Concordia-Costa: l’allarme dopo 68 minuti, una lunga questione di soldi?

di Riccardo Galli
Pubblicato il 19 Gennaio 2012 - 14:32 OLTRE 6 MESI FA

La Costa Concordia vista dal satellite (Lapresse)

ISOLA DEL GIGLIO (GROSSETO) – Tra le 21:45 di venerdì sera, e le 22:58 dello stesso giorno, ci sono 68 minuti di attesa. Sessantotto minuti in cui, dalla Costa Concordia, nessuno lancia l’allarme, chiede aiuto o tantomeno ordina l’abbandono della nave. Tanto passa infatti tra il momento in cui la Costa Concordia colpisce gli scogli de Le Scole e quando il comandante Schettino segnala ufficialmente allarme. Prima, poche e reticenti comunicazioni con la Capitaneria di Porto e con i passeggeri. Ma molte consultazioni interne, tra il comando della nave e la compagnia armatrice. In quei minuti infatti qualche allarme partì, ma grazie alle telefonate a casa dei passeggeri. Perché allora oltre un’ora per dare l’allarme “ufficiale”? Semplice sottovalutazione della situazione e del danno, disorientamento eccesso di prudenza? O “tempi tecnici” per una lunga consultazione con  Costa Crociere, una lunga consultazione anche su questioni di soldi? Diritti, risarcimenti, regole, obblighi, leggi del mare che scattano quando scatta l’allarme?

Forse sono proprio delle ragioni economiche quelle che possono spiegare alcuni comportamenti altrimenti incomprensibili. Certo non la decisione di Francesco Schettino di fare lo “sbruffone” sotto costa. Scelta questa che non ha nemmeno la parziale e prosaica giustificazione del denaro, ma è semplice sciocca avventatezza. E la circostanza ormai assodata che gli “inchini” fossero un rito e non un’invenzione una tantum a un passo del Giglio non fa che aggravare l’avventatezza sciocca. Ma altri accadimenti, come il lasciar passare un’ora prima di dare l’allarme, forse una spiegazione logica l’hanno.

Schettino poco dopo l’urto viene informato che la sala macchine è allagata, lo raccontano i suoi stessi ufficiali. E’ quindi difficile pensare che potesse realmente credere si trattasse solo di un black out, come la plancia si ostina a ripetere alla Capitaneria che domanda. Tanto è vero che fece indossare i giubbotti salvagente ai passeggeri. Prima di dare l’allarme però, si mette in contatto con il suo armatore.

In mare esistono regole precise, forse eredità di un tempo passato ma ancora attuali. Quando si ordina l’abbandono della nave ad esempio si perde, di fatto, il titolo di possesso della nave stessa che chiunque potrebbe rivendicare. Ma anche quando una nave chiede “aiuto” accade qualcosa. Accade che tutti i mezzi disponibili in zona sono obbligati a prestare soccorso alla nave in difficoltà, ma accade anche che poi possano presentare il conto del loro aiuto. Cosa che non possono fare se invece la nave in difficoltà non ha ufficialmente chiesto e l’aiuto è stato quindi “spontaneo”.

Questa norma, applicata sulla scala della Costa Concordia, una vera e propria città galleggiante, porta a costi enormi. Pensate ad esempio ad una petroliera che devia la sua rotta per soccorrere i naufraghi. Il costo dei giorni “persi” sulla navigazione sarebbero esorbitanti, e a carico di chi ha chiesto aiuto. Certo, si obietterà, molto meno dei costi che si dovranno sostenere ora che la Concordia è affondata. Costi tra cui vanno conteggiati anche i 10 mila euro a cui ogni passeggero ha diritto come rimborso automatico per l’evacuazione. Ma poteva immaginare l’armatore, all’altro capo di un telefono cellulare, che una nave simile in navigazione praticamente nel bagno di casa e non in un mare oscuro e tempestoso, potesse colare a picco in poche ore? Probabilmente no. Supponendo infatti l’assoluta buonafede è facile immaginare che la Costa abbia cercato soluzioni più “economiche” prima di dare l’allarme sottovalutando, comprensibilmente, i fatti. Chi doveva fare altre valutazioni era chi si trovava sul campo, cioè Schettino.

Ragioni economiche che hanno forse ritardato l’allarme quindi e questioni economiche che a breve, finita la conta delle vittime, diverranno protagoniste. Che fare infatti del relitto? Recuperarlo o affondarlo? E quanto ci vorrà a restituire al Giglio il suo mare? E il rischio inquinamento? Tutte problematiche costose, ogni operazione sulla Concordia, vista la sua mole, avrà infatti costi esorbitanti. “Ora dobbiamo realizzare la fase preparatoria – ha spiegato Max Iguera della Cambiaso e Risso di Genova, che rappresenta gli olandesi della Smit Salvage, la società incaricata delle operazioni-. Lo svuotamento delle cisterne, una ventina, di una nave sdraiata su un fianco, vicino alla costa e su un fondale in discesa è molto complicato, anche se la Smit Salvage è la numero uno in questo campo”. Rischi di inquinamento? Iguera è stato molto franco, quasi brutale.

“Ci sono sempre e derivano dalla natura stessa dell’incidente al quale dobbiamo porre rimedio”. E i costi dell’intervento? “Correlati alla difficoltà e alla complessità dell’intervento. Non posso fare cifre, ma sicuramente il piano carburante avrà un costo sostenuto”. Gli olandesi hanno ricevuto soltanto l’incarico di rimuovere il carburante. “Per spostare e recuperare la nave – ha precisato Iguera -l’armatore e le assicurazioni predisporranno una gara. Ovviamente noi parteciperemo”. E qualcuno dovrà sborsare parecchi soldi. Per aspirare il carburante e poi per sollevare la nave e trasportarla altrove o per sezionarla e smontarla a pezzi. Se va bene, ci vorrà quasi un anno. Ma forse ci penserà il mare a tirar giù la Concordia e allora i costi…saranno costi mai visti e calcolati al mondo.