Regione Lazio: il “che fare” di un Presidente

di Marcello Degni
Pubblicato il 16 Marzo 2010 - 17:59| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Quando, dopo l’ennesimo ricorso, si giungerà finalmente al voto, qualcuno vincerà le elezioni e ciò che non è stato discusso nella campagna elettorale tornerà all’ordine del giorno. I problemi della Regione Lazio sono enormi e la vicenda delle liste li ha completamente offuscati.

Il futuro Presidente del Lazio dovrà risollevare la reputazione amministrativa della Regione, ridotta ai minimi termini. Un compito arduo. Ciascun residente nel Lazio paga in media oltre 300 euro l’anno di imposte regionali in più rispetto ai cittadini delle altre Regioni, il disavanzo sanitario è il più alto d’Italia, la sanità è commissariata, la macchina amministrativa è un carrozzone inefficiente, le società regionali non sono state riorganizzate e gestiscono prevalentemente clientele, il patrimonio regionale è sconosciuto, gli enti inutili e costosi sono rimasti intatti.

La spesa per investimenti è fuori controllo, incompatibile con un livello sostenibile dell’indebitamento regionale (che non potrà nei prossimi anni superare i 500 milioni annui). La spesa corrente è in disavanzo, per circa 200 milioni, portata in pareggio da alchimie contabili, come la sovrastima dei recuperi sul lato delle entrate. Le spese inutili sono moltissime, nonostante gli annunci di codici etici e bilanci sobri e rigorosi. Il patto di stabilità interno per il 2009 non sarà rispettato, a meno di acrobazie contabili (come l’accollo del debito da parte delle banche tesoriere) che farebbero drizzare i capelli alla Corte dei Conti.

Che fare, quindi? Primo, sanità. Cercare, e non sarà facile, di mantenere il disavanzo per il 2009 ed il 2010 ai livelli annunciati (1350 e 1000 milioni). Rinegoziare un nuovo piano di rientro con il Governo che preveda una riduzione dei costi di produzione di 200 milioni annui per realizzare il riequilibrio dei conti nell’arco della legislatura (prevedendo anche adeguati ammortizzatori sociali). Mantenere immutate le addizionali regionali come garanzia del processo di risanamento e riserva per i possibili sfondamenti in corso d’opera. Evitare un approccio conflittuale con il Governo sulla fine del commissariamento, che ragionevolmente potrà essere superato solo al termine del percorso. Ricostruire l’assessorato alla sanità, a partire dalla figura dell’assessore (che dovrà affiancare il commissario di governo) e dalle direzioni generali (del tutto inconsistenti). I direttori delle aziende sanitarie devono essere scelti al di fuori delle logiche partitiche ed avere il pieno controllo (e responsabilità) dei propri budget, compresa la parte relativa all’acquisto di servizi dalle strutture accreditate e classificate. Evitare di modificare il numero delle ASL esistenti: si perderebbe l’intera legislatura a raccordare i flussi finanziari. Potenziare il gruppo di coordinamento regionale che si è occupato della riorganizzazione dei pagamenti sanitari (il principale successo della Giunta Marrazzo), facendone, nell’ambito dell’assessorato alla sanità, lo strumento per governare l’intero ciclo passivo della spesa sanitaria (si tratta di oltre 10 miliardi di costi di produzione gestiti attraverso un flusso ancora in gran parte cartaceo).

Secondo, il patto di stabilità. Attuare il piano di riorganizzazione delle società regionali elaborato all’inizio della legislatura e rimasto sulla carta, che prevede l’ eliminazione di molte società inutili (Risorsa, Litorale, Banca impresa Lazio, Filas, Unionfidi). Sfoltire drasticamente gli enti regionali, internalizzando le funzioni. Setacciare le spese regionali eliminando sprechi e spese inutili. Riduzione drastica delle spese di investimento, che andrebbero più che dimezzate (da 2,5 ad 1 miliardo). Censimento del patrimonio regionale e riorganizzazione degli spazi, per ridurre l’elevato peso degli affitti (anche su questi temi esistono progetti inattuati). Questi interventi riporterebbero in attivo il bilancio regionale e consentirebbero rispetto del patto e alcune politiche attive. Resta la massa dei mandati di pagamento inevasi relativa agli anni pregressi ma, se c’è l’avanzo di bilancio, con l’impiego dello scoperto di tesoreria regionale, nell’arco di alcuni anni, si potrebbero riallineare i flussi (e risparmiare oneri per interessi passivi).

Terzo, la macchina amministrativa. E’ forse il punto più difficile, perché si tratta di sradicare prassi consolidate di inefficienza ed incompetenza. Rotazione massiccia dei dirigenti, direttori esterni scelti in base alla professionalità, eliminazione degli incarichi multipli, che fanno totalizzare ad alcuni stipendi spropositati. La retribuzione legata al conseguimento del risultato, pari al 40 per cento del totale, viene attualmente erogata a tutti integralmente (l’oscillazione è tra il 99 e il 100 per cento) attraverso procedimenti fittizi di valutazione. Per rendere il procedimento di valutazione effettivo, e migliorare l’efficienza della amministrazione, va istituito un nucleo di valutazione indipendente. Riscrittura dei regolamenti, in particolare quello del Consiglio, fermo agli anni settanta, per razionalizzare l’attività legislativa, e di quello amministrativo, per togliere stratificazioni e incrostazioni. Completamento della riorganizzazione del processo di bilancio regionale, introducendo un controllo preventivo sulla spesa attivabile attraverso leggi e delibere regionali. Solo così sarà possibile evitare che i conti vadano fuori controllo. Infine una struttura di studi e ricerche, autonoma e di elevata qualità scientifica (come quella recentemente soppressa da Sviluppo Lazio), che sappia fornire alla politica elementi utili per la decisione.