Calciomercato inverno 2013: pochi soldi, “anziani” cari, club stranieri ricchi

di Renzo Parodi
Pubblicato il 3 Gennaio 2013 - 20:49 OLTRE 6 MESI FA

Il calciomercato invernale 2013 è partito giovedì 3 gennaio e si concluderà il 31. È il mercato di riparazione, che consentirà a molte squadre di cambiare faccia e in generale, di ridisegnare le gerarchie del campionato. Ma…

Nel pieno del tunnel della crisi che non risparmia neppure lo sport nazionale, il più amato dagli italiani, il calcio of course, capita di leggere che l’oggetto del desiderio di tre dei massimi club nostrani abbiano le sembianze – e i relativi conti in banca .- di due gloriosi footballers, onusti di trofei e di gloria, nonché di primavere, poiché entrambi si apprestano a virare oltre la boa dei 35 anni. Un’età che nel pallone normalmente prelude all’addio definitivo.

Didier Drogba e Frankie Lampard, centravanti ivoriano il primo, centrocampista inglese il secondo, guadagnano, l’uno per l’altro, tra i sette e gli otto milioni di euro a stagione. Netti, s’intende, quindi l’aggravio per i rispettivi club in Italia all’incirca raddoppierebbe. E’ normale che Milan, Juventus e Inter – questi i tre club in corsa – si lascino risucchiare in business che farebbero saltare per aria i parametri di bilancio, nonché i delicati equilibri di spogliatoio? Ammesso e non concesso che Drogba e Lampard, alla loro veneranda età, in campo possano risultare decisivi nel migliorare il quoziente tecnico delle rispettive squadre.

C’è qualcosa di profondamente malato, di terribilmente morboso nel sangue che circola nel corpaccione pletorico del calcio nostrano, nel pallone professionistico che rotola verso il miliardo di euro di debiti, finora coperti dalle elargizioni dei presidenti, in alternativa a cessioni sempre più onerose che scatenano spesso la rabbia delle tifoserie che non accettano ridimensionamenti, riequilibri di bilancio, tagli e riduzioni di spese ma esigono squadre sempre più competitive, fosse pure a costo di prenotare la rovina prossima futura.

Gli ancor freschi ricordi dei fallimenti di illustri società (Palermo, Torino, Napoli, Fiorentina) non hanno evidentemente lasciato eredità memorabili nelle coscienze di dirigenti e tifosi. La corsa ai superingaggi prosegue, a dispetto della terribile congiuntura che affligge il Paese, prostrato nelle sue pieghe/piaghe sociali. Il calcio si ostina a viaggiare su binari sideralmente lontani dalla realtà quotidiana degli uomini comuni.

Proprio gli stessi che, qui sta un altro paradosso, affollano (si fa per dire, le presenze calano da anni) gli stadi italiani. Salta agli occhi la contraddizione patente tra l’austerity proclamata e – è solo uno dei tanti esempi possibili – l’offerta della Lazio a Lampard: tre milioni di euro netti a stagione per tre anni. Eppure il presidente, Claudio Lotito aveva pilotato il club biancoceleste al sicuro attraverso una drastica cura dimagrante tagliando ingaggi e spese, e centellinando con abilità gli investimenti.

Una quadratura del cerchio ottenuta, va ricordato, col decisivo “aiutino” statale, sotto forma di legge spalma debiti che aveva generosamente diluito in vent’anni la mostruosa somma di 200 miliardi di debiti accumulati dalle precedenti gestioni. Un regalo inaudito, che qualunque contribuente infedele si sogna la notte. Ma si sa che il calcio gode di una sorta di extraterritorialità, in Italia.

Ebbene, tanta munificenza, a carico dei contribuenti (quelli onesti, la maggioranza di noi, che le tasse le pagano fino all’ultimo euro) imporrebbe da parte dei club un atteggiamento lineare, starei per scrivere “decente”, nel senso britannico di rispettabile, corretto, onesto.

Il salvagente dei diritti televisivi – che in Italia copre fino al 70% delle entrate e non è una bella notizia – resterà gonfio fino al 2015, riversando nelle casse delle società professionistiche della massima serie la bella somma di un miliardo di euro a stagione. Ma dopo il 2015 può accadere di tutto, in chiave negativa. Il business della pay tv sta perdendo quota, appesantito dalla crisi generale del Paese e da uno spettacolo sportivo obiettivamente non esaltante, oltretutto celebrato in impianti scomodi e costosi per chi li frequenta da spettatore, antieconomici per chi ci gioca. Se non riusciranno a costruire gli stadi di proprietà nel giro di 3-5 anni, i club italiani sono destinati a perdere terreno in termini di competitività rispetto agli avversari inglesi, francesi, tedeschi e spagnoli. Ovvero la crema europea del calcio. Nel frattempo un ridimensionamento delle spese per i club nostrani è un obbligo, non più solo un’opzione.

Silvio Berlusconi si è tirato fuori dalla girandola dei superacquisti chiarendo che Drogba e Osvaldo (altro pezzo pregiato in odore di trasferimento a gennaio) non rientrano nei parametri fissati per il Milan: ringiovanimento dell’organico (El Shaarawy e Di Sciglio gli araldi del nuovo corso), prosciugamento drastico del monte ingaggi (con Ibrahimovic aveva superato largamente i cento milioni di euro a stagione), ricostruzione dal basso di una squadra competitiva ai massimi livelli.

Berlusconi ha pubblicamente scaricato anche Balotelli (“non mi convince come uomo”), dopo peraltro averne tessute le lodi per settimane, agitandolo sotto il naso dei tifosi rossoneri come il vagheggiato nuovo idolo della curva milanista. Ma si sa che Berlusconi ultimamente cambia opinione come le cravatte. Infatti ha elargito un pubblico endorsement al romanista Destro, 21 anni, che la Roma in estate aveva pagato 15 milioni. Un po’ caruccio come giovane.

Prima di muoversi sul mercato in entrata, il Milan dovrà fare cassa. Sacrificherà Pato (15 milioni dal Corinthians, affare in dirittura d’arrivo) e anche Robinho, se il Santos accetterà di pagare i dieci milioni di euro richiesti dal Milan. Ma scartati Drogba (troppo anziano e troppo caro) e Balotelli (troppo bizzarro caratterialmente), escluso Osvaldo che accusa forti mal di pancia in chiave romanista, ma secondo Berlusconi è troppo avanti negli anni (ne ha 26!) a chi si rivolgerà il povero Galliani? Radio mercato suggerisce che Balotelli potrebbe essere il coniglio nel cilindro del Cavaliere, che farà campagna elettorale anche attraverso il Milan.

La lite deflagrata proprio giovedì – documentata sui siti da una eloquente foto sequenza – tra Mancini e Balotelli, che sono venuti alle mani, è sintomatica. Nonostante sia il prediletto dello sceicco proprietario del Manchester City, Balotelli potrebbe davvero essere arrivato al capolinea nella sua avventura inglese. La sintesi finirà per farla Mino Raiola, onnipotente procuratore e del calciatore e grande tessitore di affari pallonari, in eccellenti rapporti con Galliani, col quale ha firmato alcuni colpi di mercato memorabili, vedere alla voce Ibrahimovic.

Qualche segnale in controtendenza rispetto alla corsa al campione, cisti quel che costi, tuttavia sta affiorando. L’Inter ha deciso di scaricare Sneijder che guadagna sei milioni e mezzo (sempre netti) a stagione, nonostante il sacrificio dell’olandese (peraltro inaccessibile per via dell’ingaggio monstre alla quasi totalità dei club europei, salvo il PSG che però si è dichiarato non interessato all’affare) rischi di sguarnire pericolosamente il quoziente tecnico della squadra. Di top player in vista a gennaio non ce ne sono per la Beneamata Inter che si accontenta di ingaggiare il trentacinquenne Rocchi, come ruota di scorta per Milito, che di anni ne ha quasi 34.

Anche la Juventus segna il passo, sebbene sia decisa a colmare il vuoto prodotto dal grave infortunio occorso a Bendtner. Cerca una punta, in attesa che dalla Spagna in estate arrivi il bomber dell’Atletico Bilbao, Llorente, valutazione sui 25 milioni di euro.

Un pensierino su Drogba Marotta lo aveva fatto e l’attenzione sembra rinfocolata dall’interesse dimostrato dall’ivoriano per il campionato italiano. Resta lo scoglio dell’ingaggio, inavvicinabile agli attuali livelli garantiti dallo Shanghai. Borriello è l’alternativa minimalista, Gabbiadini la soluzione interna (è in prestito al Bologna, potrebbe rientrare). Osvaldo – se la Roma lo lasciasse partire, ma è altamente improbabile – sarebbe il colpo clamoroso. Quanto ai sogni, portano i nomi di Jovetic (clausola rescissoria sui 40 milioni) e Cavani (63 milioni). Sogni proibiti, se un minimo di logica alberga nelle cose del calcio.

Il problema di fondo per le Grandi di casa nostra è che devono vedersela con il resto del mondo, segnatamente con corazzate potentemente armate in termini di disponibilità economica. Se il Barcellona rappresenta la sintesi perfetta tra potenza finanziaria a programmazione sportiva, vedi alla voce cantera, la squadra delle meraviglie è formata praticamente per intero da giovani cresciuti nel vivaio di casa. Messi compreso. Il resto del bouquet dell’aristocrazia pallonara schiera potenze devastanti: il Manchester City dello sceicco Al Mansour, lo United del sempiterno sir Alex Ferguson, una sorta di Juventus in salsa inglese per seguito popolare in termini planetari. E soprattutto il Psg dell’Emiro del Qatar, gestito attraverso un fondo di investimento.

Con i 62 milioni versati al Milan per Ibrahimovic e Thiago Silva, i 12 al Pescara per il giovanissimo talento Verratti, i 31 al Napoli per Lavezzi e, storia dei giorni scorsi, i 45 milioni girati al San Paolo per il talento brasiliano Lucas, il Psg, allenato da Carlo Ancelotti, si è installato al primo posto nella classifica dei club più prodighi di investimenti e di conseguenza di principeschi ingaggi. Contro questi giganti, la corsa per le nostre Grandi rischia di trasformarsi in un gioco al massacro.