ROMA – Serie A, 23esima giornata. Il punto di Renzo Parodi.
L’espressione sul volto di Antonio Conte, al termine del match di Verona, valeva un manifesto programmatico. Le sue parole in sala stampa, erano macigni. “Lezione di umiltà, nessuno è sicuro del posto in squadra”, la sferzata rivolta ai suoi ragazzi. Con l’invito ad un esame di coscienza collettivo. Rimonta doppia del Verona su una Juventus fino ad allora padrona del campo. Quasi una bestemmia. Figurarsi l’umore del mister bianconero. Delusione ovvia, incavolatura solenne. Conte non tollera leggerezze, la Roma è ancora sotto di nove punti, ma deve recuperare la gara interna col Parma. Mancano 15 giornate, 45 punti in palio.
La Juve è certamente il miglior fico del bigoncio, ma vatti a fidare. Il calcio, in ultima analisi, è la scienza del pallone che rotola. Dietro ogni angolo si cela l’insidia. Chi aveva previsto che il Bologna, freschissimo orfano di Diamanti, andasse a sbancare la Torino granata? Ecco dunque la tirata d’orecchie di Conte che già domenica, ospite il Chievo, pretende di rivedere la Juve cannibale. Onore al Verona, che reclama su un paio di episodi dubbi in area juventina e comunque col pareggio conserva il quinto posto e ribadisce di non essere una cometa di passaggio.
Mandorlini ha assemblato un solido collettivo da bosco e da riviera. La sua squadra subisce parecchio (37 gol, quinta peggior difesa della A), ma difficilmente resta a bocca asciutta e comunque non scompare mai dal campo. Il Verona ha creduto alla folle rimonta contro l’avversaria più forte e anche questo è un sintomo di’eccellente salute mentale. L’assalto all’Europa – Mandorlini frena e si capisce – non è più una chimera.
Al quinto posto col Verona si installa l’Inter che ha avuto ragione del Sassuolo (gol di Samuel). Vittoria faticata ma meritata, l’esordio di Hernanes non ha spostato gli equilibri, il brasiliano deve trovare la posizione, decentrato a sinistra non graffia. Molto meglio il redivivo Guarin a destra e soprattutto maggiore equilibrio tattico grazie alle due punte, Palacio e Milito, che sollevano i centrocampisti dall’obbligo di attaccare in forze. Inter più frizzante, cresciuta alla distanza e finalmente applausi dalla esigente folla nerazzurra. Mazzarri ora può lavorare con maggiore calma alla costruzione della sua chiesa al centro del villaggio, per dirla con la metafora cara a Garcia.
A proposito di Garcia. La Roma non è riuscita a piegare nel derby una Lazio arcigna e umilmente votata a contenere i danni. Garcia si è lagnato della prodigalità dei suoi attaccanti e centrocampisti nei venti metri finali di campo, Reja si è rallegrato dell’interpretazione tattica diligente dei suoi, che hanno eseguito gli ordini alla perfezione: tutti raccolti a presidio della porta di Berisha, pronti a tentare sortite estemporanee. Di più l’Aquila non poteva osare al cospetto di una Lupa dai denti affilatissimi, Molto più attrezzata in fatto di palleggio e copertura del terreno di gioco.
Esangue si è rivisto in campo Mauri, reduce dalla lunga squalifica per i fatti di Scommessopoli. Avrà bisogno di tempo per rendersi utile. Da quando è arrivato Reja è comunque un’altra Lazio e Lotito, con la consueta invidiabile faccia tosta, a Sky sport ha deprecato le chiacchiere fiorite attorno al mercato, condotto con il consueto cinismo (venti milioni per Hernanes dall’Inter. Bingo!). Il mancato arrivo di Giovinco, Quagliarella e Biabiany, i tre fiori che il presidente ha provato in sequenza ad estrarre dal mazzo, aveva movimentato le ultime fasi del mercato laziale. Reja si era lamentato coram populo del loro rifiuto a vestire la maglia biancazzurra. Lotito ha ignorato il commento del tecnico, salvo ammettere che per Biabiany l’affare era fatto, senonché il giocatore ha deciso di restare a Parma. Vedete un po’ voi. Stucchevole francamente gonfiata la polemica tra Garcia e Reja per l’infelice uscita del tecnico laziale che si augurava infortuni ai giocatori romanisti. Reja aveva pubblicamente chiesto scusa, Garcia lo aveva redarguito duramente. Non si sentiva francamente il bisogno di rovistare nella piaga come ha fatto qualche cronista. Mai troppo zelo, ragazzi.
Il Napoli ha disposto a piacimento di un Milan che Seedorf, non essendo dotato del potere di transustanziazione, non riesce a trasformare da somarello incostante in purosangue sbrigliato. Ottimo l’esordio del marocchino Taarabt, giovane talentuoso, autore dell’illusorio vantaggio rossonero. Il ragazzo ha talento sicuro ma è pure dotato di corsa e temperamento. Purtroppo il resto della compagnia assomiglia da vicino all’Armata Brancaleone maneggiata invano da Allegri. Essien avrà bisogno di tempo per ritrovare smalto e podismo, la difesa resta inguardabile e con un portiere meno efficiente di Abbiati si conterebbero i gol col pallottoliere.
Balotelli, sostituito, si è sciolto in lacrime in panchina. Non si sa che dire ancora sul suo talento scioccamente sprecato. Molle, distratto, indisponente, l’ex SuperMario ha vagato smarrito sul prato del San Paolo, senza mai offrire aiuto ai compagni, in perenne attesa dell’imbeccata giusta che non poteva arrivargli, stante la sua marmorea predisposizione a nascondersi alle spalle del difensore di turno, fosse Albiol o Fernandez non faceva differenza. Nello stucchevole gioco a nascondino, Balotelli si è immiserito fino a imporre a Seedorf la sostituzione. Sarà stato per l’ansia di esibirsi nella città della compagna che lo ha reso padre della piccola Pia , ma un Balotelli così non serve a nessuno, tantomeno a Prandelli che dovrà cominciare a preoccuparsi.
Il razzente, vivacisismo Higuain non soltanto ha infilzato due volte Abbiati ma ha plasticamente mostrato quel che il calcio moderno pretende da un attaccante: movimento senza palla, pressing su difensori e centrocmapisti avversari, umile predisposizione a mettersi al servizio della squadra. Il confronto fra l’argentino e l’italiano di origini ghanesi è stato veramente paradigmatico e tutto a favore di Higuain.
Mercoledì Napoli e Roma regoleranno al San Paolo la questione dell’accesso alla finale di Coppa Italia. Il successo giallorosso dell’andata (3-2), al culmine di un match combattuto e bellissimo, lascia aperte le porte a qualsiasi soluzione. Nell’altra semifinale (si parte dal 2-1 per i friulani) se la vedranno Fiorentina e Udinese, entrambe vittoriose nella giornata di campionato. I Viola con diversi affanni e un pizzico di buonasorte sulla combattiva, vivissima Atalanta che lamenta la mancata concessione di un calcio di rigore che avrebbe rimesso in piedi il risultato, sbloccato dal gol- capolavoro su punizione di Iljicic. La squadra del rinfrancato Guidolin ha maramaldeggiato solo nel finale su un eccellente Chievo che peraltro, incassato il primo gol, si è liquefatto. Il 3-0 tuttavia non inganni, fino al gol di Di Natale, le occasioni migliori le aveva avute la squadra veronese. Clamoroso il palo colpito di tacco, sullo 0-0, da Thereau. Se fosse entrato quel pallone, probabilmente la partita avrebbe avuto un corso differente.
Lascia tutti di stucco, dicevo, il capitombolo interno del Torno (1-2) al cospetto di un Bolgona che aveva appena perduto la sua stella polare, Alino Diamanti, emigrato in Cina alla corte di Lippi. Stranezze del calcio. Accreditato del pronostico e lanciato verso la zona-Europa, il Toro di Ventura (prossimo il rinnovo del contratto fino al 2016) si è infilzato da sé sulle banderillas di un torero che già barcollava, sotto di un gol precosissimo segtnato da Immobile (12 centro stagionale). Due orrendi pasticci della difesa granata hanno rimesso in linea di galleggiamento il Bologna, barvo e fortunato (deu legni del Toro) a resistere al forcing confuso dell’avversario. Vittroia che vale platino per Ballardini e che rilancia le speranze di salvezza del dottor Balanzone.
Anche perché il Livorno è colato a picco in casa, contro un Genoa furbo e fortunato, che Gasperini ha saputo rianimare dopo la brutta botta del derby perduto. Perin come al solito sugli scudi, ma la pochezza del Livorno è apparsa una volta di più evidente. E verosimilmente irrimediabile, a questo punto della stagione. L’altra metà della mela genovese, la Sampdoria, ha piegato soffrendo le pene dell’inferno il Cagliari (1-0 gol di Gastaldello). I blucerchiati non battevano i rossoblù sardi in campionato dal 17 maggio 2003 (3-1), ma si giocava in serie B. La vittoria in serie A mancava da 17 anni! Gara virulenta, a tratti violenta, segnata dall’infelice arbitraggio del neofita Roca di Foggia. Ingannato dall’assistente Giachero nell’azione che ha portato all’annullamento del gol di Sau (fuorigioco probabilmente inesistente) ma colpevole in prima persona, l’acerbo arbitro foggiano, per le cervellotiche decisione delle quali ha cosparso il match, molto aspro (nove ammoniti) e sempre in bilico nel risultato.
Parentesi. Se queste sono le seconde linee che dovranno rimpiazzare i Bergonzi & C, destinati prossimamente alla pensione, stiamo freschi. Giro l’osservazione al presidente degli arbitri, Nicchi, e al designatore (ic scadenza a giugno, Braschi) che menano gran vanto dei giovani direttori di gara descritti come emergenti di vero talento. A me paiono, viceversa, alquanto impreparati alle tenzoni della massima serie, cosparse di insidie sottili e trappole assortite, come ben sa chi ci si aggira da lustri. Chiusa la parentesi.
Il Cagliari a Genova ha lottato con vigore (a volte eccessivo) facendo perno su una eccellente organizizzazione di gioco e piedi mediamente parecchio educati. Pesanti le assenze, di qua e di là (Mustafi e Lopez, Pisano, Pinilla e Ibarbo), eppure non si sono affatto notate. Nenè, Cabrera, Okaka, Fornasier hanno riempito egregiamente i buchi lasciati dai titolari. La Sampdoria nella ripresa si è rinserrata a difesa del vantaggio e ha portato a casa tre punti che la portano – è la prima volta – fuori dalla tonnara delle ultime in classifica che lottano per non agffogare. Nella quale continua ad agitarsi, triste, solitario e forse pure final – il Catania di Maran che peraltro ha colto un punto prezioso sul campo del Parma. Livorno e Sassuolo (sconfitte da Genoa e Inter) restano nel fondo dell’imbuto, il Chievo rema appena un punto sopra. Il Bologna respira. Lotta dura e senza paura. Laggiù negli abissi tutto ancora può accadere. Nel bene e soprattutto nel male.
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