Paolo Gentiloni: “La Rai non sarà privatizzata. Saccomanni? Una battuta”

di Stefano Corradino
Pubblicato il 4 Novembre 2013 - 08:10| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Paolo Gentiloni: “La Rai non sarà privatizzata. Saccomanni? Una battuta”

Paolo Gentiloni: “La Rai non sarà privatizzata”

Paolo Gentiloni, deputato del Pd e in passato ministro delle Comunicazioni nel secondo Governo Prodi, è stato intervistato per Articolo 21 sulla privatizzazione della Rai data come possibile dal ministro della Economia Fabrizio Saccomanni.

Si è trattato solo di “una battuta” da parte di Saccomanni, Paolo Gentiloni ne è convinto, anche se la catena degli eventi (disponibilità a comprare enunciata da Tarak ben Ammar sui giornali del mattino, parole forse un po’ troppo libertà la sera in tv con Fabio Fazio) può avere dato alimento al sospetto che potesse essere qualcosa di più, che fosse un ballon d’essai per un disegno più complesso.

Paolo Gentiloni invece è tranquillo:

“Una battuta, quella del ministro. Il governo sta pensando alla cessione di alcune quote di aziende come Terna, Enel ed Eni ma non della Rai. Ho parlato con diversi esponenti del governo e so che non c’è alcun progetto di privatizzazione della Rai”.

La privatizzazione di alcune aziende dello Stato, per “fare cassa” è all’ordine del giorno.

“Sicuramente si sta lavorando alla cessione di alcune parti marginali di aziende quotate, in particolare di Terna e credo Enel ed Eni. Cessioni che non privatizzano ma realizzano introiti per lo Stato. Molti sostengono che in realtà sarebbe una partita di giro: quello che noi incasseremmo cedendo alcune quote di queste aziende statali lo perderemmo rinunciando ai dividendi delle medesime che, in alcuni casi, come ad esempio l’Eni, sono molto consistenti. Ma tutti questi discorsi non riguardano minimamente la Rai”.

Tra l’altro è imbarazzante che se ne possa anche solo parlare senza prima risolvere il tema del conflitto di interessi e della governance. Partiamo dal primo punto: una legge sul conflitto di interessi vedrà mai la luce?

“È indispensabile che sia approvata una legge seria e rigorosa”.

Se ne parla, invano, da oltre 15 anni.

“Il biennio 1997-98 è stato il momento in cui ci siamo avvicinati di più all’obiettivo ma senza mai ottenere una legge decente”.

La condanna definitiva del senatore Berlusconi accelera o ritarda ulteriormente l’approvazione di una normativa?

“Paradossalmente questo sarebbe un ottimo momento per farla, e per dimostrare che il conflitto di interessi non riguarda solo il proprietario di Mediaset. Ovviamente quello di Berlusconi è stato di gran lunga il conflitto di interessi più macroscopico degli ultimi anni e continua ad avere la sua rilevanza. Tuttavia, man mano che questa rilevanza si attenua, da parte del Parlamento dovrebbe crescere, anzichè diminuire, l’interesse per una legislazione seria in tal senso, per impedire che ciò che è successo con Silvio Berlusconi si ripeta, magari con i suoi parenti, o comunque in altri casi. Per questo sarebbe utile prendere la palla al balzo”.

Con questa maggioranza?

“È qui il problema principale ed è uno dei tanti motivi per cui considero questa maggioranza una parentesi da superare. A larghe intese non corrispondono grandi riforme. Questo mi sembra ormai chiaro. Quanto meno nell’ultima fase le larghe intese corrispondono a una lunga serie di veti incrociati che portano a misure assai limitate”.

E se sul conflitto di interessi si formassero maggioranze diverse, trasversali, tipo Pd-Sel, 5 Stelle?

“Ci potrebbero essere iniziative legislative diverse. Tuttavia sappiamo bene che fino ad oggi, in questa legislatura, i disegni di legge di iniziativa parlamentare non hanno avuto fortuna. Se poi riguardano temi complessi e controversi come il conflitto di interessi possono servire per segnalare una presenza e sottoporre un tema nella discussione ma difficilmente si potrà arrivare all’approvazione di una legge”.

Quindi ci dobbiamo rassegnare ad attendere ancora altri anni prima di vedere approvata una legge decente sul conflitto di interessi?

“Credo che questo sia uno dei tanti argomenti che motivano la necessità, conclusa la fase concordata di emergenza – il 2015, ciò che ha chiesto Napolitano nel momento della sua rielezione – di tornare al voto e, con una maggioranza politica, attuare riforme importanti come una legge sul conflitto d’interesse”.

Nel maggio 2016 scade il cosiddetto “contratto di servizio”, la Convenzione dello Stato con la Rai. Se ne è già cominciato a parlare in un convegno in due tappe promosso da Articolo21, dalla Fondazione di Vittorio ed Eurovisioni.

“È giusto, perché la data è comunque prossima ed è necessario che si cominci già da oggi a discuterne. Per capire quale sarà il profilo del servizio pubblico, le modalità del finanziamento ibrido canone-pubblicità. Se è giusto o sbagliato avere 15-20 canali digitali. Se va introdotto o meno un indice “qualitel”…”.

Nel 2006, nella veste di ministro alle Comunicazioni del secondo governo Prodi, lei presentò un disegno di legge sul riassetto del sistema televisivo e sulla governance. Un ddl ancora attuale?

“Sul sistema televisivo la filosofia di quella proposta resta giusta. Eravamo tuttavia ancora nell’epoca dell’analogico. Oggi gli strumenti devono essere aggiornati a ciò che nella tv è successo negli ultimi 6-7 anni. Per quanto riguarda la governance quel ddl resta assolutamente attuale: separare la Rai dalla politica, una governance non espressione di governi e partiti e una Rai che faccia più coerentemente servizio pubblico”.