Concorso vinto non fa precario assunto, amici e parenti fanno posto fisso

di Riccardo Galli
Pubblicato il 28 Novembre 2012 - 14:43 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Conta più un amico che un concorso. Non è sfortunatamente uno slogan pubblicitario, ma quello che viene fuori da due storie, distinte ma legate, che racconta oggi Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Due storie che raccontano come in Italia, per trovare lavoro, sia più importante avere il classico santo in paradiso che qualche competenza. Meglio vantare parenti dal nome pesante che, magari, la vittoria ad un concorso pubblico. Due storie che raccontano come 107 vincitori di un concorso siano, dopo 4 anni, ancora allegramente a spasso mentre 19 “amici di”, assunti per chiamata diretta in un ente poi fallito, siano stati fortuna loro salvati con decisione ad hoc.

La storia dei 107 vincitori senza premio comincia nell’ormai lontano 2008, anno in cui l’Ice, l’Istituto per il Commercio Estero, emette un bando per 107 posti di lavoro. Alla prima scrematura, a Roma, si presentano in 15 mila aspiranti, una media di 140 per posto. Un migliaio di questi vengono scelti per accedere alla prova scritta e, circa un terzo di loro, 318 ad esser precisi, sono ammessi anche all’orale.

Da questo escono ovviamente i 107 vincitori finali, 107 persone, aspiranti lavoratori che hanno superato una selezione difficilissima, selezione che ha scartato circa 14 mila novecento candidati su 15 mila, vale a dire il 99%. Quelli scelti devono essere certamente la creme de la creme, il meglio che si poteva trovare, persone preparate e competenti. Cosi perfetti per quei posti che vincono sì il concorso, ma il lavoro non arriva. Vengono lasciati i 107 in attesa che si liberi qualche posto all’Ice. Sono bravi e serviranno a rimpiazzare chi se ne andrà, una sorta di panchina lunga applicata al settore pubblico. Poteva andar meglio certo, ma in fondo saranno i primi ad essere presi quando ci sarà posto. Meglio essere primi della lista d’attesa che essere fuori del tutto. O forse no?

Non sapevano allora, i 107, che 5 anni prima del loro concorsone Gianni Alemanno, quello il cui mandato da sindaco di Roma sarà inevitabilmente accostato a parentopoli e agli scandali delle assunzioni facili, allora ministro dell’Agricoltura, aveva creato “Buonitalia”. Una Spa pensata per “promuovere e diffondere nel mondo la conoscenza del patrimonio agricolo e agroalimentare italiano”, esattamente quello che l’Ice fa dal 1926. Con una differenza sostanziale, il nuovo ente ha bisogno di nuovo personale, 19 persone assunte per chiamata diretta. Buonitalia, come lo definisce Stella, è un “postificio” che imbarca “amici, parenti, camerati e compagni di partito”.

Destino di un ente siffatto, nemmeno a dirlo, buchi di bilancio e risultati nulli. Un’esperienza talmente grottesca che Giancarlo Galan, arrivato al ministero dell’Agricoltura nel 2010 con Berlusconi, cioè con la stessa maggioranza di Alemanno, invoca su Buonitalia un’inchiesta della Corte dei Conti: “Magari non ci sarà nulla di penalmente rilevante, ma di politicamente osceno c’è molto di sicuro”.

Ma Buonitalia, nonostante gli scandali, rimane lì. Come i 107 del concorso ancora in attesa di un posto. Finchè, un bel giorno, l’arrivo dei tecnici e della spending review decidono che quella Spa è una follia inutile e costosa e, dopo quasi dieci anni di vita, la chiudono. I 19 dipendenti amici di, ovviamente, rimangono a spasso ma, a differenza dei 107, in quanto amici godono dell’indignazione parlamentare che si rifiuta di lasciarli senza posto di lavoro.

“La ricollocazione dei 19 dipendenti nell’ambito della Pubblica Amministrazione – fa notare il ministro Mario Catania – nel caso di specie non è possibile, atteso che tale scelta si porrebbe in contrasto con il vincolo costituzionale del concorso pubblico, previsto in relazione alle procedure di assunzione negli organismo dello Stato”. Ma in fondo chi se ne frega della Costituzione, così con un emendamento i 19 vengono salvati e saranno, con ogni probabilità, assorbiti dall’Istituto per il Commercio Estero, che nel frattempo ha cambiato nome ma non compiti e, soprattutto, con buona pace dei 107 che si sono visti agilmente superati, dopo giusto 4 anni di attesa, dai parenti di. In fondo, chi ha un titolo, può sempre spenderlo all’estero.