Repubblica 40 anni stile sovietico: obliterato Turani, fu..

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 17 Gennaio 2016 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Repubblica nacque fraScalfari, Pirani, Signorini, Turani...

Giuseppe “Peppino” Turani. Quando partecipò alla fondazione di Repubblica aveva 35 anni

ROMA – Repubblica, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, di cui Mario Calabresi è diventato il terzo direttore in 40 anni, come è nata? Giuseppe Turani, uno dei fondatori, ricorda e ne ha scritto sul suo Uomini & Business.

Giuseppe Turani fu tra i primi 5 giornalisti che misero in movimento questo miracolo dell’editoria dovuto al genio giornalistico di Eugenio Scalfari. Scalfari e Turani sono gli ultimi 2 rimasti in vita di quella pattuglia e anche tra i pochi sopravvissuti di quella schiera di professionisti che si avvicendarono a Repubblica in quegli anni.

Ma alla celebrazione dei 40 anni nessuno si è ricordato di lui se non con una e-mail di quelle mandate come circolari a migliaia, totalmente anonima e quasi offensiva. In puro stile sovietico (o vaticano) Turani è stato obliterato, la foto è stata ritoccata, come hanno fatto i preti e al Cremlino.

Eugenio Scalfari ha ricordato dalle pagine di Repubblica Mario Pirani,  che, ricorda, “fu tra i fondatori di Repubblica”. Mario Pirani è morto a Roma, a 89 anni di età dopo una lunga malattia. Ha scritto Eugenio Scalfari:

“Ricordo bene le lunghe conversazioni che ebbi con lui, con Sandro Viola, con Giorgio Signorini e con Giuseppe Turani, sul quotidiano che avrebbe dovuto essere del tutto diverso dagli altri e diventare il più diffuso nel nostro Paese.

“Con la scomparsa di Mario la maggior parte di quel piccolo gruppo non c’è più [sono rimasti lo stesso Scalfari, che va per i 91, e Giuseppe Turani, che era il più giovane di tutti e ancor oggi chiamano Peppino] e quello che oggi è avvenuto è per me una ferita nel profondo del cuore. Si erano infatti creati tra noi vincoli di amicizia che andavano molto al di là dei rapporti di lavoro”.

Qualcuno, con molta intelligenza, ha provato a tracciare una specie di scala dei tempi e degli eventi della storia di Repubblica. La fine dell’Ulivo avrebbe determinato l’uscita del fondatore, Eugenio Scalfari, e la fine di Berlusconi avrebbe provocato l’uscita di Ezio Mauro. Questa ricostruzione è suggestiva, ma forse è anche un po’ meccanica. Non ho alcuna notizia di prima mano, ma penso che entrambi i direttori si siano dimessi perché erano stanchi di fare quel lavoro e probabilmente anche perché consideravano un po’ finito il proprio tempo e la propria missione. Nel caso poi di Scalfari è intervenuto probabilmente anche un altro elemento. Con il fondatore alla direzione, il peso del nuovo proprietario (Carlo De Benedetti) sul giornale era praticamente zero. Può essere quindi che ci sia stata qualche pressione tale da convincere Scalfari a lasciare e di non prolungare oltre la convivenza abbastanza anomala fra un direttore padrone assoluto e una proprietà a cui restava solo il piacere di leggere in edicola il giornale che aveva comprato, con centinaia di miliardi (di lire). Il risultato è stato un buon compromesso. Scalfari ha accettato di lasciare il ponte di comando, ma ha ottenuto di fatto di nominare il suo successore (la proprietà aveva in mente altri candidati). In più ha ottenuto di continuare con l’editoriale domenicale e altri articoli, in assoluta e insindacabile indipendenza. Per sempre. Mauro aveva un compito considerato allora quasi impossibile: dimostrare che era possibile una “Repubblica” senza Scalfari alla direzione. E c’è riuscito, pagando probabilmente un prezzo molto alto. Mentre Scalfari era sempre alla caccia di talenti e giocava sulle contraddizioni, quello di Mauro è diventato un giornale molto compatto, chiuso, ostinato nelle  proprie scelte. E dentro il quale la fedeltà e la condivisione della linea facevano premio su tutto. Forse questa era l’unica strada per gestire un giornale pieno di “firme” abituate a fare un po’ di testa propria. Non lo sappiamo perché altre non ne sono state tentate. Adesso si apre l’era di Mario Calabresi, che a Repubblica ha già lavorato e che conosce tutti. E probabilmente comincia davvero un’altra storia. O forse no. Mi spiego meglio. Calabresi è stato a Repubblica, ma non è un prodotto della scuola di Repubblica. Ha fatto altre esperienze e ha altre motivazioni. Se il compito di Mauro era quello di dimostrare che si poteva fare una Repubblica senza Scalfari, quello di Calabresi è di dimostrare che Repubblica può essere comunque un giornale con un suo senso, anche se si allontana dalla sua storia. Con una precisazione. Repubblica è sempre stata un giornale diverso perché ha sempre avuto un nemico  da abbattere: Craxi negli anni di Scalfari, Berlusconi in quelli di Mauro (semplificando). Non si sa se sia possibile fare una Repubblica senza nemici aperti e dichiarati. A volte sembra di capire che il nemico di turno potrebbe essere Renzi, ma la cosa non ha molto senso. Non è nell’interesse dell’editore e nemmeno del giornale. Il bacino degli anti-Renzi è poca cosa e sembra destinato a ridursi via via che il tempo passa. Non si può pensare che i soggetti di riferimento di Repubblica siano Civati o Fassina. Allora cosa resta? Una scelta coraggiosa ci sarebbe. Oggi la politica italiana è inquinata da trasmissioni tv indecenti e da una vasta area politica qualunquista (dai pentastellati alla Lega). Se si volesse fare una Repubblica coraggiosa e di progresso, con il profumo un po’ dei vecchi tempi, questa sarebbe la strada. Ma la mia impressione è che non si farà. Si cercherà di fare un “bel” giornale, informato e preciso, destinato a durare nei secoli, ma niente di più. E spero molto di sbagliarmi.