Libero fucile in libera Padania: la Lega tenta il favore alla lobby armi

di Riccardo Galli
Pubblicato il 27 Luglio 2011 - 15:16 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Non è la prima volta che ci provano ma, per ora, anche questa volta la Lega ha visto bocciare il proprio progetto di liberalizzazione delle armi in Italia. L’ultimo tentativo in questo senso la Lega l’ha confezionato sotto forma di un emendamento al decreto per il rifinanziamento delle missioni all’estero. Emendamento che prima che dalle opposizioni è stato criticato  all’interno della stessa maggioranza che, dopo averlo presentato, è stata costretta a fine giornata a ritirarlo. Missione fallita quindi quella della Lega, per ora, ma perché il partito di Bossi tiene tanto a questa liberalizzazione? Cherchez la femme… Ma più che la “femme” in questo caso va ricercato il maschilissimo euro, la ragione economica di tanta passione leghista per arma libera in libera Padania.

Non come negli Stati Uniti, ma anche da noi esiste una  lobby delle armi, concentrata più che altro nel nord Italia, guarda caso. In America le lobby sono regolamentate e riconosciute, da noi no, ma la musica non cambia. L’emendamento contestato e ritirato, il numero 8.0.1 di modifica al ddl 2824, a firma del bossiano Bricolo, prevedeva la cancellazione del «catalogo nazionale delle armi comuni da sparo». Un semplice articolo, il numero 7, di una legge del 1975 che è anche, però, un intero dipartimento del ministero degli Interni che serve a tracciare le armi in mano ai privati, collegando numero progressivo d`iscrizione, descrizione dell`arma e del calibro, produttore e detentore. Una vera e propria funzione preventiva contenuta in una legge contro la quale da decenni si batte la lobby dei produttori, dei commercianti e degli importatori di armamenti. Se quell`emendamento fosse passato, sarebbero state commercializzabili sul mercato civile armi molto potenti, non a raffica ma capaci di perforare, con un colpo solo, i mezzi blindati, come i fucili d`assalto. O come le pistole calibro 7,62 Nato, molto occultabili e capaci di superare qualunque protezione balistica. L`emendamento poi avrebbe spostato dal ministero dell’Interno alla Difesa, dunque dalla pubblica sicurezza civile al militare, la competenza sulle armi da fuoco ammissibili nel mercato civile nazionale. «Un bel favore alla criminalità organizzata», ha commentato Anna Finocchiaro del Pd. Ma il leghista Mazzatorta ha difeso il provvedimento, «tutta demagogia», sostenuto dal berlusconiano Franco Orsi che a un certo punto decanta «la cancellazione della struttura del Catalogo, a suo avviso troppo costosa: quei venti milioni di euro serviranno per le missioni di pace».

La liberalizzazione è stata accantonata per le molte perplessità che ha suscitato all’interno della maggioranza e della stessa Lega, dove si è registrato un nuovo scontro Bossi-Maroni: il bossiano propone e il ministro dell’Interno non condivide avendo, alla fine, la meglio. In Aula si è assistito alla presa di distanza del presidente del Senato Schifani, al governo che non dà parere favorevole ma solo «conforme» al relatore. Il centrodestra ha dovuto cedere non alle opposizioni quindi, seppur compattamente contrarie, ma alle sue stesse contraddizioni interne: il Pdl non reggeva quella proposta della Lega. Ma la lobby delle armi non disarmerà. Non a caso Brescia ospita ogni anno la fiera delle armi. Lobby “nordica” quindi che, evidentemente, è in grado di esercitare una pressione assai convincente sul Senatur e sui suoi. Tanto che nemmeno dopo tre ore di serrato e crudo dibattito con le opposizioni, con il relatore del decreto sulle missioni militari, il berlusconiano Giuseppe Esposito, costretto a ritirare l’emendamento che verrà trasformato «in un ordine del giorno della Commissione» cioè il nulla, il leghista Bricolo prometteva: «dopodomani lo ripresenteremo come disegno di legge».