ROMA – E’ come un’auto, appena revisionata, su una strada dritta e lunga che porta sino al 2015 il governo Letta. Ma con un cadavere nel bagagliaio che va assolutamente scaricato perché, sulla strada, si possono sempre incontrare delle pattuglie. Forse un po’ macabro come esempio, ma è più o meno questa la condizione dell’esecutivo all’indomani del voto di fiducia. La fiducia c’è, la base politica, come il premier stesso e il Presidente della Repubblica hanno in modi diversi sottolineato, è più solida e diversa, ma Silvio Berlusconi è ancora a bordo.
“In Italia può succedere di tutto, anche niente”, disse Indro Montanelli, ed è questa la preoccupazione più grande che ora incombe su Enrico Letta. Il premier, intervenendo alla Camera dei Deputati dopo il voto in Senato, ha dichiarato l’autosufficienza politica del suo governo quale risultato della fiducia a palazzo Madama. E anche Giorgio Napolitano, in serata e con termini differenti, ha descritto un esecutivo che ha ora una base parlamentare più solida su cui poggiare. Ma autosufficienza da chi? Ovviamente da Silvio Berlusconi. Non tanto e non necessariamente dalla figura dell’ex premier, ma dei suoi continui ricatti sull’esecutivo, vedi Imu,Iva, Europa, e dalla deriva estremista e radicale che il suo partito aveva assunto fino a 5 minuti prima del voto di fiducia.
Aveva assunto, ed il passato è d’obbligo, perché con il coup de theatre del Cavaliere che alla fine si è piegato agli “alfani”, ai moderati del Pdl, tutto potrebbe essere cambiato. Berlusconi, è vero, ieri ha perso la faccia e l’ha fatta perdere a molti dei suoi, come il capogruppo alla Camera Renato Brunetta con il suo “sfiducia all’u-na-ni-mi-tà” , ed è uscito dalla giornata con le ossa politicamente rotte. Ha perso, straperso come mai avrebbe creduto ma non è uscito di scena. “Berlusconi tradisce Berlusconi, ormai non ci si può fidare più di nessuno”, scriveva ieri il blog satirico Spinoza.it. Ma col suo tradimento Silvio si è garantito una sorta di sopravvivenza politica sia pure in animazione sospesa.
Fuor di ogni metafora e cercando di tradurre in umano linguaggio il gergo guttural-iniziatico di cui si serve la politica: a Letta serve per arrivare al 2015 che la scissione del Pdl prosegua, si realizzi davvero. E invece questa scissione è già in freezer, congelata. A Letta servono i gruppi parlamentari “alfaniani” e invece Alfano ha bloccato questi gruppi, forse Alfano punta a restare nel Pdl, a prenderselo tutto. A Letta serve mostrare che la sua nuova maggioranza “politica”, cioè il poter governare senza Berlusconi, succede davvero. magari su una legge che Alfano i suoi appoggiano e Berlusconi e i suoi non appoggiano. E invece Berlusconi dal bagagliaio “dialoga” con Alfano come fa sapere Formigoni. A Letta serve respingere, battere un “ricatto” portato avanti dalla parte berlusconiana della “maggioranza numerica”. E invece maggioranza numerica e politica tendono a sovrapporsi di nuovo, appena 24 ore dopo lo strappo. A Letta serve mostrare al Pd che Berlusconi non è “come se non coi fosse” come con troppa superficialità pretenziosa dichiara D’Alema. A Letta serve mostrare che Berlusconi non c’è proprio. Altrimenti il Pd non ce la fa a governare altri 18 mesi con Berlusconi. A Letta serve scaricare il cadavere politico di Berlusconi dalla sua auto. Ma, se non lo scarica, quello è capace di alzarsi dal bagagliaio e accomodarsi sui sedili. Se non “scarica il cadavere” e pure in fretta, una pattuglia beccherà e fermerà Letta sull’autostrada 2015. Magari una pattuglia Pd.
Letta vorrebbe, e lo ha pubblicamente detto, che il suo orizzonte politico fosse ora il 2015, arrivare al governo sino a dopo il semestre europeo a presidenza italiana. L’appoggio dell’ala moderata del Pdl, dei cosiddetti “alfaniani”, conquistato dopo lo strappo dei falchi pidiellini e di Berlusconi, che si erano decisi a staccare la spina a Letta, glielo avrebbe reso sicuramente fattibile. E questo appoggio, che effettivamente oggi c’è, rappresenta quella strada, dritta e ben tenuta, dell’iniziale metafora.
Ma la missione non è compiuta perché l’ineffabile Berlusconi, quando ha capito con colpevolissimo ritardo che sarebbe finito fuori gioco, interdetto, non al governo e senza prospettive elettorali, ha cambiato idea. E sulla macchina del governo è rimasto, per quanto politicamente cadavere.
Letta ne è consapevole, e per questo spinge e spera affinché la scissione in casa Pdl si compia e si formino quei due distinti gruppi parlamentari che ieri sembravano cosa fatta. Ma sa, il premier, che probabilmente ora Angelino Alfano e i suoi non sono nelle condizioni ideali per sancire loro lo strappo. Silvio Berlusconi ha accettato, in definitiva, la loro linea. Motivo per cui potrebbero ora aspirare a prendersi tutto il partito cacciando i “falchi” e senza fuoriuscire loro. E poi un conto è rompere quando l’alternativa è una crisi frutto di una scelta estremista e radicale, altro è quando un’occasione simile non c’è.
Già il 4 ottobre, falchi e colombe, alfaniani e berlusconici, voteranno di nuovo uniti contro la decadenza del Cavaliere in giunta. Voto scontato, entrambe le correnti si riconoscono nel Capo e ne rivendicano l’assoluta innocenza. Ma se questa unità d’intenti che ieri sembrava finita si riproponesse anche altrove, come nella discussione sulla legge di stabilità? Sarebbe per Letta un ritorno al passato, come se le polemiche di questi giorni non fossero esistite, e sarebbe questa la famigerata pattuglia che il cadavere nel bagagliaio scopre.
Per viaggiare sereni, per arrivare sino al 2015 quel bagagliaio va svuotato. E se Berlusconi non creerà altre occasioni, rimanendo sui più miti condigli che ieri l’hanno portato a decidere per la fiducia, se Alfano e i suoi non faranno immediatamente i gruppi, qualcuno o qualcosa d’altro dovrà intervenire per completare la rottura e il cambiamento. Altrimenti, per usare le parole di Montanelli, finirà con “l’anche niente”.