Come lo Stato può rimborsare la perequazione a 6 milioni di pensionati

di Pierluigi Franz
Pubblicato il 6 Maggio 2015 - 11:05 OLTRE 6 MESI FA
Come lo Stato può rimborsare la perequazione a 6 milioni di pensionati

Pensionati

ROMA – In questi giorni non si fa altro che parlare su come lo Stato fronteggerà il “buco” di bilancio venutosi a creare dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 70 di giovedì scorso che ha cancellato il blocco della perequazione su 6 milioni di pensioni. imposto da una norma del 2011 del governo Monti-Fornero.

C’é chi ha inventato che per riavere i soldi ogni pensionato dovrebbe fare ora addirittura causa all’INPS con conseguente paralisi dei tribunali, ma con costi triplicati per le spese legali che l’ente previdenziale dovrebbe poi sostenere. C’è chi afferma, invece, che la pronuncia dell’Alta Corte varrebbe solo per i titolari di pensioni medio basse, ma non per quelli di pensioni medio-alte. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.

Tutto ruota sull’importo esatto del “buco” per lo Stato: 4 miliardi 800 milioni di euro secondo le prime stime del Ministero dell’Economia, 10 miliardi di euro secondo altre o addirittura 13 miliardi di euro secondo altri calcoli più o meno fantasiosi. E per risparmiare si ipotizzano tagli qua e là alla cieca senza criteri, ma fingendo di ignorare che siamo di fronte ad una sentenza di illegittimità costituzionale di una norma di legge.

La decisione della Corte Costituzionale, pubblicata mercoledì 6 maggio sulla Gazzetta Ufficiale, è in vigore da giovedì 7 maggio 2015. Poiché in uno Stato di diritto, come l’Italia, i verdetti dell’Alta Corte vanno rispettati, si dovranno ora trovare i fondi necessari per la copertura, come prevede l’art. 81 della Costituzione, naturalmente, con saggezza, equità, buon senso ed equilibrio.

In un suo approfondito studio di due anni fa Stefano Maria Cicconetti, docente emerito di diritto costituzionale nella Università di Roma Tre, ricorda che nella sentenza n. 88 del 1966, parzialmente anticipata dalla sentenza n. 73 del 1963 (poi confermata dalle sentenze nn. 233 del 1983, 922 del 1988, 350 del 2010 e 245 del 2012), i giudici della Consulta affermano che così come “l’art. 136 della Costituzione sarebbe violato ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia, del pari contrastante col precetto costituzionale deve ritenersi una legge la quale, per il modo in cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, persegue e raggiunge, anche se indirettamente, lo stesso risultato”. Inoltre, l’art. 136 “non solo comporta che la norma dichiarata illegittima non venga assunta a criterio di qualificazione di fatti, atti o situazioni, ma impedisce anche, e necessariamente, che attraverso una legge si imponga che fatti, atti o situazioni siano valutati come se la dichiarazione di illegittimità costituzionale non fosse intervenuta”.

In particolare nella sentenza n. 88 del 1966, la Corte precisa che “l’opinione … secondo la quale l’art. 136 della Costituzione, disponendo che la norma di legge dichiarata costituzionalmente illegittima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, avrebbe per destinatario solo chi è chiamato ad applicare la legge e non anche il legislatore, appare priva di fondamento. La disposizione costituzionale, invero, pone un divieto che non può non operare erga omnes: essa, infatti, non solo comporta che la norma dichiarata illegittima non venga assunta a criterio di qualificazione di fatti, atti o situazioni, ma impedisce anche, e necessariamente, che attraverso una legge s’imponga che fatti, atti o situazioni siano valutati come se la dichiarazione di illegittimità costituzionale non fosse intervenuta”.

In sintesi, scrive Stefano Maria Cicconetti, sono 3 i principi che si ricavano dalla giurisprudenza della Corte a proposito dell’articolo 136 della Costituzione:

1) esso non consente compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione;

2) ha per destinatario non soltanto chi è chiamato ad applicare la legge ma anche il legislatore;

3) vieta alla legge d’intervenire, “anche se indirettamente”, sugli effetti prodotti per il passato da una norma dichiarata incostituzionale.

Pertanto che volesse far “rivivere norme già divenute inefficaci in conseguenza del loro annullamento da parte della Corte” violerebbe il “rigore del precetto racchiuso nel primo comma dell’articolo 136” che impone al legislatore di uniformarsi alla “immediata cessazione dell’efficacia della norma illegittima” (Corte costituzionale, sentenza 73/1963).

Per quanto riguarda il rimborso degli arretrati relativi alla mancata perequazione delle pensioni sino ad oggi sembra quindi segnata la strada che dovrà seguire il premier Matteo Renzi per rispettare in pieno la sentenza n. 70 senza violare l’art. 136 della Costituzione.

L’unica via d’uscita corretta è quella di applicare puntualmente la decisione rateizzando da 2 a 5 anni gli importi per il passato con un’apposita norma da inserire nella prossima legge di stabilità per il 2016. In pratica, il debito dello Stato potrebbe essere spalmato e diluito nell’arco di 2/5 anni in aggiunta ai normali vitalizi mensili in pagamento, rendendone così pienamente sopportabile l’onere per l’Erario e l’INPS anche perché almeno un terzo dei rimborsi (ma con punte anche del 43%) rientrerebbe subito nelle casse pubbliche attraverso la tassazione IRPEF e le addizionali comunali e regionali.

D’altronde é questa la strada già seguita dal Governo Letta e dallo stesso Governo Renzi e convalidata dal Parlamento con buona pace di tutti.

Nel 1° caso l’art. 1, comma 180, della legge di stabilità per il 2014 (cioé la n. 147 del 2013) ha previsto il rimborso di 80 milioni di euro (20 per il 2014 e 60 per il 2015) a tutti i pensionati che dall’agosto 2011 al giugno 2013 avevano subito il taglio della loro pensione di importo superiore ai 90 mila euro lordi l’anno. Anche in questo caso vi era stata una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 116 del 5 giugno 2013) a bocciare il taglio. E il rimborso é avvenuto d’ufficio per tutti i pensionati interessati senza bisogno che si rivolgessero ad un giudice con una nuova vertenza civile per far applicare la pronuncia di incostituzionalità.

Nel 2° caso l ‘art 1, comma 281, della legge di stabilità per il 2015 (cioé la n. 190 del 2014) ha previsto il rimborso di 535 milioni di euro in favore delle Poste Italiane Spa in ottemperanza alla sentenza del tribunale dell’Unione europea del 13 settembre 2013 (causa T-525/08, Poste italiane contro Commissione) in materia di aiuti di Stato, scaricabile dal sito (clicca qui), che ha disposto la restituzione da parte dell’Italia dei soldi versati nel 2008 dal gruppo postelegrafonico. Anche in questo caso, pur trattandosi di un importo molto consistente (oltre mezzo miliardo di euro) in favore di un unico beneficiario (cioé le Poste) lo Stato ha provveduto a pagare senza fare polemiche proprio perché l’Italia é la “patria del diritto”.

Diversa potrebbe essere, invece, la decisione del Governo relativa alla futura rivalutazione monetaria delle pensioni da medio basse in su a partire da oggi in poi. La strada da seguire potrebbe essere quella già adottata dal 1° gennaio scorso nell’ultima legge di stabilità (la n. 190 del 2014), ma attenuandola ulteriormente per compensarne i costi. Alla fine potrebbero essere quindi penalizzate le pensioni medio-alte a vantaggio di quelle medio-basse. Ma su questo aspetto vi è un maggiore margine di manovra e la discrezionalità del legislatore è molto ampia.

In tal modo sarebbe, da un lato, rispettata alla lettera la sentenza n. 70 della Corte Costituzionale, e, dall’altro, sarebbero contenuti al massimo gli effetti negativi per le casse dello Stato.

Un’ultima considerazione: i pensionati per loro natura sono certamente la categoria di contribuenti che, mantenendo oggi spesso anche figli e nipoti disoccupati o inoccupati, fa più circolare il denaro. Pertanto qualunque somma di cui dovessero disporre in più sulle loro pensioni sarebbe rimessa in circolo a tutto vantaggio dell’economia del nostro Paese.