Per difendere Mediaset da Bolloré, Berlusconi ha solo il mercato: compri più azioni

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 16 Dicembre 2016 - 06:05 OLTRE 6 MESI FA
Per difendere Mediaset da Bolloré, Berlusconi ha solo il mercato: compri più azioni

Per difendere Mediaset da Bolloré, Berlusconi ha solo il mercato: compri più azioni , lo esorta Giuseppe Turani (nella foto)

Per difendere Mediaset e impedire che se la pappi il francese Bolloré, Berlusconi ha solo un modo: comprare più azioni e blindare la sua azienda, sostiene Giuseppe Turani in questo articolo, pubblicato anche su Uomini & Business e intitolato “È il mercato, bellezza”.

“I francesi si portano via l’Italia”, si sente urlare nei talk show davanti all’assalto che il bretone Bolloré ha lanciato contro la Mediaset di Silvio Berlusconi. Lo Stato deve fare qualcosa, deve difendere le aziende italiane.

Non è vero e comunque sarebbe troppo tardi: se n’è andato già quasi tutto.

Ancora: dobbiamo difendere almeno le aziende strategiche. E quali sarebbero? L’ultima volta che ci abbiamo provato (e guarda un po’ il teorico-pratico è stato proprio Silvio Berlusconi) è successo con l’Alitalia. L’idea ha bruciato miliardi su miliardi, l’Alitalia comunque è finita in mani straniere, e anche adesso non sta tanto bene.

In realtà, per difendere le aziende italiane (concetto peraltro un po’ ridicolo in tempi di globalizzazione) servirebbero non politici diversi, pronti a emanare decreti e leggi speciali, ma un capitalismo diverso.

Il nostro è un capitalismo senza capitali. Lo è sempre stato, è nato così. I suoi fondatori sono stati poco più di briganti, hanno commesso ogni sorta di reati, e alla fine hanno trovato il modo di farsi dare soldi dallo Stato perché loro non li avevano.

Anni fa, quando matura la crisi della bolognese Ducati, Nicola Piepoli (il sondaggista) si agita molto. Per “tenere” in mani italiane la gloriosa Ducati servono mille miliardi di lire. Impossibile non trovarli presso nostri imprenditori, sostiene. Credo che non ne abbia trovarlo nemmeno uno.

Tutti poveri in canna? No. Ma chi ha mezzi in genere li ha impegnati nel suo business e non va a gettarne una quota in affari che non conosce e non capisce. E infatti la Ducati, che è l’Italia, una gloria nostra, piccola azienda che gareggia contro i giganti giapponesi del settore, finisce prima al Texas Pacific Group e poi alla Audi.

La stessa cosa si ripete regolarmente tutte le volte. C’è la crisi della Parmalat? A chi va? Ai francesi. Il bravo stilista Ferré muore e l’azienda dove va? A degli arabi. Il resto della moda, mano mano che scompaiono i fondatori o che va in crisi, finisce ai francesi. C’è solo da scegliere se a comprare sono quelli di Lvmh o il loro concorrente Pinault. Se poi nessuno dei due fosse interessato, c’è sempre il gruppo Hermès.

Si scopre così che il mondo è fatto all’incontrario di come molti pensano. Noi perdiamo aziende perché alle spalle delle nostre aziende c’è poca finanza, anzi, quasi niente. Si tratta di realtà in gran parte familiari: quando vanno in crisi o scompare il fondatore spesso gli eredi decidono di vendere. Ma i compratori sono sempre gruppi finanziari stranieri per la semplice ragione che quelli italiani non esistono.

Fare leggi “nazionalistiche” non serve: se un’azienda viene quotata in Borsa, la proprietà sarà decisa dal mercato, non dal ministro dell’economia o da una commissione parlamentare. Funziona così in tutto il mondo. Per difendersi da Bolloré Berlusconi ha una sola strada: diventare più forte in Mediaset, comprare azioni.

Ci sono, è vero, paesi più “chiusi” (Francia e Germania) nel senso che in caso di assalto a loro imprese, le altre si mobilitano e fanno blocco. Da noi nessuno fa blocco perché tutti tentano di sopravvivere e certo non hanno i mezzi per occuparsi di altri.