Tsunami Beppe Grillo e naufragio “società civile”

di Pino Nicotri
Pubblicato il 5 Marzo 2013 - 06:54 OLTRE 6 MESI FA
gianroberto casaleggio

Gianroberto Casaleggio, la “mente” dietro Beppe Grillo (Foto Lapresse)

Bisogna riconoscere che non solo i politici hanno fatto bancarotta nel non prevedere lo sbalorditivo boom di Beppe Grillo e anzi nel provocarlo con la loro insipienza e corruzione diffusa. C’è anche la cosiddetta “società civile“, quella che pescando tra personaggi famosi e professionisti ritenuti onesti per definizione, da oltre venti anni, per la precisione da quando Nando Dalla Chiesa il 2 dicembre 1985 l’ha fondata come associazione, si è illusa di potere fare lezione ai partiti e ai politici di mestiere o almeno di raddrizzarne le storture.

Lo tsunami Grillo ha chiarito senza possibiltà di equivoci che la “società civile” non è fatta dai professionisti di grido e neppure da vedove e orfani illustri, ma proprio da gente qualunque,  come siamo tutti noi fuori delle nostre specifiche competenze professionali. La “società civile” cara a Dalla Chiesa e adottata infine come piatto forte anche nel Pd da Walter Veltroni a Pierluigi Bersani, che ha voluto candidare l’avvocato e orfano illustre Vittorio Ambrosoli alla guida della Lombardia, si è rivelata solo come un altro diaframma tra la politica e la società civile senza virgolette liberata infine da Grillo.

Dallo stagionato Antonio di Pietro all’esordiente egocentrico Antonio Ingroia è stato tutto un fallimento elettorale. Per fortuna, vorrei aggiungere. Questa pretesa dei pubblici ministeri “eroi” di ripulire l’Italia come novelli Robespierre aveva preso una piega talmente pericolosa che è bene abbia sbattuto contro il duro muro della realtà elettorale stanca di promesse tanto mirabolanti quanto inconcludenti.

E ci siamo anche noi giornalisti, anche questa volta colti drammaticamente di sorpresa. Assolutamente di sorpresa. Come i sondaggisti, del resto. Nessuna delle “grandi firme” dei grandi giornali e delle grandi reti televisive italiane, Rai compresa, ha annusato lo tsunami in arrivo. Nessuno quindi è stato capace di fare analisi e descrivere la realtà. Il che significa che la realtà non la conosceva nessuno. Perché? Perché da troppo tempo i grandi giornali e le grandi tv sono la sponda di partiti e interessi politici ed espressione di interessi economici e finanziari ben precisi. Fanno cioè parte di quel mondo verso il quale i grillini gridano “Tutti a casa!”. E infatti ecco che Grillo già da tempo agita la scure del taglio delle provvidenze pubbliche alla stampa esattamente come la scure del taglio dei rimborsi delle spese elettorali ai partiti.

Troppo spesso le “grandi firme” badano a scrivere ciò che permetterà loro di fare carriera, troppo spesso hanno come referenti non i lettori e l’opinione pubblica, ma i politici che possono promuoverli alla Minzolini come direttori del T1 o o alla Belpietro e Rossella direttori di una importante testata dopo l’altra o alla Annunziata in programmi Rai. Hanno cioè come referenti quegli stessi politici che ci hanno portato al punto in cui ci hanno portato.

Per saperne di più della deriva giornalistica come sponda della politica credo valga la pena leggere il libro reperibile online di Ugo Degl’Innocenti, sottoutilizzato nell’ufficio stampa della Regione Lazio perché non è entrato nella manica di nessun big della politica laziale. Il libro si intitola non a caso Giornalisti&Politici d’Italia Spa, se ne trova una recensione in un giornale online reperibile con questo link.

Vale la pena riportare l’inizio della recensione:

“Disorientati, ansiosi, qualcuno molto vicino a una crisi di nervi. Così sono apparsi i giornalisti italiani durante lo spoglio delle schede elettorali delle elezioni 2013, mentre appariva evidente l’affermarsi del Movimento 5 stelle.

“Presi alla sprovvista dal successo dell’ex comico Beppe Grillo il quale snobba proprio loro, negandosi alle interviste e rivolgendosi ai suoi seguaci solo tramite il web, i cantori del potere, gli aedi dei partiti appaiono oggi inadeguati e poco credibili a una generazione che di giornali e talk show se ne infischia.

“Perché? La spiegazione va trovata nella storia del giornalismo italiano, da sempre avvinto come un’edera al potere. “Giornalisti&politici d’Italia SpA”, il saggio inchiesta di Ugo Degl’Innocenti, un giornalista fuori dal coro, ne ripercorre le tappe: da Cavour a Mussolini, da Einaudi a Scalfari e Vespa, passando per Santoro, Lilli Gruber, i governatori del Lazio Marrazzo e Storace, professione giornalistica e politica s’intrecciano, dando vita a un modello tutto italiano di giornalismo schierato”.

A suo tempo sono rimasto sbalordito, e amareggiato, dalla vendita da parte di Eugenio Scalfari, giornalista grande e ineguagliabile, dell’intero gruppo Repubblica-Espresso all’ingegnere pluri imprenditore Carlo De Benedetti. Arrossisco ancora al ricordo della parole con le quali l’amatissimo Barbapapà, come era soprannominato Scalfari per la sua barba e l’aria benevola, spiegò nell’assemblea dei giornalisti de L’Espresso, nella “storica” sede di via Po 12, il motivo della vendita miliardaria (in lire): “Ho figlie femmine e non voglio che da grandi per campare debbano fare la riffa”. Consultai il vocaboloario e scoprii che riffa significa lotteria. Piansi di nascosto. 

Invece che minacciare il “Tutti a casa!” anche per giornali e giornalisti, meglio farebbe Grillo a pretendere una legge oltre che sul conflitto d’interesse, a buoi berlusconiani ormai fuggiti dalla stalla, anche per abolire la figura dell’editore tuttofare, dell’editore cioè che possiede non solo giornali, ma anche aziende, industrie, società e imprese varie, a favore delle quali usare i propri giornali o come un taxi, sull’esempio di Enrico Mattei riferito ai partiti, o come corte laudatrice privata, sull’esempio di Berlusconi. Credo che i migliori giornali siano stati quelli degli editori cosiddetti puri, che cioè fanno solo gli editori di giornali, come accade in altri Paesi civili. Grillo prenda l’inziativa di imporre la figura dell’editore puro. Stoppando così anche le nomine strumentali e pro domo propria di giornalisti alla Rai e altri luoghi prelibati.