Recovery, cosa c’è per me? A a me cosa ne viene? Domanda primigenia ed esaustiva di ogni attività, professione, categoria, mestiere, lobby, sindacato, partito, territorio, famiglia di cui si compone il paese. Dalla risposta alla domanda tradizionalmente discendono comportamenti, adesioni, opposizioni, veti, emendamenti, aggiunte, schieramenti, interpretazioni, limature, eccezioni, regimi speciali e, ultimo ma non ultimo, voti parlamentari e voti elettorali. Beh, stavolta nel Recovery per il “me” e solo per il “me” c’è qualcosa di mai più assaggiato da decenni: il “noi”.
Recovery uguale un contratto, un contratto valido sei anni. L’Italia lo firma questo contratto e si impegna a rispettarlo. Il contratto dice che la Ue con circa 200 mld e i mercati finanziari con la fiducia sul debito pagano all’Italia il costo di cambiare la Giustizia (senza che prevalga il “me” dei magistrati), il costo di cambiare la Pubblica Amministrazione (senza che prevalga il “me” dei sindacati), il costo di cambiare la concorrenza (senza che prevalga il “me” di chi già oggi occupa posizioni di mercato, leggi professioni, commercio, pubbliche concessioni), il costo di cambiare il fisco (senza che prevalga il “me” di evade ed elude e per giunta fa finta di non farlo.
Se l’Italia non rispetta le clausole del contratto, se il “noi” non prevale sui tanti “me”, se in Italia non si rovesciano i rapporti di forza esistenti tra i tanti e accuditi “me” il il diserto e solitario e abbandonato “noi”, allora non solo smettono di arrivare i miliardi della Ue. Questo sarebbe il danno perfino minimo. Se l’Italia dei “me” disattende agli impegni sottoscritti, il danno maggiore e inevitabile sarà che qualunque governo dell’Italia dei “me” non potrà più fare né deficit né debito, i mercati mondiali ritireranno la fiducia ad un paese super indebitato che non vuole e non sa cambiare la sua giustizia, fisco, Pubblica Amministrazione, mercato del lavoro, legislazione e pratica della concorrenza.
Recovery è un contratto vincolante a fare le riforme, a cambiare i connotati, le abitudini, i vizi della Giustizia, della Pubblica Amministrazione, del fisco, della concorrenza…Tutte cose alle quali sono affezionati e avvinti milioni di dipendenti pubblici, centinaia di migliaia di professionisti, centinaia di migliaia di commercianti, migliaia di magistrati, decine di milioni di avvantaggiati da un fisco storto. Recovery vuol dire contratto per cui se ci teniamo ciò a cui tengono milioni e milioni di italiani, allora siamo…fuori. Fuori e in conclamato default non solo finanziario ma anche politico perché davanti agli occhi del mondo inadempienti in un contratto altamente favorevole.
In Parlamento in due giorni non sembravano in molti ad averlo neanche lontanamente capito cosa è Recovery contratto. Non va meglio nella pubblica opinione o nei luoghi della comunicazione. Resta incerto se non capiamo o non vogliamo capire. Di sicuro è come se stessimo firmando il contratto per il mutuo per la casa della vita e animatamente discutessimo se nel durante o nel dopo il caffè di giornata possa o debba essere preso con lo zucchero o no. Una collettività che mentre firma indifferente il Recovery si impenna non poco d’umore e di fatto su coprifuoco alle 22 o alle 23, o è troppo furba o troppo sciocca. Di sicuro un troppo che stroppia.