Nomine Ue buone per l’Italia: Lagarde come Draghi, sconfitti i falchi tedeschi

di Giampiero Martinotti
Pubblicato il 3 Luglio 2019 - 09:08 OLTRE 6 MESI FA
Nomine Ue

Nomine Ue buone per l’Italia: Lagarde come Draghi, sconfitti i falchi tedeschi (nella foto Ursula Von der Leyen)

PARIGI – Ben scavato, vecchia talpa! L’espressione è logora, ma può ancora servire: dopo il solito psicodramma, l’Europa ha dato una soluzione piuttosto felice al rebus delle nomine. Con tre vincitori: le donne, Emmanuel Macron, Angela Merkel. Per tutti gli altri, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, secondo i punti di vista. Vedremo se l’Europarlamento confermerà le scelte del Consiglio, ma qualche risultato vale la pena di essere sottolineato.

Il primo è quasi scontato: l’Europa affida i suoi incarichi più prestigiosi e più delicati a due donne. E’ un segnale di modernità da non sottovalutare in un mondo di machisti sovranisti. Ursula von der Leyen, scelta come futura presidente della Commissione, è una moderata con forti convinzioni europeiste, come vuole l’antica tradizione democristiana, cui appartiene anche per la sua storia familiare. E’ poco popolare in Germania, ma in tanti anni nei governi Merkel ha dimostrato duttilità politica e fedeltà ai suoi principî. Christine Lagarde sarà probabilmente la più atipica dei banchieri centrali : maturata nel mondo degli studi legali americani, ministra delle Finanze francese durante la crisi del 2008, direttore del Fondo monetario internazionale dal 2011, ha saputo imporsi in un mondo dominato da uomini in grisaglia e gessato. Nessuno può affermare con certezza che le donne, in politica come in economia, abbiano comportamenti radicalmente diversi da quelli degli uomini. Ma l’arrivo di von der Layen e Lagarde ai vertici europei dimostra che alle donne niente è più negato in ragione del loro sesso. Tante settimane di dibattiti e dispetti sono valse a qualcosa di veramente nuovo.

Il secondo alloro è senza dubbio appannaggio di Emmanuel Macron. Ancor prima del voto si era opposto al sistema degli Spitzenkandidaten, cioè all’idea che il capolista del partito arrivato in testa alle elezioni fosse automaticamente scelto come capo della Commissione. E fin da subito aveva contestato le capacità del leader dei Popolari, il modesto bavarese Manfred Weber. Non solo: nei primi colloqui con Angela Merkel, il presidente francese aveva fatto due nomi, entrambi tedeschi: Peter Altmaier (ministro dell’Economia) e proprio Ursula von der Leyen. Alla fine l’ha spuntata, piazzando alla Bce la Lagarde, non solo una francese, ma una donna che ha dimostrato di essere lontana dall’ortodossia della Bundesbank e piuttosto in linea con le scelte di Mario Draghi. Con la sua abilità, Macron si è conquistato un posto centrale nel consiglio europeo, che va forse al di là dello storico (e inaggirabile) peso specifico della Francia.

Anche Angela Merkel esce fuori bene da questa estenuante partita a scacchi. La si è detta indebolita, ma il risultato finale è molto soddisfacente per lei. L’astensione della Germania nel voto in consiglio è dovuta solo agli equilibri della coalizione di Berlino coi socialdemocratici. Per Merkel, l’arrivo a Bruxelles di quella che era considerata la sua delfina è un successo: avrà alla Commissione una leader capace di spalleggiarla e con la quale s’intende alla perfezione. E la scelta della Lagarde le sta bene. Non solo perché apprezza la francese, ma anche perché si è sempre distinta, nonostante tutto, dalla linea economica dura caldeggiata dai falchi ortodossi e dalla Bundesbank.

E gli altri? Il presidente del governo spagnolo, Pedro Sánchez, avrebbe preferito vedere il socialista Frans Timmermans al vertice della Commissione, ma non può lamentarsi : la Spagna ha ottenuto il ruolo di capo della diplomazia, che fu della pallida Mogherini, per Josep Borrell. Ma soprattutto Sánchez è riuscito a riportare Madrid nel gruppo ristretto dei paesi che contano. Il leader spagnolo avrebbe sperato qualcosa di più, ma riproponendosi come un interlocutore privilegiato dei leader europei ha già fatto molto.

Il povero Giuseppe Conte ha fatto la figura del parente povero, ma non è stato così isolato come si è detto. Alleandosi con i quattro di Visegrád  (Polonia, Ungheria, cechia, Slovacchia), ha dimostrato di poter pesare ancora un po’, bloccando l’ipotesi Timmermans. E alla fine ha intascato la Lagarde alla Bce. Non è stato certo lui a proporla o a imporla, ma per l’Italia è grasso che cola : una politica monetaria pragmatica è una formidabile fonte di speranza per il nostro paese, anche con un governicchio come quello che ci ritroviamo. Aver evitato un ortodosso al posto di Draghi è davvero un grande sollievo.