Pensioni, Corte Costituzionale coerente, politici e super tecnici fanno orecchie da mercante

di Pierluigi Franz
Pubblicato il 4 Maggio 2015 - 17:11| Aggiornato il 6 Novembre 2020 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni, Corte Costituzionale coerente, politici e super tecnici fanno orecchie da mercante

Pensioni, Corte Costituzionale coerente, politici e super tecnici fanno orecchie da mercante

ROMA – Ai politici e ai “tecnici” o “supertecnici” smemorati che criticano la “storica” sentenza n. 70 della Corte Costituzionale (Presidente Alessandro Criscuolo, relatrice Silvana Sciarra) che ha finalmente sbloccato dopo anni la perequazione sulle pensioni da medio basse in su‏, cioè di importo superiore a euro 1.217,00 netti al mese, vorrei ricordare che la Consulta ha semplicemente posto riparo ad una grave e discriminatoria ingiustizia, cioè il mancato adeguamento dei vitalizi al costo della vita e, applicando alla lettera la Costituzione, ha ripristinato lo stato di legalità dopo che vari Governi e Parlamenti in diversa composizione si sono reiteratamente infischiati degli “ultimatum – o, più elegantemente, dei “moniti” – dell’Alta Corte a partire dal 2004 in poi.
Era quindi un verdetto largamente prevedibile che non può e non deve suscitare alcuno scandalo, almeno fino a quando resterà in vigore l’attuale Carta repubblicana.

A chi apre la bocca e gli dà fiato senza conoscere bene i fatti consiglierei un’attenta rilettura in particolare di 3 sentenze: la n. 30 del 23 gennaio 2004 (Presidente Riccardo Chieppa, relatore Ugo De Siervo), la n. 316 dell’11 novembre 2010 (Presidente Francesco Amirante, relatore Luigi Mazzella) e la n. 116 del 5 giugno 2013 (Presidente Franco Gallo, relatore Giuseppe Tesauro), che dimostrano l’assoluta coerenza, correttezza ed equità dei giudici della Consulta, nonché il loro equilibrio e buon senso.
Lo Stato, che aveva già bloccato la perequazione delle pensioni per il 1998 e il 2008 ed ha poi reiterato la mancata rivalutazione monetaria di milioni di vitalizi anche per il 2012, 2013 e 2014, ha, invece, scelto la strada senza uscita di infischiarsene dei moniti della Consulta e di “rapinare” di fatto milioni di cittadini.

E’ notorio, infatti, che la pensione ha la funzione di “retribuzione differita” e, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato. In sostanza il danno del blocco della perequazione é irreparabile ed ha effetti negativi permanenti sulle pensioni.
Questi i principi affermati nei 3 precedenti verdetti della Corte Costituzionale, che, come è noto, parla attraverso le sue sentenze:

1) sentenza n. 30 del 2004, meglio spiegata nel mio articolo allegato in calce e riportato su http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=107: “il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell’entità dei trattamenti di quiescenza rispetto alle effettive variazioni del potere di acquisto della moneta, sarebbe indicativo dell’inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione”;

2) sentenza n. 316 del 2010: “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.

3) sentenza n. 116 del 2013: “il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro”. Pertanto si determina un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un “universale” intervento impositivo». Se da un lato l’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile di consentire il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano, dall’altro ciò non può e non deve determinare ancora una volta un’obliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza, sui quali si fonda l’ordinamento costituzionale”.

L’unico argomento che viene sbandierato oggi da politici, “tecnici” o “supertecnici” per cercare pervicacemente di contestare la decisione dell’Alta Corte é che lo Stato dovrebbe rimborsare tra i 5 e i 10 miliardi di euro, cioé un costo troppo alto cui far fronte. Ma, guarda caso, ci si dimentica di ricordare che:
1) che davanti alla Consulta la Presidenza del Consiglio, rappresentaa dall’Avvocatura dello Stato, ha quantificato in 4 miliardi 800 milioni di euro l’esborso per la Stato in caso di sentenza di incostituzionalità. E ciò in base a stime precise del Ministero dell’Economia. Come si fa allora a parlare di cifre comprese fra i 5 e i 10 miliardi di euro? Non si indicano forse importi a caso?
2) i pensionati sono notoriamente i maggiori contribuenti italiani che hanno sempre pagato puntalmente le tasse ed hanno finora funzionato per i vari Governi come una sorta di Bancomat;
3) sul totale del rimborso dovuto in base alla sentenza n. 70 del 2015 lo Stato recupererà all’istante in media circa un terzo sotto forma di tassazione IRPEF (con punte anche del 43%) e incasseranno automaticamente molti soldi anche i Comuni e le Regioni con le 2 addizionali previste dalla legge. Di conseguenza le stime di 4,8 miliardi – o addirittura di 5/10 miliardi di euro – sono comunque al lordo delle tasse, e non al netto;
4) che in ogni caso il rimborso dovuto in base alla sentenza n. 70 del 2015 potrà per il passato essere dilazionato dallo Stato in più anni, come é già avvenuto nella legge di stabilità per il 2014 per restituire i circa 80 milioni di euro corrispondenti ai tagli in vigore dall’agosto 2011 al giugno 2013 (data della sentenza della Corte Costituzionale n. 116) sulle pensioni di oltre 90 mila euro lordi l’anno;
5) la tassazione IRPEF cui sono sottoposti i pensionati italiani é la più alta d’Europa a differenza di quanto avviene, ad esempio, in altri Paesi come la Germania o il Portogallo dove ogni anno i pensionati pagano meno della metà;
6) l’art. 53 della Costituzione prevede che tutti i cittadini contribuiscano a parità di reddito, in quanto i sacrifici che lo Stato può richiedere riguardano tutti indistintamente. E’ un principio basilare riaffermato in particolare nella sentenza della Consulta n. 116 del 2013. Pertanto non può essere tartassata solo la categoria dei pensionati, solo perché é quella più facile da colpire, ma devono pagare le tasse e, in particolare, il contributo di solidarietà anche tutti gli altri cittadini (cioé i lavoratori autonomi e dipendenti pubblici e privati, enti e società) che annualmente dichiarino gli stessi guadagni al fisco;
7) lo Stato continua incredibilmente ad elargire migliaia di generosi e sostanziosi vitalizi a ex deputati, senatori, parlamentari europei, Governatori e consiglieri regionali e Sindaci di grandi città che finiscono di fatto per usufruire gratis di una seconda pensione pagata da “Pantalone” in base ad una distorta interpretazione dell’art. 31 dello Statuto dei lavoratori in vigore da 45 anni, che sarebbe costata sinora all’Erario almeno 5 miliardi di euro. ;
8) lo Stato ha la possibilità di ricavare forti entrate attraverso una vera lotta all’evasione fiscale, anziché continuare a prendersela sempre con chi non sfugge.
In conclusione, le sentenze dell’Alta Corte, in base all’art. 136, 1° comma, della Costituzione vanno applicate senza se e senza ma, cioé senza fantasiose ipotesi che provocherebbero solo una valanga di ricorsi in tutti i tribunali. A partire da giovedì 7 maggio (giorno successivo alla pubblicazione della sentenza n. 70 della Consulta sulla Gazzetta Ufficiale) perderà quindi valore giuridico la norma di cui all’art. 24, comma 25, del decreto legge Monti-Fornero del 6 dicembre 2011 n. 201, convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011 n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento».
Ciò non consente che possa essere costruita ora un’altra disposizione di legge ad hoc con effetto retroattivo a danno di 6 milioni di pensionati e delle loro famiglie.
Pertanto l’adeguamento al costo della vita delle pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS non é certo colpa della Consulta, ma solo dei vari Governi che per 11 anni hanno voluto apertamente sfidare la Corte, infischiandosene altamente dei suoi cortesi e reiterati inviti, e, anzi, perseverando ostinatamente nell’errore di bloccare per anni l’adeguamento dei vitalizi al costo della vita, come se i pensionati fossero dei cittadini di serie B.