Berlusconi: bomba a tempo per seminare terrore politico

di Riccardo Galli
Pubblicato il 26 Settembre 2013 - 14:46 OLTRE 6 MESI FA

berlusconi (4)ROMA – Una bomba a tempo a seminare terrore politico.Un ordigno con timer posto sotto il Parlamento, la presidenza della Repubblica, il governo. Valigie 24 ore piene di esplosivo lasciate sotto i portoni delle istituzioni da un uomo in preda alla paura, forse al panico. E che ha scelto di far paura, di incutere terrore.

Terrore, terrore politico. Questa è la definizione corretta della mossa targata Pdl ma dal “capo” voluta: dimissioni di massa il 4 ottobre in caso di voto a favore della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Non soltanto un bluff, anche se forse la bomba non verrà fatta brillare. Non soltanto la solita oscillazione del “pendolo berlusconiano” che un giorno minaccia e l’altro rassicura, ma vero e propria strategia del terrore. Spargo il panico, minaccio la vita degli “ostaggi” governo, economia e bilancio in modo che gli altri mi consegnino il salvacondotto, la macchina e l’elicottero per fuggire dalla condanna e dalla pena. Tecnicamente è terrorismo. Terrorismo politico ovviamente, ma la tecnica è quella.

Talmente “quella” e non altra che diffusa è la tentazione di non crederci, non fino in fondo. Ovunque si legge una voglia di “non ci posso credere”, non fosse altro che per carità di patria. Leggendo gli editoriali dei principali quotidiani italiani, non fogli rivoluzionari ma, ad esempio, il Sole24Ore o il Corriere della Sera, i termini che ricorrono per descrivere la presa di posizione dei parlamentari del Pdl sono “irresponsabilità” e “disperazione”.

La prima, l’irresponsabilità, nei confronti del Paese che faticosamente sta cercando di non mancare l’aggancio alla timida ripresa che si intravede e che si troverebbe, in caso di crisi, ricacciato indietro con gravi e costose conseguenze per tutti. La seconda, la disperazione, è invece quella del “capo”, quella di Berlusconi che di fronte allo spauracchio del carcere, ipotesi che in realtà non esiste, e della decadenza da senatore ha perso di lucidità, ma anche quella dei suoi uomini incapaci di vedersi, anche solo di pensarsi senza il Cavaliere.

“Ci vuole una smisurata dose di irresponsabilità e di provincialismo per minacciare dimissioni di massa dal Parlamento mentre a Wall Street il presidente del Consiglio rassicura gli investitori internazionali sulla stabilità dell’Italia – scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera -. La mossa, perché bisogna sperare che non sia ancora una decisione definitiva, di deputati e senatori del Pdl esaspera la sensazione di un partito in balìa di chi vuole fomentare il ‘tanto peggio tanto meglio’; e che per risolvere il conflitto interno tra oltranzisti e ala ministeriale, non esita a scaricarne i costi sul Paese nel nome di una malintesa fedeltà a Silvio Berlusconi condannato”.

Provati dal continuo oscillare di Berlusconi tra crisi e sostegno al governo in molti, compresi attenti osservatori e stimati editorialisti, credono che anche la promessa di dimissioni di massa altro non sia che il solito bluff. Bluff perché il Cavaliere a questo ci ha abituato, bluff perché questa sì che sarebbe eversione vera, a differenza di quella spesso evocata proprio dall’ex premier, bluff perché nessuno lo ha mai fatto e bluff perché il prezzo che l’Italia pagherebbe sarebbe davvero troppo alto per le vicende di un uomo. E bluff infine, perché dati e sondaggi alla mano, non converrebbe nemmeno a Berlusconi che, tornando alle urne, non troverebbe quell’appoggio popolare che cerca da contrapporre alle sentenze.

L’idea della dimissioni di tutti i parlamentari pidiellini, oltre ad essere incredibile per molti se non tutti, è poi nella realtà anche un’idea non concretizzabile. In primis perché le dimissioni di massa non sono previste e vanno quindi presentate singolarmente, in secondo luogo perché le dimissioni dei parlamentari devono dal Parlamento essere accettate e solitamente sono respinte, in terzo luogo perché ad ogni parlamentare dimesso subentra il primo dei non eletti, e non rimangono quindi posti vuoti e, in ultimo, perché anche se si dimettessero non solo tutti i parlamentari Pdl ma anche i candidati eventualmente subentrati, non sta scritto da nessuna parte che le Camere andrebbero sciolte.

Certo sarebbe una situazione mai vista ma, paradossalmente, il Pd potrebbe allora governare da solo avendo a quel punto la maggioranza anche al Senato. Idea che quindi non si concretizzerà nella forma urlata giusto ieri. Se e quando Berlusconi deciderà la fine del governo Letta, userà uno strumento molto più semplice e già a sua disposizione: le dimissioni dei ministri e la successiva sfiducia.

“Se Berlusconi volesse aprire la crisi, avrebbe un’arma semplice e definitiva a sua disposizione: far dimettere i ministri del centrodestra presenti nel ministero Letta – analizza Stefano Folli sul Sole24Ore -. Viceversa preferisce una strada tortuosa e devastante, forse peggiore di quella che porterebbe alla caduta immediata del governo. La questione è sempre la solita: la decadenza dal Senato, una ferita politica e umana subìta e non risarcita da nessuno (leggi Giorgio Napolitano). La mossa di ieri è un atto dettato dalla frustrazione, forse dalla disperazione: dimissioni di massa dei parlamentari come gesto di estrema lealtà al capo”.

Nonostante tutto questo però la promessa delle dimissioni non è il solito bluff, l’ennesima boutade berlusconiana, ma è invece una bomba ad orologeria messa sotto la sedia del governo. Berlusconi ha il terrore di finire in galera o comunque di doversi piegare alle sentenze e con la stessa moneta reagisce, con il terrore. Una mossa che serve a mettere paura, a far vivere 8 giorni di passione e paura, quelli da qui al 4 ottobre, ad Enrico Letta, a Giorgio Napolitano e a quelli che dovranno votare sulla sua decadenza. Una bomba che non è detto esploda nella forma decritta, ma che deve rovinare le notti di chi governa. E forse anche di chi è governato visto che una crisi significherebbe nuova tragedia finanziaria per il Paese e nuovi costi per gli italiani.

Esiste poi, per i teneri di cuore, una lettura “dolce” della strategia berlusconiana: si avvicina il momento della legge di stabilità, il momento in cui, volenti o nolenti, toccherà chiedere agli italiani qualche soldo sotto forma di tasse, pratica che il Cavaliere detesta, specie prima delle elezioni, e per questo sarebbe pronto a sfilarsi: per non accollarsi il peso della service tax ad esempio. Il chiamarsi fuori quando si paga il conto è molto, molto berlusconiano. Ma questo era il Berlusconi di prima, la “simpatica canaglia”. Prima delle sue notti con incubo manette. Manette, arresto che da quasi due mesi il capo dello Stato ha esplicitamente escluso. Ma Berlusconi la notte non dorme lo stesso, forse ha perso il controllo di sè, forse sa di se stesso più di chiunque altro.