Berlusconiani doc, ora sono ex. Nord est delle imprese non ne può più

di Riccardo Galli
Pubblicato il 23 Settembre 2011 - 15:12 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Gli “ex”, spesso, sono un problema. E Silvio Berlusconi, oltre ad avere due ex mogli , comincia ad avere moltissimi ex sostenitori, ex sponsor, ex amici. Una collezione di ex figlia dell’ultimo, disastroso, triennio di governo. Erano berlusconiani “doc”, sono diventati ex: quasi un’epidemia. L’imprenditore veneto Giannino Marzotto, ad esempio, che nel 2005 aveva finanziato la campagna elettorale di Silvio Berlusconi con un assegno da un milione di euro, consiglia ora al Cavaliere di togliersi di mezzo. Ed Enrico Marchi presidente della Save, la società che gestisce l’aeroporto di Venezia, considerato uno dei poteri forti del Veneto, ha rivelato che dopo essere stato nelle urne ripetutamente berlusconiano è ricorso già una volta alla scheda bianca. E ancora Confindustria, notoriamente non proprio un’associazione filomaiosta, naturalmente più affine ad un governo di centro destra e liberale (è l’attuale maggioranza che si definisce in questo modo ndr), è di fatto all’opposizione.

Al di là degli esempi singoli, è quella che era la base, o almeno una della basi in cui il berlusconismo pescava consenso e voti, ad essere ormai stufa dell’attuale premier. Il ricco nord est, gli imprenditori, si scoprono oggi stanchi di promesse non mantenute, di tasse, di crisi, di scarsa credibilità sui mercati esteri, e si accorgono che proprio la persona che avevano sostenuto, Berlusconi, è in buona parte responsabile di tutto ciò. Certo, alle prossime elezioni non andranno tutti a votare per Vendola o Bersani, ma difficilmente daranno il loro voto ancora al Cavaliere o ad un suo alleato. Infatti, come rileva il sondaggista Nando Pagnoncelli, è cresciuto di dieci punti fino a toccare il 44% il «partito del non voto», e una componente forte è data da imprenditori e lavoratori autonomi.

Qualche giorno fa, con una iniziativa che ha sorpreso molti, la giunta della Confindustria di Padova presieduta da Massimo Pavin si è espressa all’unanimità (18 su 18) contro l’attuale legge elettorale e ha aderito alla raccolta firme per il referendum contro il Porcellum. Un segnale politico forte, inequivocabile, in una regione nella quale gli industriali si sono sempre interessati più degli aspetti produttivi e di mercato che dei sistemi elettorali. Non molto distante dalla città del Santo, a Modena, nel cuore dell’Emilia, lo stesso orientamento di rivolta è maturato tra i giovani imprenditori di Confindustria, capitanati da Davide Malagoli, che ha dichiarato: «La nostra politica, senza distinzioni di partiti, è debole».

E se la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, è sembrata in questi giorni aver varcato il Rubicone e posizionato gli industriali all’opposizione, non si può dire che lo abbia fatto senza il consenso della base. Anzi. Al Cersaie, la fiera della ceramica-chic che si tiene in questi giorni a Bologna, la presidente è stata coperta di applausi appena ha alzato i toni verso palazzo Chigi e anche a Nord Est, tradizionale serbatoio di voti del centrodestra, tutto si può dire tranne che gli industriali non siano d’accordo con la loro presidente. Prima dell’estate gli imprenditori di Treviso conclusero la loro assemblea con una marcia silenziosa che fece comunque rumore, se si riunissero oggi probabilmente sarebbero anche meno silenziosi.

Basta ascoltare quello che dice il numero uno degli industriali veneti, Andrea Tomat: «Le imprese sono credibili, il governo non lo è più». Tomat non è di sicuro una testa calda, come non sono degli indignados in servizio permanente altri due esponenti di peso dell’industria nordestina, Stefano Beraldo (Coin) e Gianni Zonin, che prima ancora che la Marcegaglia desse il “la,” avevano bocciato senza rimedio la compagine di governo. Un indizio del mutato gradimento da parte degli imprenditori era venuto anche dalla Confindustria di Vicenza che, per la sua assemblea annuale, aveva deciso polemicamente di non invitare sul palco ministri o sottosegretari.

Tra i più critici nei confronti dell’esecutivo ci sono oggi gli industriali del settore alimentare, colpiti direttamente dall’aumento dell’Iva. Sostengono che il governo per aumentare l’Iva ha fatto demagogia dichiarando ai quattro venti che sarebbero aumentati solo i beni di lusso. «E invece – racconta il presidente di Federalimentare Filippo Ferrua – sono salite le imposte su acqua minerale, vino, birra, caffè e the. Sono beni di lusso, forse?». Lo scontento per la manovra si unisce alla delusione per le mancate misure di liberalizzazione. «Ho letto che il documento per la crescita lo scriverà un dirigente di Banca d’Italia. Alla fine dunque il governo si è arreso e ha incaricato un tecnico».

Anche in occasione di Milano Unica, la fiera del tessile, gli strali contro il governo di Roma non sono mancati e per sottolineare il loro umore gli industriali hanno riempito di applausi il sindaco «rosso» di Milano, Giuliano Pisapia. Il presidente della manifestazione, Pier Luigi Loro Piana ha condito il tutto dichiarando che «a questo punto ci tocca far tutto da soli» e un altro industriale come Carlo Rivetti (Stone Island) si è fatto addirittura intervistare dall’Unità per tuonare: «Questo governo non sarebbe dovuto nemmeno esistere».

Qualche esportatore del vino fa sapere di aver incontrato difficoltà con gli interlocutori stranieri come se l’intero Paese fosse stato retrocesso nel rating di affidabilità e Luigi Aronica, un industriale toscano delle piastrelle in vetro presente al Cersaie ha raccontato al Corriere di Bologna che «ormai ci prendono in giro pure in Madagascar».