Al corteo ma era in malattia: licenziato e reintegrato. L’art.18 al cubo

di Riccardo Galli
Pubblicato il 9 Febbraio 2012 - 14:49 OLTRE 6 MESI FA

Lapresse

TORINO – Non sarà come scriveva il Wall Street Journal “la più grande minaccia alla crescita economica italiana, più ancora del debito pubblico”. Sarà solo una questione ideologica e non sarà nemmeno, come ha detto il premier Mario Monti, quello che “allontana investimenti stranieri e anche nazionali”. Di certo però, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ogni tanto trova delle applicazioni singolari. Applicazioni che non gli fanno certo buona pubblicità. Applicazioni che possono “spaventare” i datori di lavoro. E possono, anche se sono state messe in opera dai magistrati, far supporre più di un graffio alla giustizia, intesa come equilibrio di diritti e doveri. Come nel caso di Damiano Piccione: licenziato perché ripreso da una telecamera mentre attivamente partecipava ad una manifestazione di protesta nello stesso giorno in cui era assente dal lavoro per malattia. Licenziato e reintegrato al suo posto dal giudice del lavoro ai sensi appunto di una molto onnicomprensiva applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Licenziato l’8 ottobre scorso, Damiano Piccione, operaio della Itinera Spa, società del gruppo Gavio, è appena stato reintegrato al suo posto. L’azienda lo aveva espulso perché “era venuto meno il rapporto di fiducia tra le parti” in quanto l’operaio era stato visto, fotografato e ripreso ad una manifestazione sindacale mentre era in mutua. La manifestazione era quella in cui il segretario della Cisl Raffaele Bonanni fu duramente contestato a Torino, beccandosi anche un fumogeno in volto.

Piccione era alla manifestazione mentre era in malattia, circostanza non contestabile e non contestata da Piccione stesso. Ma Piccione presentò ricorso contro il licenziamento. Ricorso che è stato accolto dal Tribunale del Lavoro perché, come sosteneva l’avvocato di Piccione: il suo assistito “non poteva sostenere gli sforzi richiesti per il suo lavoro, ma questo non gli impediva di uscire di casa per fare la spesa o per partecipare ad una manifestazione al di fuori delle fasce orarie in cui deve restare in casa per la visita fiscale dell’Inps”. Visita che, per altro, Piccione racconta di aver ricevuto la mattina stessa del giorno della manifestazione. E visita a cui risultò inabile al lavoro, visto che il medico non ebbe nulla da obiettare. Si trattava di una patologia muscolare per cui avrebbe dovuto subire un piccolo intervento.

L’interessato parlò di discriminazione, di licenziamento “sindacale” voluto dalla Cisl a difesa del suo segretario, ricostruzione sempre smentita peraltro dalla stessa Cisl, e subito era partita la classica campagna di solidarietà. Mentre Piccione si giustificava dicendo di aver solo retto lo striscione in cui era raffigurato il volto di Bonanni stampato su una banconota da 50 euro. Fatica fisica dunque compatibile con il suo stato di salute che invece era incompatibile con il lavoro in azienda: questa la distinzione accolta nei fatti dal giudice.

Questa è la storia di Damiano Piccione, nessuno mette in dubbio le sue ragioni e la sua iniziativa legale per farle valere. Il giudice le ha accolte, nella sua autonomia di giudizio ha ritenuto così facendo di altro non fare se non applicare la legge. Legge che però difficilmente può essere spiegata a potenziali investitori stranieri. Al lavoro no, ma a fare la spesa, a regger striscioni in piazza e magari allo stadio sì. Immaginate un imprenditore americano o di qualsiasi altro luogo di fronte a questa possibilità. Penserà che siamo un Paese singolare. Ma forse per pensarlo non c’è bisogno di essere stranieri e neanche “padroni”.

L’articolo 18, scriveva Matthew Melchiorre, analista all’Istituto per la Competitività delle Imprese di Bologna, sul WSJ “è un relitto degli anni 70 che rende impossibile licenziare anche il più incompetente dei dipendenti ed in modo perverso causa ciò che dovrebbe prevenire: la disoccupazione”. A causa di questa norma l’Italia è diventata il secondo peggior Paese in cui fare impresa, dopo la Grecia, secondo la classifica stilata dall’Ocse, spiegava poi l’autore. Secondo sempre uno studio dell’Organizzazione parigina, mentre le aziende italiane aumentano il numero dei dipendenti di appena il 20% nei primi due anni di vita, quelle americane segnano un incremento del 120% nella forza lavoro, prosegue l’editorialista. Anche la più piccola riforma di questa norma è sempre stata impossibile, soprattutto per “la codardia della classe politica italiana di sfidare il potere dei sindacati”.

“Se non ci fosse stato l’articolo 18”, ha commentato Piccione, “avrei ricevuto solo un indennizzo, ma non avrei più avuto il mio lavoro”.