Ezio Cesarini, giornalista partigiano fucilato 70 anni fa

di Pierluigi Franz
Pubblicato il 27 Gennaio 2014 - 12:25 OLTRE 6 MESI FA

Tre settimane dopo avvenne un fatto di rilevante importanza. Alle 12,40 del 26 gennaio, mentre saliva la scala di accesso alla mensa universitaria in via Zamboni insieme ad altri camerati, il Federale del fascio Eugenio Facchini venne infatti ucciso in un attentato da due partigiani che gli si erano fatti incontro sparando alcuni colpi di arma da fuoco. Vennero attivati posti di blocco in città ed in particolare controlli nei confronti dei ciclisti, poiché la bicicletta era il mezzo più usato dai gappisti per le loro azioni improvvise. Il giorno seguente venne messa una taglia di un milione di lire – cifra enorme per quel tempo – a chi avesse anche soltanto favorito la cattura degli attentatori. Ma nessuno si presentò a riscuotere quel denaro.

Scattò allora la rappresaglia. Per compierla furono scelti 10 antifascisti che già si trovavano in carcere. Ezio Cesarini fu così condannato a morte assieme ad altri 9 prigionieri politici: Alfredo e Romeo Bartolini, Alessandro Bianconcini, Silvio Bonfigli, Cesare Budini, Francesco D’Agostino, Zosimo Marinelli, Sante Contoli e Luigi Missoni. Ma questi ultimi due non furono giustiziati: a Missoni l’esecuzione venne sospesa, essendo mutilato di guerra e decorato di Medaglia d’Oro al v.m. (per una tragica fatalità morì poi nel carcere di Castelfranco Emilia durante un bombardamento aereo), mentre a Contoli la pena capitale fu commutata in 30 anni di carcere, ma morì nel campo di concentramento di Mauthausen.

La mattina del 27 gennaio 1944 Ezio Cesarini scrisse in carcere 5 toccanti lettere (vedere l’allegato in calce): due all’adorata moglie Enna in cui si ricordavano anche gli amati figli Cesarina, Vittoria e Metello (quest’ultimo seguì poi le orme del padre come giornalista e fu per anni redattore capo e vice direttore de «il Resto del Carlino»), due al fratello Mario e una alle tre sorelle Bice, Vera ed Elsa.

Verso mezzogiorno venne prelevato con gli altri sette compagni per essere portato al prato della fucilazione nel poligono di tiro in via Agucchi a Borgo Panigale. Ma durante il trasferimento Cesarini tentò la fuga: cogliendo un attimo di distrazione dell’ufficiale di scorta, gli strappò la pistola, forzò con una spallata il portello del furgone cellulare e cercò di fuggire nella campagna. Ma fu colpito alle gambe dalle schegge di una bomba a mano lanciatagli contro e portato sanguinante davanti al plotone, comandato dal commissario del fascio di Imola Guerrino Bettini che aveva espressamente richiesto al segretario della federazione fascista di Bologna l’«onore» di ordinare il fuoco.

Ezio Cesarini morì gridando: «Viva l’Italia libera!» 

Riconosciuto partigiano nella brigata “Matteotti Città”, dal 9 settembre 1943 al 27 gennaio 1944, gli fu poi conferita alla memoria la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “Ardente patriota, attivamente ricercato dai nazifascisti, dava prezioso apporto alla causa patriottica, distinguendosi in molteplici circostanze per coraggio, entusiasmo e fattive iniziative. Scoperto ed arrestato a Bologna mentre svolgeva una pericolosa missione affidatagli dal “Centro” di Roma, e condannato a morte per vile rappresaglia, affrontava virilmente il martirio, facendo sereno olocausto della sua vita per il riscatto della Patria e della libertà”.

Il Comune di Bologna ha intitolato ad Ezio Cesarini una strada nel Quartiere Navile, mentre l’Ordine dell’Emilia-Romagna gli ha intestato la sala delle riunioni nella sede di Strada Maggiore 6.

Nel dopoguerra, nell’atrio dello stabilimento tipografico de “il Resto de Carlino, quando ancora aveva sede in via Gramsci, venne apposta a cura dell’ASEM (Associazione Stampa Emilia Marche) una lapide con la seguente epigrafe:

“Ezio Cesarini, giornalista

lottò e morì perché l’Italia fosse libera.

Iniqua sentenza

lo trasse davanti al plotone fascista

il 27 gennaio 1944.

L’Associazione Stampa Emiliana

fiera del suo glorioso Caduto

ricorda con lui il pubblicista

Nino Giovanni Brizzolara 

vittima dello stesso odio di parte. “