Perché l’Italia è un paese bloccato da quindici anni e non crescerà più

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 2 Agosto 2014 - 07:53 OLTRE 6 MESI FA
Perché l'Italia è un paese bloccato da quindici anni e non crescerà più

Giuseppe Turani: Perché l’Italia è un paese bloccato da quindici anni e non crescerà più

Giuseppe Turani ha scritto questo articolo col titolo L’arte di perdere tempo su Uomini & Business di cui è direttore.

Hanno ragione quelli che sostengono che se la politica italiana fosse una cosa seria, approverebbe in un pomeriggio riforma del Senato e riforma elettorale, e poi si dedicherebbe (se ne è capace) a questioni più concrete, tipo la crescita che non c’è.

È vero che le due riforme proposte hanno parecchi difetti e forse è anche vero che la mia assemblea di condominio potrebbe fare di meglio. Ma il punto non è questo.

Il punto è che si chiude con il bicameralismo perfetto (cosa che in Europa hanno già fatto tutti) e si va verso una nuova legge elettorale un po’ più sensata di quella che c’era fino a ieri e che è stata bocciata (giustamente) dalla Corte Costituzionale.

Ripeto: sono riforme perfettibili. E nei prossimi anni il Parlamento avrà modo e tempo di occuparsene. Ma, per adesso, ci dovremmo accontentare di quello che sta arrivando. Per concentrarci sulle vere questioni. Anzi, sulla vera, unica e tremenda questione: siamo un paese bloccato e lo siamo da dieci-quindici anni. In queste condizioni tutto quello che si fa, magari anche di buono, alla fine è sbagliato o non serve a niente.

Se non si cresce non ci sono tagli di spesa sufficienti per tenere insieme i conti. Non ci sono diavolerie sul mercato del lavoro in grado di far crescere l’occupazione. E anche i sindacati fanno un po’ la figura dei disperati che gridano nel deserto: se le aziende non vendono e si trovano con i conti in rosso, hanno un bel correre la Camusso e i suoi amici dal Governo. I ministri possono solo allargare le braccia e guardare verso il cielo.

Ma perché siamo un paese bloccato? In realtà lo sanno tutti, solo che fanno finta di non saperlo.

Possiamo fare qualche esempio. Sul mercato del lavoro si continua a discutere e a legiferare. In realtà ha ragione il professor Giulio Sapelli: il nostro impianto legislativo sul lavoro andrebbe raso al suolo, dal primo all’ultimo articolo. E poi bisognerebbe fare qualcosa ex-novo di più moderno e di più sensato. Ma non si fa.

Giustizia. Solo in quella civile sembra che ci siano cinque milioni di cause arretrate. Aziende e persone muoiono in attesa di una sentenza che arriverà quando non ci saranno più (e quindi sarà inutile).

Pressione fiscale. Secondo la Confcommercio siamo sopra il 53 per cento e deteniamo il record mondiale. A questo valore si arriva tenendo conto del fatto che alcuni non pagano niente (evasori) e quindi tutto il carico grava su quelli che invece pagano. Solo che, e qui siamo al nodo della questione, con una pressione fiscale così elevata e con una classe politica così inaffidabile, la crescita è impossibile. Ci potrà essere (come sembra che avverrà nel 2015) qualche lieve sussulto dovuto al miglioramento della congiuntura internazionale, ma non si riuscirà a imboccare uno stabile percorso di crescita economica.

C’è chi sostiene che con una pressione fiscale sopra il 40 per cento non si può avere crescita. Se fosse vero, bisognerebbe tagliare ben 13 punti percentuali di spesa per avere il risultato desiderato. Ma 13 punti di spesa significano circa 200 miliardi in meno di soldi da spendere. E è ovvio che non si può fare tagliando sprechi e altro (come ancora pensano molti a sinistra). Bisognerebbe eliminare la corruzione e l’evasione, ma abbiamo già spiegato come questo sia impossibile senza ridisegnare uno Stato più semplice e più chiaro.

Ridurre gli sprechi non basta, questa è la verità. Bisogna avere la forza di immaginare uno Stato che costi meno, ma che riesca a fornire ai cittadini i servizi fondamentali.

Ma fino a quando l’intera politica italiana è bloccata intorno a una riforma del Senato (già in vigore in tutta Europa) o quando si perde tempo intorno alle preferenze (fino a ieri giudicate da tutti strumento di corruzione), e che comunque oggi sono in vigore solo in Grecia, è difficile che si possa cambiare.

Al punto che a me comincia a venire un sospetto: la politica tira in lungo con questioni come il Senato e la legge elettorale perché sulle cose vere, la crescita, non saprebbe che cosa dire.

Si lasciano le cose così come sono, tutto andrà a rotoli, e a quel punto si chiederanno con forza le elezioni, sperando di vincerle. E si fa un altro giro.

Ecco perché da quindici anni siamo un paese bloccato. Bel Paese.