Coraggio, Berlusconi: deve agire sulle pensioni

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 15 Agosto 2011 - 22:54 OLTRE 6 MESI FA

A sole quarantott’ore dal varo della manovra economica, dalle file della maggioranza e, secondo le indiscrezioni, addirittura dallo stesso presidente del Consiglio, si sono cominciati a tessere molteplici piani per rivoltarla come un calzino: intento peraltro negato ufficialmente. Auguriamoci che i mercati non prendano troppo sul serio queste intenzioni o, quantomeno, che credano alle reiterate promesse secondo cui, quali che siano le modifiche, i 45,5 miliardi di euro di maggiori entrate e minori spese verranno comunque portati a casa.

In fin dei conti alla Bce & c. poco importa se quei quattrini verranno rimediati attraverso il “contributo di solidarietà” sui redditi più elevati oppure con un aumento dell’Iva (come, a quanto pare, piacerebbe a Berlusconi ma non a Tremonti), né se gli enti locali verranno in qualche misura “graziati” dai tagli a scapito di qualche altro soggetto. Noi invece, sudditi di questo paese burla, non potremo che rimanere ancora una volta allibiti per la repentinità dei voltafaccia e gioire o rammaricarci a seconda che dal braccio di ferro fra i leader della maggioranza risultiamo colpiti o beneficiati. Quel che è ancora più certo, sia dal centrodestra che dal centrosinistra in questi giorni ne abbiamo sentite delle belle. Ecco un piccolo “bestiario” delle più grosse.

Il centrosinistra ha tacciato la manovra di iniquità, o addirittura di “macelleria sociale”. Certo, i ceti meno abbienti sono pesantemente colpiti dalla scure sulle entrate degli enti locali che potrebbero costringerli a ridurre drasticamente i servizi o a renderli più onerosi. Ma sull’entità dei tagli, come si è detto, è in corso un ripensamento: soprattutto la Lega vorrebbe ridimensionarli. Comunque la manovra prevede anche un aumento della tassazione delle rendite finanziarie che fino a prova contraria è una misura da sempre richiesta dalla sinistra, e il contestatissimo contributo di solidarietà che non colpisce certo i più poveri. Bastona seriamente, è vero, i soliti noti (al fisco), quel ceto medio benestante che la sinistra ha massacrato per anni scoprendosene solo ora una solerte paladina. Meglio tardi che mai.

Vedremo nelle prossime settimane Berlusconi e Bersani uniti nella lotta all’iniquo balzello? A quanto si sa delle presunte intenzioni del primo, l’arma decisiva per ridimensionare il contributo sarebbe, come si è accennato, l’aumento dell’Iva. Quanto al secondo, ha tirato fuori dal cilindro una panoplia di misure alternative assai poco convincenti. Prima fra tutte l’dea di mazzolare coloro che hanno “scudato” i propri capitali all’estero, pagando una penale irrisoria: l’operazione, com’è noto, è stata a suo tempo giustamente contestata dalla sinistra, per via soprattutto del miserevole importo della “sanzione”, cinque per cento. Sta di fatto che lo scudo ha portato alla luce ingenti capitali, ora non più sottraibili al fisco, e consentito significativi incassi per il bilancio pubblico. Ora si vorrebbe che i rei confessi fossero chiamati a versare un’una tantum significativa in percentuale dei capitali scudati. Che sia opportuno tener d’occhio con le Fiamme gialle il comportamento di questi signori, non v’è dubbio, ma lascia invece quantomeno perplessi l’idea che lo Stato rinneghi un patto da poco sottoscritto, rimangiandosi la parola data.

L’altra grande trovata del segretario del Pd, che dovrebbe fruttare in qualche anno 25 miliardi di euro, è la vendita di patrimonio immobiliare pubblico. E’ una proposta che rispunta periodicamente da anni e che ha consentito già introiti non irrilevanti. Si è però anche visto che la realizzazione in contanti di questo patrimonio richiede anni e, oltretutto, mano a mano che si va avanti su questa strada i beni vendibili sono più difficili da collocare. Quindi è opportuno che si proceda anche in questa direzione ma, per favore, evitiamo di spacciare questa misura come un provvedimento capace di contribuire in modo rilevante all’incasso di quei miliardi, “tanti, maledetti e subito”, in grado di tranquillizzare la finanza internazionale sull’affidabilità del nostro paese.

Che dovrebbe fare dunque il centrosinistra e quella parte del centrodestra che giustamente giudicano il contributo di solidarietà un’ingiusta rasoiata ai ceti medi che già pagano tutte le tasse? Contributo oltretutto iniquo anche perché non in grado di fare distinzioni, ad esempio, fra un single percettore di un reddito annuo lordo di 130 mila euro e un altro cittadino con la stessa entrata ma con tre o quattro persone a carico. Per evitare questa e altre schifezze della manovra e allo stesso tempo per ridurre gli effetti deflattivi di misure come il contributo e quelli inflattivi di un aumento dell’Iva (che a mio avviso non sarebbero rilevantisimi, come pure non ritengo che l’incremento dell’un per cento di questa imposta indiretta colpirebbe soprattutto i ceti deboli) non vi è che una via maestra: intervenire sull’eta pensionabile.

Il povero Pier Luigi Bersani, che lo pensi o meno, non può proporre chiaramente e con nettezza un blocco o un forte taglio alle pensioni d’anzianità perché solleverebbe un coro di proteste dai più sinistri dei suoi alleati e dai sindacati, l’affiliata Cgil in primo luogo, all’insegna dell’abusato motto “le pensioni non si toccano”. Si consoli, non può avventurarsi troppo su questo terreno neppure il suo dirimpettaio, Berlusca, ché altrimenti il Carroccio gli passa sopra con le sue ruote e lo detronizza. I seguaci del Senatur sanno bene che la maggior parte delle pensioni di anzianità matura al Nord, perché le occasioni di lavoro sono sempre state più numerose e quindi mediamente si entra prima nel mercato del lavoro e si matura prima l’anzianità. Quindi, guai a chi tocca questo tipo di pensione.

Ma, chiediamoci onestamente, ha un senso raschiare il fondo del barile, con misure discutibilissime e dolorose, solo per evitare che una coorte di lavoratori intorno ai sessant’anni se ne vada a casa prima dei 65? Soprattutto tenendo conto che la maggior parte di quanti oggi sono occupati sa già per certo che potrà andare in quiescenza solo dopo i 65 se non, per i più giovani, addirittura verso i 70? Oppure ha un senso che fino al 2028 vi siano donne lavoratrici che possono ritirarsi a meno di 65 anni quando, oltretutto, godono del “beneficio” di percepire la pensione per un lustro più a lungo dei colleghi maschi, meno duraturi e più morituri?

Qualche decisione coraggiosa su questo terreno, dopo decennali rinvii e anche molti progressivi compromessi che senza dubbio hanno migliorato parecchio i conti della previdenza, permetterebbe risparmi miliardari ed eviterebbe una pletora di balzelli, iniqui, dal gettito spesso incerto e difficili da gestire, nonché dolorosi tagli al welfare. Senza contare che non ridurrebbe che di poco il reddito disponibile per i consumi, considerato che lo “scambio” fra le uscite dal lavoro e i nuovi ingressi giovanili è molto, molto parziale.

Se le proposte fin qui rese pubbliche dal centrosinistra non convincono, o peggio, non si può dimenticare che questa manovra abborracciata e spesso ingiusta, è anche il frutto di un peccato originale del governo e cioè del fatto che è stata varata con enorme ritardo, mentre il governo continuava a trastullarsi con l’idea che l’Italia in fin dei conti stava meglio di altri e che i suoi “fondamentali” avrebbero tenuto lontana la speculazione e il panico dei mercati. Grave errore, che oggi ci costringe a misure assai più drastiche di quelle che si sarebbero potute prendere solo un paio di mesi fa. Auguriamoci che gli odierni interventi “lacrime e sangue” siano migliorati nella qualità senza toccare il saldo. E soprattutto che non giungano fuori tempo massimo.