombardia ha rinunciato al suo dovere di sorveglianza sanitaria sui luoghi di lavoro,

– ha scaricato i costi e la responsabilità dello screening sui datori di lavoro

– e, ancora più grave, non ha definito una linea preferenziale per i lavoratori e i luoghi di lavoro, anzi, si invita a testarli in via privatistica. Anziché i tamponi pubblici.È una follia! Tra l’altro, se tutti i datori di lavoro corrono a fare test sierologici per i dipendenti e poi non ci sono i reagenti, che cosa sta facendo la Regione Lombardia per recuperarli?”.

Mah! Vallo a sapere cosa sta facendo….

Speriamo solo che la decisione del Portogallo, che certo non ci fa una bella pubblicità, non debba essere reiterata. E che non debba essere imitata anche da altri Paesi. Per la nostra industria turistica e alberghiera sarebbe un disastro. E di conseguenza, data la grande importanza del settore, lo sarebbe per l’Italia intera.