Massimo Cellino story: il sardo arcitaliano e il caso “Is Arenas”

di Renzo Parodi
Pubblicato il 15 Febbraio 2013 - 16:16| Aggiornato il 3 Luglio 2022 OLTRE 6 MESI FA

CAGLIARI – C’è da restare allibiti a leggere le motivazioni del gip di Cagliari, Gianpaolo Casula, a sostegno dell’ordine di custodia cautelare che ha spedito nel carcere di Buoncammino il presidente del Cagliari, Massimo Cellino, con l’accusa di peculato e di falso ideologico. La vicenda riguarda il nuovo stadio “Is Arenas” di Quarto Sant’Elena, e ha portato all’arresto anche del sindaco della cittadina, Mauro Contini (Pdl) e dell’assessore ai Lavori pubblici, Stefano Lilliu. Ebbene, scrive il gip a proposito del presidente del Cagliari: “Cellino ha spiccate capacità delinquenziali, è capace di qualsiasi genere di sotterfugio pur di raggiungere i propri scopi”.

Scopi che nella fattispecie si sostanziano nel disporre di uno stadio di proprietà nuovo di zecca, appunto l’Is Arenas, in spregio, secondo il pm Enrico Lussu che conduce l’inchiesta, delle disposizioni di legge e delle procedure amministrative necessarie per procedere alla costruzione del’impianto. Minacce a funzionari comunali per convincerli a violare i propri doveri d’ufficio. Accordi con il sindaco Contini per bypassare le procedure e distrarre 748 mila euro di denaro pubblico da altre voci di spesa e dirottarli sul finanziamento dell’erigendo stadio del calcio.

Questi i fatti che secondo la procura cagliaritana hanno giustificato il provvedimento di arresto, deciso dal gip per impedire a Cellino di inquinare il quadro probatorio. Il ritratto che ne esce è quello di un uomo spregiudicato, che al telefono – benedette le intercettazioni – usa un linguaggio brutalmente esplicito, condito di minacce e lusinghe. “Se non porti a termine questi lavori io il culo che vado a cercare non è uno qualsiasi, ma è quello tuo”», scandisce Cellino al telefono con Pierpaolo Gessa, funzionario comunale anche lui finito nell’inchiesta (ora è ai domiciliari).

Al telefono Cellino illustra al collega laziale Claudio Lotito (sono stati entrambi vicepresidenti di Lega) il suo personale sistema per superare gli ostacoli burocratici e centrare l’obiettivo di avere uno stadio, presto e bene. Ottenere una autorizzazione provvisoria a costruire una struttura amovibile, che non prevede una concessione edilizia, e poi tirar su uno stadio in acciaio (che poi non è affatto amovibile) e presentare la relativa domanda a Ferragosto, quando gli uffici sono svuotati dalle ferie e nessuno può opporsi.

Cellino secondo l’accusa così si è regolato e lo stadio lo ha costruito, sebbene poi siano cominciati i problemi. Perché fatto lo stadio (o almeno la sua struttura essenziale) il prefetto di Cagliari (e a seguire anche il sindaco di Quartu, che pure è amicissimo di Cellino) hanno impedito l’utilizzo dell’impianto. Che non risultava affatto a norma.

Questioni di sicurezza, ricorderete, imposero di disputare a porte chiuse Cagliari-Roma del 23 settembre 2012. Cellino si infuriò e fece un pubblico appello ai tifosi: “Presentatevi comunque allo stadio”. Ne nacque un putiferio, intervenne la giustizia sportiva (ma la giustizia ordinaria fece finta di nulla), la Roma ebbe partita vinta a tavolino (0-3) e proprio ora il Tar della Sardegna ha stabilito che la gara venga rigiocata. L’ultima parola però tocca ora all’Alta Corte del Coni che a marzo emetterà una sentenza definitiva. Questo per dire lo stato in cui versa anche la giustizia sportiva in Italia.

Per tacere della vicenda calcio scommesse, inghiottita dai rinvii e scardinata dagli sconti di pena decisi dal Tnas, i tribunale di arbitrato sportivo, prodigo di indulgenza più o meno plenarie. Ma questa è un’altra storia.

Tornando a Cellino. La vicenda “Is Arenas” si è incistata da mesi, Cagliari-Atalanta si è giocata a porte chiuse, Cagliari-Pescara a stadio aperto solo nel settore distinti e riservato agli abbonati. Idem Cagliari-Bologna e Cagliari-Siena. Per Cagliari-Catania “Is Arenas” venne stato aperto nei distinti, nelle curve ma non nella tribuna centrale. Cagliari-Napoli alleluja, lo stadio fu agibile in tutti i settori. Cagliari-Juventus invece venne dirottata al Tardini di Parma, causa inagibilità dell’impianto sardo. La firma autorizzativa del sindaco era arrivata troppo tardi. Con Cagliari-Milan si è toccato lo zenit del ridicolo. Una settimana a rimpallarsi la patata bollente. Il prefetto di Cagliari vietò l’agibilità di “Is Arenas”, la Lega calcio spostò il match a Torino, poi il Tar accolse il ricorso del Cagliari e autorizzò la disputa della partita a Quartu. Il prefetto controricorse al Tar ma perse. E la partita si giocò all’Is Arenas. Si può parlare di campionato regolare?

Alcune domande si impongono. Posto che la costruzione di uno stadio di proprietà è effettivamente un must per la stessa sopravvivenza del calcio italiano, perché Cellino ha frettolosamente abbandonato il Sant’Elia, dopo una furiosa litigata col sindaco di Cagliari, gettandosi a mare per inseguire il sogno “Is Arenas”? Perché ha indicato il Nereo Rocco di Trieste come campo di casa? Perché ha esposto la sua società al rischio di emigrazioni continue, come se già non fosse disagevole volare ogni quindici giorni dalla Sardegna al Continente? La risposta che suggerisce l’inchiesta del pm Lussu – e che andrà ovviamente vagliata in sede di giudizio, anche per Cellino vale la presunzione di innocenza – è che Cellino fosse certo di aver risolto tutti i problemi legati alla costruzione, e pure all’utilizzo dell’Is Arenas. Sventatezza? Peccato di orgoglio? Presunzione? Ecco, per adesso mettiamola così.

Non è una novità che Cellino sia un personaggio costantemente sopra le righe, disposto a rompere piuttosto che a comporre. A scontrarsi anziché a cercare compromessi. Un uomo contro, ma anche uno pronto a saltare il fosso e a schierarsi con il potere ogni volta che potesse risultare conveniente rivestire il doppiopetto dell’uomo delle istituzioni (calcistiche).

Non si contano le intemperanze e le giravolte del presidente del Cagliari in sede di Lega calcio, organismo nel quale Cellino ha ricoperto ruoli di rilievo. Eccolo tuonare contro i colleghi che inseguono il vile denaro dei diritti tv. Salvo protestare perché il Cagliari non riceve abbastanza. Eccolo attaccare Franco Carraro (ex di tutto) definendolo “il maresciallo Badoglio del calcio”. Eccolo promettere rivelazioni sconvolgenti sui padroni del vapore (come se lui non facesse parte della consorteria) e poi tessere trame per restare ben saldo nella stanza dei bottoni.

Il prototipo dell’italiano trasformista, tutto buone intenzioni conclamate, specialista nella navigazione sotterranea. Indisponibile ad assumersi le colpe del suo ondivago comportamento, scaricandole regolarmente su qualcun altro: la Lega calcio, qualche collega presidente, la giustizia sportiva, i giornali. Duro con i deboli e debole con i forti. Si ricordano l’ostracismo decretato contro il portiere Marchetti, tenuto fuori rosa quasi un anno: e il licenziamento per giusta causa dell’allenatore Davide Ballardini, indocile e refrattario alle sue direttive.

Che sia un uomo di calcio (di questo calcio malato, purtroppo), non si sono dubbi. In vent’anni al vertice del Cagliari, Cellino ha tenuto la squadra in serie A per 15 stagioni. Ha fiuto (Matri, venduto alla Juve per 18 milioni), intuizioni importanti (Tabarez), ma è anche flop clamorosi: gli allenatori silurati in serie, roba da insidiare il primato di Maurizio Zamparini. Forse la solitudine del carcere gli sarà utile per qualche riflessione profonda. Sul calcio, sulle regole, sull’approccio ai problemi. Ma sopratutto su se stesso. A 56 anni il tempo delle ragazzate è ampiamente terminato.