Te lo do io lo scudo

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 17 Agosto 2011 - 12:46 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Viva il confronto e il dialogo fra maggioranza e opposizione, tante volte auspicato dall’una e dall’altra e sommamente raccomandato dal capo dello Stato, specie in frangenti difficili, come quelli dell’attuale crisi economica e della conseguente manovra. Accettato il principio, v’è da dire che, ad ascoltare gli ultimissimi rumors sulle possibili correzioni alla manovra finanziaria, il primo, ipotetico frutto della “collaborazione” fra i due schieramenti è una mela marcia. Si parla infatti, come “Blitz Quotidiano” ha già riportato, della possibile introduzione nella manovra del governo di una misura che occupa il primo posto nel cosiddetto contropiano elaborato dal Pd e sbandierato da Pier Luigi Bersani, quello concernente la tassazione dei capitali “scudati”, cioè detenuti all’estero e dichiarati al fisco al prezzo di una modesta “penale”, pari al cinque per cento.

Tale percentuale era assai inferiore a quelle applicate in altri paesi europei dove un’analoga misura è stata adottata. Altrove, inoltre, ad esempio in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, per regolarizzare capitali esportati illegalmente occorre pagare tutte, ma proprio tutte, le imposte evase sui soldi oggetto di illecita esportazione. Al contrario, il provvedimento italiano, voluto a suo tempo da Berlusconi-Tremonti, assicurava, a chi aveva portato oltre confine illegalmente dei capitali derivanti da redditi evasi e li aveva magari utilizzati per investimenti immobiliari, la pressoché totale immunità da successive azioni penali e di accertamento valutario, configurandosi quindi come un vero e proprio condono.

Ora Bersani propone che sui capitali scudati – non necessariamente “rientrati” in Italia, ma semplicemente “dichiarati” -, almeno un centinaio di miliardi di euro, venga applicata un’imposta, o se preferite una sanzione suppletiva, pari al 15-20 per cento. Il governo, a quanto pare, starebbe prendendo in considerazione il meccanismo proposto dall’opposizione, ma si accontenterebbe di incassare l’uno o il due per cento. Incamererebbe comunque una somma probabilmente sufficiente a smorzare le proteste contro il “contributo di solidarietà” che verrebbe mitigato, in particolare per i percettori di redditi medio-alti con familiari a carico. Nel “terzo polo” una tale misura è particolarmente auspicata ed è inoltre noto che vi sono dei precursori della proposta di sforbiciare ulteriormente i capitali scudati.

Quale che eventualmente sia il livello dell’imposta aggiuntiva, in ogni caso si tratta di mandare a gambe all’aria un patto tra Stato e alcuni cittadini, ancorché moltro probabilmente evasori. Non è un caso se lo scudo ha fruttato tanti miliardi: gli esportatori di capitali sono stati attratti dalle condizioni estremamente favorevoli, troppo favorevoli secondo l’opposizione che a suo tempo si battè contro lo scudo. Era un patto scellerato, ma pur sempre un patto e, fin da qualche millennio fa, “pacta sunt servanda”: a maggior ragione se uno dei due contraenti è uno Stato.

Che a suo tempo il provvedimento non piacesse all’opposizione, dovrebbe essere irrilevante: per il futuro, divenuta maggioranza, potrà fare cose diverse ma non può pretendere ripensamenti retroattivi. E una maggioranza che si accodi a queste pretese va parimenti condannata.

Ma c’è anche un aspetto tecnico che non può venire sottaciuto. Fra quanti hanno approfittato dello scudo non vi sono solo persone fisiche con tanto di nome e cognome, quindi rintracciabili e spremibili, ma anche società fiduciarie, la legge lo consentiva, che agivano per conto di esportatori di capitali di cui mai si conoscerà l’identità. Ciò comporta che un’eventuale imposta aggiuntiva sui capitali scudati verrebbe applicata solo a una parte dei soggetti che hanno utilizzato il marchingegno consentito dalla legge, creando una disparità di trattamento francamente intollerabile. Stupisce che nessuno si sia finora reso conto di questo piccolo particolare.