Calcio. Milan e Lazio battono Juventus e Inter nei corridoi del potere

di Renzo Parodi
Pubblicato il 19 Gennaio 2013 - 19:06| Aggiornato il 21 Gennaio 2013 OLTRE 6 MESI FA

Primo Milan, seconda Lazio, terzo Catania, a seguire in ordine sparso Napoli, Cagliari, Torino, Parma, Bologna, Palermo, Atalanta, Udinese e Genoa. Restano senza più voce né rappresentanza, Juventus, Inter, Roma, Fiorentina, Sampdoria, Siena, Chievo e Pescara.

Ecco qua la classifica virtuale della politica della Serie A italiana di calcio all’indomani della riconferma alla guida della Lega di A, per altri quattro anni, di Maurizio Beretta, rieletto con i 14 voti delle società che abbiamo elencato in testa, premiate per la loro fedeltà con una pioggia di cariche.

Adriano Galliani sarà il vicepresidente più esecutivo che mai, poiché Beretta lavora nel calcio part time, avendo conservato un ricco contratto come manager di Unicredit. E non può assicurare una presenza continuativa… Cairo, Cellino, De Laurentiis, Ghirardi, Guaraldi, Lo Monaco, Percassi, Pozzo e Preziosi – plenipotenziari dei club vincenti – vanno a comporre il consiglio di Lega, organo più consultivo che deliberativo, il potere vero lo terranno in mano Galliani e Lotito. I king makers di Beretta.

Claudio Lotito e Antonino Pulvirenti, presidenti rispettivamente di Lazio e Catania, conquistano addirittura i galloni di consiglieri federali. Siederanno accanto a Giancarlo Abete, riconfermato pure lui alla guida della Figc, Lotito coltiva l’ambizione, scopertissima, di guadagnare un’altra greca: la vicepresidenza della Federcalcio. Il mercato delle vacche, specialità di Casa Italia, ancora una volta ha colpito.

Il fronte anti-Beretta – che inutilmente aveva sostenuto la candidatura di Andrea Abodi (poi subito rientrato alla guida della Lega di Serie B) – si è sgretolato in un amen, Il dietrofront di alcuni club ha decretato la sconfitta dei riformisti – specie che in Italia è sistematicamente destinata ad andare a sbattere contro il muro – ossia di quei club che avevano sposato apertamente la linea del rinnovamento. Ma i princìpi, si sa, da noi finiscono regolarmente per rotolare alla fine. Fa specie che il gruppo delle Grandi si sia spezzato a metà, con Milan, Lazio e Napoli da una parte, e Juve, Inter, Roma e Fiorentina dall’altra. Rimaste prive di qualunque rappresentanza sia in Lega che in Federcalcio.

Guai ai vinti. Eppure il gruppo delle società resistenti (a Beretta) rappresentano all’incirca il 60% della platea calcistica, in termini di pubblico e anche di più per fatturato. Come si fa a lasciare a becco asciutto la Juventus che conta su un seguito popolare di una dozzina di milioni di tifosi ed un club politicamente forte e autorevole anche sulla scena internazionale? Tra le società di medio calibro soltanto la Sampdoria si è schierata col fronte del no e ovviamente è rimasta con un pugno di mosche in mano. In politica lo chiamano spoil system, nel calcio non saprei ma la sostanza è la stessa. Chi vince si prende il banco. E detta le regole e tutti gli altri.

Andrea Agnelli, giovane ma tutt’altro che sprovveduto presidente della Juventus, ha osservato che salgono le scale della gloria (e del potere) personaggi che non avevano quasi mai messo piede in via Rosellini (Milano, sede della Confindustria del calcio). Gente che con la stanze del Palazzo ha poca o nessuna confidenza. Tanto per non fare nomi, il vulcanico presidente del Catania, Antonino Pulvirenti, con un triplo salto mortale si insedia addirittura nella stanza dei bottoni di via Allegri (Roma, la sede della Figc), sotto l’ala protettrice dello scaltro Lotito.

Il presidente laziale, tra un motto latineggiante e una lezione di moralità, ha guadagnato grande ruolo e potere. Il suo programma di governo è semplicissimo: riportare la Lega di A “al centro delle politiche calcistiche”, ipse dixit e potere giurare che dalla plancia di comando della Federcalcio Lotito farà fuoco e fiamme per mantenere gli impegni (con se stesso). Peggio per Abete, che dovrà fronteggiarne le impennate. Lavoro in verità ce ne sarebbe a iosa. A cominciare dalla riduzione della serie A a 18 (almeno) squadre, argomento di competenza federale che avrebbe bisogno di un robusto consenso da parte delle società, ergo della Lega.

Ma è facile immaginare che terrà banco la questione dei diritti tv, assicurati fino al 2015 ma suscettibili di drastici tagli da allora in poi. Soprattutto se il prodotto calcio in Italia continuerà a scadere in termini di qualità e di spettacolo, mortificato per di più dalla pessima situazione logistica: stadi obsoleti, seppure costruiti –con denaro pubblico – appena 25 anni fa, che le società vorrebbero abbandonare o ristrutturare radicalmente diventando proprietarie degli impianti. Un’impresa al limite dell’impossibile con le attuali procedure urbanistiche, superabili con una legge ad hoc, da anni annunciata e mai approvata. Anche perché le numerose bozze emendate e ritoccate di continuo, facevano temere speculazioni immobiliari nascoste all’ombra degli stadi. Vedremo se il governo del calcio – Figc e Lega – sapranno fare lobby su questi temi strategici.

Ce ne sarà anche per Abete e soci, la Giustizia Sportiva – gli ultimi processi lo dimostrano – fa acqua da tutte le parti e va riscritta. Vedremo se Lotito & C sapranno essere davvero all’altezza delle sfide incombenti: gli stadi italiani stanno svuotandosi paurosamente. E persino gli esperti cominciano a dubitare dell’efficacia delle normative per l’ordine pubblico imposte da Roberto Maroni, il ministro degli Interni del governo Berlusconi. O se i nuovi – e sempre più vecchi – signori del calcio continueranno a correre esclusivamente appresso ai soldi. Come hanno fatto finora. Scordandosi che nel 2014, cioè domani, entrerà in vigore il fair play finanziario voluto da Michel Platini. E con i numeri di mezzo, le acrobazie e i giochini di corridoio non avranno più cittadinanza.

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