CARRARA –Un boato all’alba. E’ il Carrione: gonfio di acqua e di fango, ha rotto l’argine davanti a via Covetta, frazione di Avenza, su ovest di Carrara…E’ l’incipit della cronaca dell’alluvione del Corriere della Sera a firma Marco Gasperetti. E l’incipit, il filo per risalire al come e perché di tutto, di tutto e di sempre, può essere proprio quell’argine. Fatto e rifatto, l’ultima volta neanche due anni. Eppur crollato alla prima dura spallata inferta da un fiume che non è certo il Rio delle Amazzoni. Crollato perché costruito male? Forse. Venuto giù perché tirato su al risparmio? Può essere. Regione Toscana e Provincia di Carrara già si guardano in cagnesco e sono pronte a scaricarsi l’un l’altra la scomoda responsabilità.
Ma forse è ancora peggio, forse quell’argine sarebbe venuto giù comunque perché nessun argine può contenere un corso d’acqua costretto dalla volontà e dalla mano dell’uomo ad esondare, ad alluvionare il territorio che attraversa. Gli uomini, le aziende, le istituzioni, i sindacati, la gente, le famiglie hanno tolto da decenni al Carrione il letto in cui scorreva, letteralmente riempiendolo di scarti, rifiuti e manufatti. Nessun argine può tenere un fiume cacciato a forza dall’uomo dal suo percorso. E’ l’uomo che dovrebbe porre argine a se stesso, ma non lo fa, si rifiuta di farlo. Quindi l’alluvione è una nemesi, una conseguenza. Quasi matematica.
Limitandosi al periodo che va del secondo dopoguerra ad oggi, Carrara ha dovuto fare i conti con le alluvioni nel 1952, nell’82 e poi nell’85, e ancora nel 1992 e di nuovo nel ’96, nel 2003, nel 2009 alla vigilia di Natale, nel 2010 (due volte), nel 2012 (tre volte), e ancora nel 2013 ed infine, speriamo ma difficilmente sarà l’ultima, l’altroieri.
Fosse costruita in una zona paludosa dove sfocia uno dei fiumi più grandi del mondo incontrando una forte corrente oceanica sarebbe, forse, normale. Ma Carrara sorge invece ai piedi delle Alpi Apuane e il rapporto più stretto che ha con l’acqua lo vive attraverso il Carrione, il corso d’acqua che l’attraversa e che più che ad un fiume somiglia ad un ruscello. Un rigagnolo di circa venti chilometri che però la lungimiranza dell’uomo è riuscita a trasformare in una specie di ‘macchina per esondazioni’.
Da che Carrara esiste vive, lei e l’economia della zona, dell’industria del marmo. Industria redditizia e che accorda alla cittadina anche una discreta fama nel mondo. Il suo marmo, il marmo di Carrara è noto ovunque. Ma un’industria produce la sua buona dose di rifiuti. Rifiuti che nel caso dell’attività estrattiva sono in buona parte costituiti da polvere e rocce. Entrambi regolarmente smaltiti nel Carrione.
La prima, la polvere, chiamata marmettola, aveva dato al fiume un colore bianco latte e aveva fatto sparire ogni forma di vita, topi compresi. I secondi, i massi, hanno ostruito, ristretto ed occupato il letto del Carrione tanto che questo, ogni volta che piove, si trova quasi costretto ad esondare non avendo più un alveo da seguire.
Il geologo Alfonso Bellini e l’ingegnere Pietro Misurale – racconta Marco Imarisio sul Corriere della Sera – redassero una perizia che “è un elenco di 93 foto che testimoniano l’occupazione sistematica dell’alveo naturale del torrente da parte dei depositi dei rifiuti di lavorazione, con l’acqua costretta spesso a scorrere sui ravaneti, i cumuli di detriti parte integrante del paesaggio. ‘La presenza di materiale solido è stata talmente rilevante da rendere non attinenti le valutazioni sulla portata della piena’. Ci sono fotografie dell’alveo lungo la strada per Colonnata, così pieno di massi abbandonati che l’acqua fu costretta a scorrere sotto l’asfalto, con conseguenze inevitabili. C’è l’incredibile strettoia creata nell’alveo da una piattaforma di cemento sulla quale sorgono due tralicci, che aveva ridotto il bacino da trenta a quattro metri di larghezza. Edifici, strade, attraversamenti. Il torrente è stato strozzato in ogni modo possibile. Quasi tutti gli scempi immortalati dalle 93 fotografie sono ancora al loro posto. (…) Mai più, si disse dopo il 2003, come da copione alluvionale. Furono promessi argini e sponde.
L’unica a dire che era tutto inutile senza un progetto mirato ‘ove possibile’ a restituire al Carrione il suo alveo, fu Legambiente, inascoltata Cassandra. (…) I nuovi lavori, iniziati comunque nel 2007, non sono certo dei gioiellini. Nel 2011 lo scavo in profondità dell’alveo nel centro storico venne interrotto per dieci mesi. La ditta appaltatrice aveva fatto crollare un edificio sulle sponde. Contratto rescisso, richiesta danni al Comune, corsi, ricorsi e controricorsi. Il sottopasso della Ferrovia, 2,5 milioni di spesa, viene ultimato nell’ottobre del 2012. Lo hanno progettato nel punto più basso della zona industriale, in una conca dove confluiscono le acque piovane del Carrione. La seconda alluvione del 2012 fa crollare il nuovo rialzamento dell’argine sinistro del torrente all’altezza del quartiere di Avenza, il più grande e popolato di Carrara. Ieri ha ceduto l’altro argine, in realtà un muro di contenimento appoggiato alla sponda, finanziato con i soldi della Regione”.
Un’alluvione, l’ennesima, annunciata. Tanto è vero che, come racconta sempre sul Corriere Marco Gasperetti, “che quell’argine fosse instabile, nonostante i lavori di ripristino, lo sapevano tutti. ‘Avevo presentato un esposto, nessuno mi ha ascoltato’, denuncia Sabina Bertoloni, che si è salvata aggrappandosi a un ramo mentre l’acqua la risucchiava”.
Considerando che il fiume killer in questione è lungo una ventina di chilometri circa e che nel suo percorso attraversa circa 140 cave di marmo, si capisce quanto le esondazioni siano colpa della natura crudele.
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