Crollo, se palazzo ko per (troppo) padroni in casa propria

di Riccardo Galli
Pubblicato il 25 Gennaio 2016 - 13:57 OLTRE 6 MESI FA
Roma, crolla palazzo sul Lungotevere

Roma, il crolo del palazzo sul Lungotevere

ROMA –Crollo di un palazzo, sul lungotevere di Roma. Un giardino pensile forse troppo pesante e un open space forse troppo open, cioè senza mura. E il palazzo vien giù forse proprio perché troppo padroni in casa propria. Fatti loro? Mica tanto: a Roma accertati 1.800 abusi edilizi all’anno. Se 1.800 accertati, almeno 18.000 quelli effettuati. E sempre più lavori messi in mano a ditte che lavorano al massimo ribasso.

I lavori da poco iniziati al quinto piano erano almeno formalmente in regola, e grazie alla regola del silenzio­/assenso erano potuti iniziare senza bisogno di verifiche in loco da parte dei vigili. Al sesto piano l’architetto designer Lidia Soprani, nonostante esposti e diffide, era ancora sostanzialmente libera di tenere il suo giardino pensile. Tra loro, i condomini e il condominio che, come abbiamo appreso in questi giorni, non solo non può mettere bocca ma nemmeno può sapere quel che ogni inquilino fa all’interno del suo appartamento. La somma di questi tre elementi ha dato come risultato il crollo del palazzo sul lungotevere di Roma. Un crollo figlio anche di quello che anni fa era uno slogan politico: padroni in casa propria. A Roma, dicono le macerie, si è stati troppo padroni. E la casa è crollata.

Partendo dall’alto, cioè dal sesto piano, il primo elemento è il cosiddetto ‘giardino pensile’ dell’architetto designer, come la definiscono le cronache, Lidia Soprani. La signora, sicura evidentemente del fatto suo, forte anche delle sue competenze tecniche, si era serenamente infischiata dell’esposto dei condomini e della diffida dei vigili del fuoco rimediate fra il 2012 e il 2013 per la presenza ritenuta pericolosa di molte piante sul balcone dell’abitazione, con pesanti vasi in cemento ma anche pacchi avvolti in cellophane neri ammucchiati, il suddetto giardino pensile. La Soprani, ora che le sue competenze tecniche appaiono meno certe, potrebbe essere ascoltata nei prossimi giorni dalla procura e rischia di essere denunciata dagli altri condomini. Fino a ieri però aveva comunque potuto continuare a tenere quei materiali ritenuti da molti pericolosi, e lo testimoniano l’esposto e la diffida, e lo aveva potuto continuare a fare perché, come hanno spiegato in questi giorni diversi amministratori di condominio, nonostante si condivida di fatto una proprietà, ognuno può fare quel che vuole. In altre parole il condominio, cioè l’insieme dei proprietari, non può mettere bocca, vigilare o tanto meno intervenire su quel che i singoli fanno all’interno degli appartamenti. Giusto o sbagliato è così. E i vasi, che per quanto indiziati nulla conferma ad ora che siano causa o complici del crollo, sono rimasti dov’erano.

Scendendo di un piano, sotto il giardino pensile, l’appartamento al quinto piano. Quello che è stato senza ombra di dubbio il primo grande indiziato, e che ancora non è affatto scagionato, dove erano in corso dei lavori di ristrutturazione. Acquistato a dicembre per una cifra si dice intorno al milione di euro, in una compravendita di cui l’amministratore di condominio non sapeva nulla, nell’appartamento erano poco dopo iniziati i lavori che spesso chi compra casa fa. Lavori che dovevano trasformare la casa in un loft, hanno raccontato alcuni vicini, ragion per cui il sospetto è che per errore o disattenzione invece dei tramezzi fosse stato tagliato qualche muro maestro.

Ma come spiega il presidente del II Municipio Giuseppe Gerace, il neoproprietario “aveva presentato una comunicazione di inizio lavori asseverata (una Cila), accompagnata da un progetto del direttore dei lavori, così come vuole la legge. E l’aveva fatto solo pochi giorni prima del crollo, poi aveva fatto partire subito il cantiere. D’altra parte, per la legge sulla Semplificazione ­ aggiunge Gerace ­ non aveva bisogno di una nostra risposta per la formula del silenzio­assenso: quella è una comunicazione nella quale si descrive l’abbattimento di tramezzi e il direttore dei lavori poteva cominciare anche un attimo dopo. Il Municipio aveva 30 giorni di tempo per svolgere controlli ed eventualmente muovere contestazioni, quindi eravamo ancora nei limiti”.

Il palazzo al civico 70 del lungotevere Flaminio di Roma è ancora sotto sequestro per cui, per ora, è impossibile dire se la colpa del crollo sia dei vasi dell’architetto designer o del loft immaginato dal nuovo inquilino. Nulla esclude, almeno teoricamente, che le ragioni possano essere persino altrove. Ma a dover scommettere molti punterebbero su una combinazione tra il peso dei vasi e il taglio dei muri sottostanti, portanti o no. Due elementi figli del principio per cui in casa propria si fa sostanzialmente quel che si vuole. Ma per esser padroni, bisogna saper usare anche il cervello.

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