Terremoto, giù scuola antisismica: ricostruzione è terremoto bis

di Riccardo Galli
Pubblicato il 25 Agosto 2016 - 13:37 OLTRE 6 MESI FA
Terremoto, la scuola antisismica venuta giù

Terremoto, la scuola antisismica venuta giù

ROMA –Terremoto, di terremoto ce n’è tre. Quello di prima, degli anni e decenni di prima, quell’attentato a se stessi (così lo chiama Gramellini su La Stampa) che consiste nel non fare nulla per difendersi, prepararsi, convivere con il terremoto che verrà. Prevenzione zero o quasi è il primo terremoto. Prevenzione zero o quasi perché costa costruire a regola solida, costa ristrutturare, rinforzare. Costa e questi sono soldi per il futuro, non pochi, maledetti e subito, che la gente e la politica non vuole spendere.

Il secondo terremoto è quello delle scosse, della terra che si muove. E il terzo ce lo mettiamo noi: è quello della ricostruzione. Diventa un grande affare, crea nuovi ricchi, sforna pessime strutture. E’ questa la storia delle ricostruzioni italiane post terremoto. Terremoto ce n’è tre, una inscindibile (in Italia) maledetta trinità.

Centinaia di morti, altrettanti feriti e poi migliaia di sfollati e case distrutte. Soprattutto case distrutte perché, come diceva e dice ancora Giuseppe Zamberletti, padre della nostra Protezione Civile, “sono gli edifici che crollano ad uccidere e non i terremoti”. Crollano per quella che oggi i media chiamano la “maledizione degli Appennini” e crollano perché l’Italia tutta, non solo i monti che la tagliano da Nord a Sud, è ad alto rischio sismico. Ma crollano anche per un altro tipo di maledizione: quella della ricostruzione.

Non sono infatti rari i terremoti nel nostro Paese, come la cronaca delle tragedie è lì a dimostrare, ma ad ogni crollo segue paradossalmente una ricostruzione quasi peggiore, foriera di futuri crolli e nuove morti. Una ricostruzione fondata troppo spesso su due precondizioni che ne ipotecano la buona riuscita: ruberie diffuse e miopia, per non dire peggio, politica.

Come si è recentemente visto nel caso dell’Aquila e come il post terremoto dell’Irpinia dimostra in modo quasi esemplare, i denari stanziati per ricostruire dopo un sisma – o anche altre catastrofi – raramente finiscono in toto spesi in quello per cui erano stati stanziati e si disperdono invece in opere di dubbia utilità, mazzette e favori e che a loro volta si tramutano in opere inevitabilmente scadenti visto che alla fine devono pagare anche tutto ciò.

E poi la politica forse vera ‘colpevole’ di questo stato di cose, ma non la politica intesa come ‘casta’ cattiva e distante ma politica intesa in senso classico come espressione del volere popolare. Quella politica che dovrebbe dettare e soprattutto far rispettare le regole antisismiche e che in Italia è compito delle amministrazioni locali che, per non perdere consenso elettorale, su quelle regole chiudono un occhio e qualche volta entrambi.

Quelle regole che se applicate strozzerebbero gli affari, l’edilizia e non consentirebbero agli elettori di costruirsi la seconda casa, allargare il garage, fare un soppalco e che, di conseguenza, li porterebbero a votare non per un amministrazione rigorosa in grado forse e comunque domani di evitare una tragedia ma per una in grado di garantire oggi affari e quei metri quadri in più a cui proprio non si può rinunciare.

Ad Amatrice, uno dei centri più colpiti dal sisma, è venuta giù metà della scuola “Romolo Capranica”. La parte sinistra dell’edificio, in particolare la facciata, si è sbriciolata. Un fatto che non desta stupore in un Paese dove anche le strutture pubbliche non sono sempre a norma ma che fa rabbia perché solo 4 anni fa il plesso scolastico in questione era stato sottoposto a una ristrutturazione costata 511.297,68 euro. “I lavori hanno riguardato l’adeguamento della vulnerabilità sismica”, spiegava il sindaco Sergio Pirozzi il giorno del taglio del nastro.

Ad Accumoli a crollare uccidendo un’intera famiglia, una giovane coppia e due piccoli bimbi di 7 anni e 8 mesi, è stato il campanile della chiesa adiacente alla loro abitazione. Un campanile antico certo, ma restaurato con i fondi del terremoto aquilano, quello di 7 anni fa. Restaurato probabilmente non bene se dopo così poco tempo è crollato.

Se la maledizione della ricostruzione si trasforma troppo spesso in casi simili, esistono per fortuna anche esempi di segno opposto. Come è il caso di Norcia, senza vittime nonostante sia a soli 17 km in linea d’aria dall’epicentro del sisma che ha provocato devastazioni tra le Marche e il Lazio. Lì le case sono state ricostruite rispettando le disposizioni antisismiche dopo i terremoti del 1979 e 1997. Ed hanno retto. “È una questione di scelte”, dice Gian Michele Calvi, uno dei massimi esperti italiani in fatto di terremoti, docente all’Università di Pavia a La Stampa. “Spendere tre miliardi l’anno per i danni post sisma o investire la stessa cifra per la prevenzione?”. Secondo l’Ance, l’associazione dei costruttori, dal 1968 a oggi sono stati spesi 180 miliardi (attualizzati) per i disastri causati dai terremoti. Ricostruire un chilometro quadrato costa tra 60 e 200 milioni. Con 100 miliardi si sarebbe rimessa in sesto tutta l’Italia. Ed evitati probabilmente molti morti.