Bruxelles: servizi avvisati. Infiltrati in Isis? Bruciati?

di Riccardo Galli
Pubblicato il 24 Marzo 2016 - 12:21 OLTRE 6 MESI FA
Bruxelles, soldati presidiano  le metropolitane

Bruxelles, soldati presidiano le metropolitane

BRUXELLES –Bruxelles, su giornali e televisioni la notizia, se tale è davvero, che i servizi di sicurezza belgi sarebbero stati avvisati degli attacchi. Avvisi “specifici” come si dice in gergo, cioè avviso dove si parlava di aeroporto e metro. Se è vero, chi ha lanciato questi avvisi? Tutti tralasciano e sorvolano e omettono la questione che è invece fondamentale: se qualcuno avvisa con precisione dove Isis sta per colpire vuol dire che ci sono infiltrati di qualche paese in Isis. E se ci sono infiltrati in Isis, perché bruciarli spiattellando la loro esistenza sulla stampa e in tv?

Oppure gli avvisi non erano altro che il rumore di fondo dell’attività Isis, la somma delle probabilità di azione che si ricava dall’ascolto di comunicazioni dentro le “istituzioni” dello Stato islamico e dalla lettura della loro propaganda. Se gli avvisi erano del tipo: dopo Salah Isis tenterà altri attacchi in Europa, Belgio e Francia soprattutto, se gli avvisi sono del genere target sono le folle nelle capitali europee…allora siamo di fronte a stampa e tv che montano la panna. Se invece erano specifici, molto specifici, dicevano: aeroporto e metro Bruxelles nelle prossime 48 ore, allora ci sono infiltrati in Isis. Quindi, ancora, perché bruciarli?

Tra i tanti punti ancora da chiarire sugli attentati che hanno fatto oltre 30 vittime a Bruxelles, ce n’è uno che riguarda i servizi segreti occidentali e non solo. Ieri, a 24 ore dall’attacco, il quotidiano israeliano Haaretz, di solito ben informato, ha rivelato che i servizi segreti di mezza Europa, ed evidentemente anche di Israele, sapevano di imminenti attacchi alla metropolitana e all’aeroporto di Bruxelles. Aggiungendo che l’azione era stata pianificata a Raqqa, capitale del sedicente Stato Islamico. Delle due l’una, o si tratta di avvertimenti assolutamente generici rilanciati per diventar polemica, o i servizi hanno degli informatori, degli infiltrati all’interno dell’Is. Ma allora perché correre il rischio di bruciarli?

I servizi segreti “sapevano – scrive il quotidiano israeliano – con un alto livello di certezza che attacchi erano stati pianificati per un futuro prossimo all’aeroporto e, a quanto pare, anche nella metropolitana”. Le intelligence “non hanno saputo fornire una risposta adeguata all’immediatezza della segnalazione”.

Notizie che si vanno ad aggiungere a quanto detto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha riportato come Ibrahim Bakraoui, uno degli attentatori di Bruxelles e fratello dell’altro kamikaze Khalid, fosse stato arrestato in Turchia ed estradato in Belgio a giugno, ma le autorità belghe lo rilasciarono non trovando legami tra lui e la jihad. Informazioni smentite, parzialmente, dalle autorità belghe che hanno specificato come l’estradizione fosse stata verso l’Olanda. E notizie che si aggiungono a quanto scritto dal New York Times che ha scoperto che Khalid El Bakraoui, il fratello che si è fatto esplodere nella metropolitana di Bruxelles, era nella lista dei più ricercati dell’Interpol. La polizia internazionale aveva diffuso un “red alert”, il più alto su una scala di 8 livelli di segnalazioni usati da Interpol, in pratica un mandato d’arresto internazionale, nei confronti dell’uomo nato il 12 gennaio 1989.

Che gli autori delle stragi non fossero dei perfetti sconosciuti, e che quindi inevitabilmente i controlli su di loro abbiano fallito, è evidente. Come potrebbe essere talmente evidente, al limite del banale, indicare genericamente l’aeroporto e la metropolitana di una capitale europea, magari quella sede delle istituzioni Comunitarie, e dove magari c’è anche un quartiere-ghetto serbatoio della jihad europea, come possibili obiettivi di attacchi terroristici. Se gli avvertimenti in possesso dei servizi segreti citati da Haaretz fossero stati di questo tipo sarebbero stati, inevitabilmente, inutili. Inutili perché come hanno ripetuto tutti, ministro dell’Interno italiano compreso, il “rischio zero non esiste”. Si conoscono certo i luoghi potenzialmente più a rischio, ma è umanamente impossibile controllare tutto e tutti, sempre.

Se però gli avvertimenti fossero stati di altro tipo, come in verità sembrano suggerire le parole del quotidiano israeliano, ci sarebbe sicuramente da ragionare sull’operato degli apparati di sicurezza del Belgio (che a dire il vero appaiono drammaticamente inadeguati), ma ne conseguirebbero anche alcune altre deduzioni. E dubbi. Sapere che sono in programma imminenti attacchi all’aeroporto e alla metro della capitale belga e sapere che sono stati pianificati a Raqqa, vuol dire che tra la capitale dello Stato Islamico e quella del Belgio qualcuno che era in possesso dell’informazione l’ha girata ai servizi. Cosa che, in altre parole, vuol dire che tra Raqqa e Bruxelles qualcuno è riuscito ad infiltrare l’Isis. Ed è molto più probabile che questo sia avvenuto in Siria o in Iraq più che in Belgio, se infatti ci fosse stato un infiltrato nella cellula belga l’attentato sarebbe stato evitato.

Ma allora, se qualcuno che sia la Cia il Mossad o chissà chi è riuscito a bucare le difese dello Stato Islamico, che senso ha correre il rischio di ‘bruciarlo’ pubblicando delle informazioni che solo dall’interno dell’Isis possono venire? Apparentemente nessuno. Come però nessun senso aveva rendere pubblica la volontà di Abdeslam di collaborare con le autorità.