Serie A: Juve padrona, pareggite Roma, Napoli risale, Milan respira, Inter male

di Renzo Parodi
Pubblicato il 3 Dicembre 2013 - 08:19 OLTRE 6 MESI FA
Serie A: Juve padrona, pareggite Roma, Napoli risale, Milan respira, Inter male

Lazio-Napoli (foto Lapresse)

ROMA – Serie A, quattordicesima giornata. Il punto:

Sei vittorie di fila in sei partite, nessun gol subito, Buffon imbattuto da 550 minuti. La magna Juve si sta (ri) mangiando il campionato. La Roma, unica squadra ancora imbattuta, è staccata di tre punti (quarto pareggio di fila, in coda alle nove vittorie consecutive). Conserva il terzo posto il Napoli, vittorioso a Roma (4-2) sulla Lazio di Petkovic, la cui panchina torna a scottare. La Fiorentina aggancia l’Inter al quarto posto. Difese allo sbando nei due posticipi del lunedì, tredici i gol segnati (sette in Fiorentina-Verona 4-3 e sei in Lazio-Napoli 4-2). Buon per gli spettatori che si sono gustati due partite spettacolari, da tempo non capitava di assistere ad una simile giostra di gol. L”Inter inciampa nella rocciosa Sampdoria di Mihajlovic che le impone l’1-1 nel giorno della festa di Thohir. Il Milan respira grazie al 3-1 di Catania, ispirato da un Kakà in formato mondiale, eppure resta immerso fino al collo nei suoi problemi societari. La trovata del doppio amministratore delegato è un escamotage per tenere insieme un vaso già andato in pezzi. Galliani e Barbara Berlusconi sono stati obbligati a convivere da Silvio Berlusconi, ufficialmente per quattro anni (!), e più realisticamente fino al prossimo aprile quando il glorioso Adriano getterà la spugna e potrà godersi i 25 milioni (netti) di liquidazione promessi dal Cavaliere dimezzato. L’obbedisco garibaldino del geometra brianzolo va messo nel conto della sua fedeltà al principale, perché, “la parola di Berlusconi è sacra” (ipse dixit). Il Milan non merita di essere affondato dal fuoco amico e Galliani ha chinato il capo in nome del superiore interesse della causa. La risalita della squadra sarà ardua e lunga se Allegri verrà finalmente lasciato in pace penso che riuscirà riportare il Milan alla luce, perlomeno nella zona che vale l’Europa League.

La Juve, dunque, è tornata padrona. Fernando Llorente (che in castigliano sta per “piangente”) si è asciugato il ciglio e ha cancellato il disprezzo esibito dai frettolosi critici che l’avevano bollato come un mezzo bidone. Giusto in vista del traguardo, l’orgoglioso navarro ha giustiziato l’Udinese, splendidamente schierata da Guidolin e nuovamente animata dallo spirito guerriero. Grande prova di carattere di entrambe le squadre, la Juve ha prevalso perché, banalmente, è la Juve. Purtroppo c’è anche una notizia negativa, Pirlo, toccato duro, durante il match con i friulani, ha riportato una lesione ai legamenti del ginocchio e dovrà restare fuori per 40 giorni. Un brutto colpo, anche se le alternative (Pogba, Vidal) sono di primissima qualità. Il gol di Llorente riconferma il primato solitario bianconero e suona come viatico in vista della trasferta-verità di Champions League a Istanbul, il 10 dicembre.

La Juve andrà a far visita a Mancini senza covare paure sottopelle, conscia di poter contare su due risultati su tre, nonché su uno stato di forma vicino al top. Conte le ha restituito fiducia e la giusta dose di cattiveria, la condizione atletica è eccellente, la coppia Tevez-Llorente s’intende alla grande e Buffon (500esima presenza in A, premiato dal presidente Agnelli) è tornato il gatto volante dell’epoca d’oro. Che serve di più per passare agli ottavi? Gran festa all’Olimpico, con le curve squalificate colme di bambini festanti. Peccato quei cori che scandivano la parola di la parola di Cambronne ad ogni rimessa da fondocampo del portiere dell’Udinese. La lezione dei grandi (maleducati) è stata purtroppo recepita in pieno. Riflettiamoci.

La Roma a Bergamo ha perso l’innocenza e recuperato il risultato allo scadere, contro una gagliardisisma Atalanta che fra le mura di casa rende la vita difficile a chiunque. I quattro pareggi l’hanno riconsegnata alla normalità. La squadra sconta una certa debolezza di carattere (il primo tempo giallorosso è stato inguardabile) e sopratttuto l’assenza prolungata di Totti, ormai prossimo al rientro. Garcia se l’è presa con l’arbitro per un presunto rigore ignorato. Il suo fair play era forse orientato più dalla classfica che da vera convinzione. L’uomo è intelligente, ha fatto in fretta ad impadronirsi dello spirito del tempo nostrano, purtroppo ne ha assorbito anche i difetti. Lamentarsi non produce che senso di deprivazione e fornisce alibi ai giocatori. Gli suggeriamo di studiarsi un suo illustre predecessore in giallorosso, quel Fulvio Bernardini che dalle panchina ammoniva i suoi giocatori a non appendersi agli alibi arbitrali. “Guardiamoci anzitutto dentro e cerchiamo i nostri errori”, filosofeggiava il grand’uomo. Una ricetta senza tempo.

L’Inter ha fallito l’aggancio al terzo posto giocando contro la Sampdoria una pessima partita al punto che persino Mazzarri, di solito refrattario alle autocritiche pubbliche, ha dovuto ammettere la defaillance. La presunta emozione per l’epifania di Thohir non c’entra nulla, semmai va dato merito alla tosta Sampdoria ridisegnata in un batter d’ali da Mihajlovic. Che ha impietosamente messo allo scoperto i limiti nerazzurri. Attaccata alta come ha fatto la Doria con il suo falso tridente (Eder-Soriano-Gabbiadini alle spalle dell’unica vera punta, Pozzi), l’Inter ha faticato a rilanciare il gioco, ha masticato un calcetto asfittico e quando nella ripresa l’avversaria ha alzato ancor più il pressing offensivo e si è imposta nel possesso palla, non è neppure riuscita ad organizzare una replica decente. Il gol e il palo colto da Guarin, per il resto del tutto assente dalla contesa, non autorizzano il minimo rammarico. A gennaio Thohir dovrà mettere mano al portafoglio e trovare un attaccante, anche perchè Milito ha fatto sapere di voler tornare in Argentina, al River, a giugno. Icardi è convalescente e assorbito dalle maliè amorose di Wanda Nara e di Belfodil si sono praticamente perdute le tracce. Anche un esterno vero sarebbe manna per il gioco di Mazzarri che si appoggia sulle ali come trampolino di lancio per le punte, al momento il solo Palacio, poveretto.