Cucchi: l’assolto alzò il dito medio. Per infilarlo a chi? A Ilaria, a Stefano?

di Riccardo Galli
Pubblicato il 6 Giugno 2013 - 13:52 OLTRE 6 MESI FA
Stefano Cucchi

Stefano Cucchi

ROMA – “Mentre dal fondo dell’aula qualcuno gridava ‘Vergogna!’ e ‘Assassini!’, qualcun altro tra i parenti degli imputati assolti e in festa reagiva alzando contro di loro il dito medio, nel più classico e volgare dei gesti offensivi”. Giovanni Bianconi, sul Corriere della Sera, racconta e descrive quel che è avvenuto alla lettura della sentenza del processo Cucchi. Racconta quel che le foto ritraggono. Tutti assolti, tranne i medici condannati con pena sospesa. Dolore e rabbia, comprensibili, da una parte. E gioia, altrettanto comprensibile, dall’altra. Condita però dal dito medio. Ma dito medio a chi? Ad Ilaria, sorella di Stefano Cucchi, forse finalmente messa a tacere? Alla Giustizia, magari “beffata”? O a Stefano stesso, “ucciso un’altra volta” come dicono i genitori? Al destino, al “circo” degli accusatori come un avvocato degli oggi assolti lo ha definito?

Quel dito medio alzato al centro della mano, che dal palmo della mano spunta a mostrarsi e a mostrare. Non sollievo e neanche soddisfazione. Ma sfida e dileggio. Dileggio non solo della parte avversa in giudizio ma del “nemico” battuto sul campo verso il quale infierire con un gesto è celebrare la vittoria.

E’, quella di Stefano Cucchi, comunque la si veda una brutta storia, una pagina nera non solo per la famiglia Cucchi ma per la Giustizia italiana, per lo Stato italiano. E questo a prescindere dalle sentenze e dall’esito dei processi. Che chi viene assolto festeggi, innocente o colpevole che sia, è normale e giusto, la prospettiva di andare in galera o di avere sulla coscienza e nella fedina penale una condanna non alletta nessuno. Ma qualsiasi cosa la Giustizia stabilisca e stabilirà in merito alle responsabilità nella morte di Stefano Cucchi, i fatti, che sono la cosa più importante, rimangono.

Rimane il fatto che Stefano è morto perché nei giorni dell’agonia voleva parlare con un avvocato, un suo diritto, e per ottenere questo ha rifiutato il cibo. Rimane il fatto che nei verbali dell’arresto risultava Stefano “senza fissa dimora”, nonostante la casa dove viveva con i genitori fosse stata perquisita, e per questo cavillo non gli sono stati concessi i domiciliari. E rimane anche il fatto che, nei giorni che ne hanno preceduto la morte, i genitori di Stefano hanno chiesto a lungo, invano, di poter vedere il figlio. Stabilire di chi siano colpe e responsabilità è un compito che spetta solo e soltanto alla magistratura. Ma per stabilire che in questa storia la Giustizia e lo Stato hanno perso, a prescindere dalle sentenze, non occorre aspettare alcunché. E questo perché lo Stato, la società, dovrebbe sì imporre che le leggi vengano rispettate a beneficio di tutti, ma proprio perché incaricato della tutela di tutti dovrebbe garantire anche la “sicurezza” di chi dallo Stato viene preso in custodia. Cosa che, evidentemente, nel caso di Stefano non è avvenuta.

Essendo questa, nella sua “semplicità”, la sostanza dei fatti, sempre più incomprensibile e ingiustificato appare quel dito medio. Quello che è un gesto idiota ma probabilmente istintivo, diventa analizzandolo una porta sulle peggiori pulsioni. La famiglia di Stefano non voleva vendetta, ma solo giustizia. Così come Giustizia, quella con la G maiuscola, dovrebbero volere anche gli imputati, e non rivalsa nei confronti delle persone che, certo non con gioia, li hanno portati in tribunale. Ma la voglia di vendetta da parte del “clan” degli assolti è solo un’ipotesi che possa spiegare il dito medio. Altre, e altrettanto idiote, possono essere le spiegazioni. “Vaffa…” ad Ilaria che da sempre lotta per arrivare ad avere giustizia. “Vaffa…” a Stefano che, dopo aver rotto le scatole da vivo, continua a farlo anche da morto. “Vaffa…” alla giustizia che non è riuscita a trovare i colpevoli, perché se c’è un morto ci dovrebbe essere anche qualcuno che lo ha ucciso. Quale che sia il destinatario del “Vaffa…”, lo spettacolo, che meglio si addice ad una curva che non ad un tribunale, è stato davvero pessimo.

Scrive ancora Bianconi:

“Il tutto a pochi metri dai resti di una famiglia in lacrime: padre, madre e sorella di Cucchi, talmente immersi nel riacutizzarsi del proprio dolore da non accorgersi nemmeno di un confronto a distanza consumato sulla loro disgrazia. Un’immagine orrenda, conseguenza di un processo dove lo Stato doveva giudicare se stesso e caricatosi di tensioni che dovrebbero rimanere fuori da un’aula di giustizia. Stavolta sembra invece che sia rimasta fuori la giustizia”.

E se i genitori e i parenti di Stefano non avessero colto i “vaffa” in tribunale, a riconsegnarglieli, seppur in forma metaforica, ci ha pensato Carlo Giovanardi, da sempre sostenitore dell’innocenza degli agenti che hanno avuto Cucchi in custodia, e a dire il vero fiero oppositore della sorella di Stefano “entrata – a suo dire – in politica sfruttando la morte del fratello”. Il senatore ha così commentato la sentenza: “Il tempo è galantuomo e ha fatto giustizia di pregiudiziali ideologiche, enfatizzate dai media, che attribuivano responsabilità agli agenti di custodia per un pestaggio mai avvenuto”. Secondo Giovanardi infatti Stefano sarebbe stato picchiato da alcuni non meglio specificati “amici spacciatori”, e la morte sarebbe poi avvenuta “perché debole”.