Quel 30 aprile di 161 anni fa… le gloriose giornate della Repubblica Romana

di Marco Benedetto
Pubblicato il 30 Aprile 2010 - 12:40| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Truppe francesi all'assalto del Gianicolo a Roma (Melchiorre Fontana)

Il 30 aprile è una data chiave per il Risorgimento italiano. In quel giorno, nel 1849, ebbe inizio l’assedio di Roma, di quella Roma abbandonata da tre mesi da Papa Pio IX, fuggito a Gaeta in seguito ai moti rivoluzionari, quella Roma dove era stata proclamata la Repubblica con le prime elezioni democratiche in Italia (un’Italia non ancora unita) e retta dal triumvirato di Saffi, Armellini e Mazzini.

Una data vale l’altra quando si deve scegliere per fissarne una e farne un simbolo. La fine della Repubblica romana, nata solo cinque mesi prima, è un simbolo italiano.

Rappresenta la fine di un sogno di democrazia, di un sogno di costruzione federalista dell’Italia, di un esperimento di buon governo attuato non da politici di professione ma da cittadini normali, muniti di buon senso e creatività, onesti.

Dovevano passare 11 anni perché la spallata data dai Mille di Garibaldi deponesse la gran parte d’Italia ai piedi dei Savoia. Sarebbe stata tutta un’altra cosa, una annessione fatta in modo brutale, senza rispetto per la storia delle tante anime che formano l’Italia.

Il genio di Garibaldi e l’eroismo dei suoi volontari fornirono all’unità d’Italia una facciata dietro la quale poterono svilupparsi tutti i germi dei mali che ancora oggi ci tormentano.

Il processo di unificazione dell’Italia è stato viziato fin dall’inizio da una retorica che ha reso vana e inutile qualsiasi analisi critica. La stessa etichetta di Risorgimento chiude la discussione.

Siamo ai 150 anni dalla spedizione dei Mille, dalla conquista della Sicilia da parte di Garibaldi.

L’anno prossimo faranno 150 anni dalla proclamazione dell’unità d’Italia.

Le celebrazioni sono partite, ci aggiungiamo anche noi. Cercheremo di dare un modesto contributo, senza opere edili ovviamente, ma solo con quel che sappiamo più o meno bene fare, mettendo assieme delle parole. Non parole di oggi ma ripercorrendo quegli eventi con le parole di chi c’era, protagonisti delle entusiasmanti giornate della Repubblica Romana, protagonisti della spedizione dei Mille.

Parole emozionanti, come quelle di un inviato speciale sul campo, con la differenza che quelli non erano embedded, combattevano sul serio e sapevano scrivere altrettanto. Una forma di citizen journalist prima che li inventassero, quando ancora li chiamavano memorialisti.

Per inquadrare in uno scenario più ampio quei singoli episodi, ci darà una mano Wikipedia, la forma più moderna di enciclopedia, tutta on line, e anche la più aperta, la meno retorica, la meno italiana.

Per capire perché quella straordinaria spinta propulsiva non ha dato tutto quel che poteva e in molti casi ha dato risultati davvero deludenti, chiederemo aiuto a un economista del passato, spirito libero e non di partito, che ha analizzato con onesta e serena lucidità gli errori che hanno deviato la crescita della pianta.

Anche in questo caso non dobbiamo farci fuorviare dalla retorica: tutto bene, tutto eroismo prima, tutto male, tutto sbagliato dopo. Non c’è soluzione di continuità tra prima e dopo. I grandi ingredienti della storia di qualsiasi popolo, l’avidità, la corruzione, l’idealismo, gli interessi di classe e di parte, c’erano prima dei Mille e dopo e ci sono ancora.

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