Serie A: Juve cannibale, Napoli rivale, Inter e Milan ok. Fiorentina-Samp pari

di Renzo Parodi
Pubblicato il 2 Dicembre 2012 - 23:25 OLTRE 6 MESI FA
Cavani ancora a segno per il Napoli (foto Lapresse)

ROMA – Serie A, quindicesima giornata: Cronaca

Vincono tutte le squadre di testa, tranne la Fiorentina che chiude sul 2-2 una elettrizzante sfida contro la Sampdoria, suggellata dalla doppietta di Savic (due volte di testa), dal gol di Krsticic e dall’autogol di Rodriguez. Entrambe le squadre erano fortemente mutilate (Jovetic, Lijaic, Toni, Lopez, Eder, Pozzi), ma in campo non si è affatto notato.

Nonostante il mezzo inciampo i Viola (quarti con la Lazio) restano una splendida realtà. La Fiorentina gioca un calcio delizioso ed estremamente redditizio. Montella è bravissimo e misurato. L’allenatore ideale. La Sampdoria è uscita definitivamente dall’incubo delle sette sconfitte filate, con i sette punti raccolti in tre partite ha guadagnato una posizione più tranquilla in classifica, con cinque punti sulla penultima, il Genoa. E Ferrara ha consolidato la sua panchina.

Il Napoli distrugge il Pescara (5-1), Lazio e Roma domano Parma (2-1) e Siena (3-1), l’Inter piega di misura il Palermo, deve dire grazie all’autogol di Garcia. Il Milan aveva espugnato Catania (3-1) nell’anticipo dell’anticipo.

Le gerarchie del campionato restano intatte. Juve regina, insidiata a due punti dal Napoli. Inter terza forza, anche se soltanto grazie ad un autogol del Palermo di Gasperini, uno dei molti allenatori bruciati dalla fornace morattiana. Le romane inseguono decise, il Milan è di rincorsa, si direbbe nel gergo del Palio di Siena.

Commento

La Juventus cannibale, la dirompente Juve campione d’Italia, la Juve che aveva triturato il Chelsea, è riapparsa nel derby contro il Toro, triturato (3-1) alla distanza dalle fiammate d’antan, quelle mezz’ore travolgenti sulle quali la Juve aveva costruito la sua fresca leggenda. Lo zenit del rendimento bianconero in Champions League contro il Chelsea, a Torino. Le stecche, le uniche due, al cospetto delle milanesi: sconfitte per 1-3 dall’Inter e 0-1 dal Milan a San Siro, quest’ultima viziata da un rigore letteralmente inventato dall’arbitro Rizzoli.

Se proprio si vuol cercare il pelo nell’uovo, rispetto all’anno scorso Madama è certamente meno affamata, non gioca con quella cattiveria leggendaria che l’ha resa famosa. I giocatori hanno certamente sofferto l’assenza fisica di Antonio Conte dalla plancia di comando, posto che la metamorfosi caratteriale della squadra – da informe aggregazione di calciatori a team organico e motivato – si deve principalmente al tecnico di Lecce.

Conte non è un prodigio di simpatia (è molto più gradevole e accattivante il suo “doppio”, Maurizio Crozza, quando sbraita (”agghiacciande!”) ma è un formidabile motivatore di uomini, e un eccellente miscelatore di giocatori e di schemi. Domenica prossima Conte avrà esaurito la squalifica di quattro mesi per l’omessa denuncia in Albinoleffe-Siena e sarà in panchina alla Favorita per Palermo-Juventus.

Spariti i figuranti che si sono alternati in sua sostituzione (Carrera, Alessio), col fiato del fumantino mister di nuovo sul collo i calciatori della Juventus non avranno più alibi. Quello che hanno in corpo dovranno darlo sul campo. Certamente la squadra si gioverà delle indicazioni del suo allenatore, che si ripresenterà sotto i riflettori animato da una carica di speciale revanscismo: contro il sistema che lo ha duramente punito; contro i media che lo hanno massacrato (questo lo pensa lui); contro i tanti nemici della Juve, che si rianimano ogni volta che la Vecchia Signora inciampa e cade.. E’ una guerra senza prigionieri e le stoccate che periodicamente si incrociano tra la Juve e l’Inter sono la perfetta metafora dell’Italia dei campanili che nel calcio trova la propria sublimazione.

Claudio Marchisio, doppietta nel derby col Torino (foto Lapresse)

La riprova del brillante match nella stracittadina è appena dietro l’angolo, mercoledì la Juve viaggia verso Donetsk, nella tana ghiacciata dello Shaktar di quella vecchia volpe di Lucescu. Serve un punto per timbrare la qualificazione, ma non c’è da attendersi sconti o accondiscendete comprensione. Lo Shaktar brasiliano sarà un’avversaria vera, giocherà per vincere e la Juve farà bene a tenerlo a mente, Rovinare una stagione in una partita sarebbe un delitto.

Per via dell’infortunio di Pepe (ed evidentemente non fidandosi del’altro esterno, Giaccherini) Conte ha dovuto rinunciare al prediletto schema, il 4-3-3, inventando qua e là alternative produttive ma imperfette, oltretutto complicate dal regolare turn over tra le cinque punte a disposizione: Matri, Giovinco, Vucinic, Bendtner, Quagliarella sono tanta roba ma non sempre nel calcio l’abbondanza si traduce in un vantaggio.

L’esperimento forse era necessario ma è anche rischioso, se non altro per la difficoltà di gestire il dentro-fuori rispetto alla inevitabile altalena di sentimenti da parte degli interessati. Nella testa di Conte l’assortimento ideale è probabilmente rappresentato dal duo Vucinic-Giovinco, ma la sequenza degli impegni, spesso ravvicinati, gli suggerisce di non trascurare le possibili alternative.

E qui tocchiamo il secondo aspetto della metamorfosi silenziosa della squadra bianconera. L’anno scorso la Juve non aveva impegni europei che quest’anno viceversa si propongono al massimo livello. Nonostante la ricchezza e l’ottimo assortimento dell’organico di Conte, cimentandosi con l’aristocrazia del continente, la squadra paga dazio. Tanto o poco. E la Juve ha pagato qualcosa. La vittoria-chiave sul Chelsea ha svuotato le energie nervose e la Juve a San Siro – rigore a parte – ha lasciato negli spogliatoi gli occhi di tigre. Ossia la sua arma migliore. Quella che ha fatto tante volte la differenza con le altre.

L’altra variabile (relativamente) negativa si chiama Andrea Pirlo, non più spietatamente geometrico e chirurgico come era nella scorsa stagione, un po’ meno lucido (vedi rigore fallito nel derby) anche per via dell’età non più verdissima che non si giova di impegni troppo ravvicinati. Anche il rendimento di Asamoah, Isla, Vidal, Giaccherini non è in linea con i rispettivi standard e con loro la mano di Conte dovrà imporsi per ricalibrarne posizioni in campo e di conseguenza regole di impiego. Se tornasse al 4-3-3 ovviamente gli spazi per i quattro si restringerebbero, visto che a centrocampo non si discutono Pirlo e Marchisio, il miglior fico del bigoncio juventino, un interno di classe mondiale, dotato di una deliziosa propensione per il gol. Inamovibile, insomma.

Al momento, è il Napoli l’avversaria più titolata ad intralciare i piani scudetto della Vecchia Signora. Anche Mazzarri non è un modello di simpatia ma ha le stimmate del tecnico di alto rango. Da gestire lo spogliatoio e vede la partita anche dalla panchina. I suoi giocatori forse non lo adorano in senso proprio, ma hanno fiducia cieca in lui. Al quarto anno a Napoli Mazzarri ha costruito una squadra ancora imperfetta ma dotata di forte personalità e capace di tornare in linea di galleggiamento dopo le (rare) sbandate.

Anche il Napoli ha lasciato qualcosa in Europa. Ergo, le due rivali sotto questo aspetto corrono sulla stessa corsia, sopportando i medesimi handicap. Il Napoli dipende molto dal suo bomber, Cavani è ormai tra i migliori attaccanti del pianeta. La partenza, ben remunerata, di Lavezzi non è stata del tutto assorbita, ma in prospettiva Insigne garantisce durata di rendimento e gol. E il valore complessivo della squadra – oltre che l’esperienza – è cresciuto. Il Napoli deve guardarsi se mai dall’ondivago umore del suo pubblico, pronto ad esaltarsi e a deprimersi con la stessa velocità. Un esame di maturità non ancora superato dal pubblico napoletano.

Miroslav Klose a segno con il Parma (foto Lapresse)

L’Inter sta obiettivamente un gradino sotto le due massime rivali. Quattro punti nelle ultime quattro gare (due sconfitte a Bergamo e a Parma, pari arraffato a San Siro contro il Cagliari, vittoria sul Palermo grazie ad un autogol) ne certificano la sofferenza e alcune verità palmari. Cassano non è sostituibile, non esistono controfigure che possano decentemente surrogarne il genio, l’imprevedibilità, i colpi di classe. Senza Fantantonio il tridente con Milito e Palacio non trafigge.

Né si può chiedere a due giovani di talento ma acerbi (Coutinho, Alvarez) di trasformarsi in trascinatori. Altro problema: il centrocampo. Molto muscolare, con Guarin, Pereyra, Gargano, Cambiasso, ma non sufficientemente ricco di classe. Non appena il tono atletico e la corsa calano emergono i limiti dei mediani arcigni (Gargano), degli interni (Guarin) e degli esterni di corsa e di incursione (Pereyra), di Cambiasso, tatticamente prezioso ma sempre più attivo a corto raggio. Nessuno di loro è portato a dare i tempi di gioco alla squadra come fa, dico un nome, Pizarro nella Fiorentina.

La figura del regista – opinione personale – è tutt’altro che passata di moda, lo certifica – faccio un altri nome – lo juventino Pirlo. Varrebbe la pena tentare un esperimento ardito, Snejider in mezzo al campo, nei panni del creatore di gioco. Nel momento in cui lo scrivo sono consapevole che non accadrà mai. Peggio, l’avventura interista dell’olandese sembra arrivata al capolinea.

La società lo ha messo spalle al muro, ingiungendogli di ridiscutere il contratto da 6 milioni netti all’anno, più bonus fino al 2015. Pretesa illogica, perché quel contratto lo firmò Moratti, non una sua controfigura. Stramaccioni si è immolato attirando su di sé la responsabilità dell’ostracismo decretato a Sneijder, ma la realtà l’aveva già raccontata il dt Branca: “Se non firma la riduzione dell’ingaggio, accettando di spalmare il contratto fino al 2017, Sneijder con l’Inter non gioca più”.

Si criticano, giustamente, i calciatori quando pretendono di stracciare gli impegni per andare a giocare altrove a guadagnare di più. E si sbaglia a concederglielo. E ora l’Inter pretende di comportarsi alla stessa maniera. Incomprensibile. E autolesionistico. Il brutto è che l’Inter si incaglia regolarmente in querelles intestine, che si risolvono in lacerazioni che portano soltanto grane. Vi siete mai chiesti perché liti del genere non esplodono mai in casa Juve o in casa Milan?

Alla Juventus Lucio, messo ai margini da Conte, scalpita e smania e a gennaio andrà via. Ma nessuno è riuscito a farne un caso. Idem per Pato nel Milan. Di fronte ai malumori espressi “dal Papero”, Galliani ha convocato il suo procuratore e ha silenziato il caso. A gennaio si vedrà se sarà conveniente (e possibile) dirottarlo altrove.

Berlusconi si è convinto che le sue epifanie in elicottero a Milanello siano state il toccasana che ha riavviato l’ansimante motore del Diavolo. Tre vittorie filate sono una coincidenza, non una prova del (presunto) karma salvifico del Cavaliere. Il Milan è a dieci punti dalla zona Champions e ha sei squadre davanti a sé, sgranate in quattordici punti. L’aggancio scudetto appare arduo, nonostante un faraonico El Shaarawy (12 gol in 15 partite). Il ragazzo ha un immenso talento e la testa giusta per eccellere.

Preziosi dovrebbe smetterla di vantarsi di aver incassato dieci milioni più l’ectoplasmatico Merkel per concedere al Milan il talentuosissimo attaccante di origine egiziana. Il Genoa dovrebbe mordersi le mani. Lazio e Roma, classifica a parte, si raccomandano più del Milan come cacciatori della lepre bianconera. Ma sognare, si sa, non costa nulla. Nel prossimo turno il calendario comanda due grandi sfide: Inter-Napoli e Roma-Fiorentina. Chiariranno le gerarchie.

In coda il Genoa sprofonda nel dramma, battuto secco a Marassi dal Chievo (2-4). Delneri ha raccolto una sola vittoria in otto partite (a Bergamo, di misura) e le chiacchiere stanno a zero. A Pescara, tra sette giorni, il verdetto-chiave di una stagione che sta andando a rotoli. Fino al mercato di gennaio il Vecchio Grifone –senza gioco e con una difesa colabrodo, 14 gol subìti in sette partite – dovrà cercare a tutti i costi di restare agganciato al gruppo, che peraltro si sta sgranando.

Vitale la vittoria del Bologna (2-1 sull’Atalanta, terza sconfitta di fila), il Siena cede in casa alla Roma (1-3) e buon per le rivali che cadano anche il Palermo, a San Siro contro l’Inter e il Pescara travolto a Napoli (1-5). Gran balzo in avanti dell’Udinese che stende il Cagliari (4-1), Situazione fluida in fondo all’imbuto, dai 20 punti del Parma (sconfitto a Roma dalla Lazio, 1-2) in giù, sono tutte sui carboni ardenti.

Postilla finale sugli arbitraggi. Un gol in fuorigioco concesso al Milan nell’anticipo di Catania (terminato 3-1 per i rossoneri) ripropone con nettezza il problema degli errori dei fischietti. Hanno qualcosa da recriminare anche il Parma (mani in area di Klose non rilevato dall’arbitro Guida). Idem il Chievo (mani di Granqvist, arbitro Tagliavento) che comunque ha finito per portarsi via i tre punti. E la Fiorentina (arbitro Valeri) per un intervento in area di Gastaldello su Mati Fernandez.

E’ sempre più netta l’impressione che gli arbitri di fondo contribuiscano, anziché a confortare l’arbitro centrale, a confondergli le idee. L’elenco delle topiche si allunga dopo il gol in fuorigioco del Milan contro il Genoa, della Juve contro l’Inter, il gol buono annullato al Catania contro la Juve per un fuorigioco inesistente. I rigori negati al Catania contro l’Inter e all’Inter contro il Cagliari. Il rigore inventato per il Milan contro la Juve. E via pasticciando.

Ma guai a farlo rilevare a Nicchi. Il presidente degli arbitri italiani, da poco riconfermato in carica, canta sempre il noto leit motiv: siamo bravi, siamo forti, siamo uniti. E muti. Gli arbitri non hanno ancora riavuto la parola. E siamo entrati da un pezzo nel Terzo Millennio…