Il quoziente familiare di Berlusconi a chi conviene?

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 15 Giugno 2011 - 16:08 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Alla disperata ricerca di un provvedimento fiscale che gli faccia rialzare le quotazioni presso l’elettorato deluso, una specie di Viagra per riconquistare le urne, Silvio Berlusconi ha rispolverato nei giorni scorsi l’idea del “quoziente familiare”, già nel programma del centrodestra ma finita, come tante altre, in soffitta. Di che si tratta? In sostanza, di spostare la base di calcolo dell’imposizione progressiva sul reddito (Irpef) dall’individuo alla famiglia. In altre parole di tassare il complessivo reddito familiare (la somma dei redditi di uno, due o più percettori) dividendolo però prima per il numero dei componenti del nucleo. L’operazione non è una banale divisione tra i due fattori ricordati: il divisore, infatti, viene stabilito attribuendo a ciascun membro della famiglia un “peso” diverso.

Così in Francia, ad esempio, dove il sistema del quoziente familiare è in vigore da molti anni, una coppia con una persona a carico ha un dividendo di 2,5 (quindi reddito complessivo diviso 2,5), mentre una con tre persone a carico ha un dividendo di 4 (quindi reddito complessivo diviso 4). Nei due casi le aliquote applicate variano sensibilmente, a vantaggio della famiglia più numerosa. Occorre considerare, comunque, che anche nel sistema fondato sull’imposizione individuale in qualche misura si tiene conto della numerosità della famiglia, sia attraverso detrazioni d’imposta che mediante deduzioni dall’imponibile (per coniuge a carico, figli, ecc.). In generale il metodo del quoziente familiare (imperante sia in Francia che in Germania, con sensibili differenze) si ritiene comunque più marcatamente favorevole alle famiglie numerose rispetto a un sistema su base individuale accompagnato da deduzioni e detrazioni.

Il primo e principale problema che si pone ai “riformatori” che vorrebbero passare anche in Italia al quoziente è quello della copertura finanziaria: se si vuole alleggerire l’imposizione alle famiglie occorre trovare i quattrini e le strade sono poche (le stime del costo del quoziente variano assai, dai 3 ai 12 miliardi di euro, in relazione alla consistenza dell’alleggerimento della pressione fiscale che si vuole concedere). Di finanziare la riforma in deficit non se ne parla nemmeno con i tempi che corrono e con l’occhiuta e sacrosanta vigilanza di Bruxelles.

L’eliminazione di deduzioni e detrazioni per carichi familiari che accompagnerebbe il nuovo modello non ne coprirebbe che in piccola parte i costi: se così non fosse non avrebbe senso intraprendere questa strada. La via maestra è ovviamente quella di tagliare spesa pubblica, ma sappiamo quanto è difficile percorrerla e, oltretutto, si rischia di cadere in un circolo vizioso: da un lato si abbassa l’imposizione alle famiglie con più figli, dall’altro si aumentano le tasse scolastiche, si riducono gli asili nido, si tagliano spese sanitarie di cui quelle stesse famiglie sono le maggiori beneficiarie. E tutto ciò in un paese nel quale la spesa sociale per disabili, famiglie, disoccupati e lotta alla povertà sono fra il 30 e il 90 per cento inferiori a quelle medie dell’Ue (a causa di una spesa previdenziale sensibilmente superiore).

Resta un’altra scelta, certo non entusiasmante: attuare la riforma fissando un preciso paletto: si cambia ma a parità di gettito. E’ evidente a tutti che in questo caso i benefici per le famiglie numerose non potrebbero che essere limitati e comunque compensati da maggiori imposte per i single (qualcuno ricorda la tassa sul celibato del compianto Cavalier Benito?) o per le coppie senza figli che già oggi sopportano una pressione fiscale fra le più alte al mondo. E poi, che senso ha muovere tutto l’ambaradan di una riforma così complessa come quella del quoziente per fare un po’ di maquillage, qualche correzione marginale, per dare qualche euro in più (e qualche servizio in meno) alle famiglie più numerose? Per far questo basterebbe innalzare deduzioni e detrazioni per i congiunti a carico. Qualcuno insisterà: comunque sarà sempre un sistema più equo dell’attuale, un sistema che terrà conto dei maggiori bisogni di un nucleo più folto (e quindi con minore “capacità contributiva”, vedasi l’articolo 53 della Costituzione). Ma le cose non sono così semplici…