Ricatto svizzero al confine: stop controllo evasori o stop tasse a Roma

di Riccardo Galli
Pubblicato il 15 Febbraio 2012 - 16:22 OLTRE 6 MESI FA

Controlli al confine svizzero (Ap-Lapresse)

LUGANO – Se non si possono nemmeno più portare i soldi in Svizzera dove andremo a finire… L’avranno pensata più o meno in questi termini i cugini elvetici quando si sono accorti che l’Italia aveva messo, vicino ai valichi frontiera, i temuti “fiscovelox”, strumenti che registrano le targhe della auto che vanno oltreconfine. E non l’hanno presa bene. O noi facciamo sparire questi strumenti che opprimono il mercato svizzero, o loro non verseranno più i contributi che devono al nostro paese per i lavoratori transfrontalieri, cifre stabilite e regolate da accordi internazionali. L’argomento, evidentemente, deve stargli molto a cuore.

Da qualche mese vicino ai valichi di confine con la Svizzera sono ricomparsi i cosiddetti “fiscovelox”: dispositivi che “leggono” le targhe dei veicoli in transito alla frontiera, per poi incrociarle con altri dati (a partire dalla dichiarazione dei redditi del proprietario) per fini di controllo fiscale. “La ricomparsa dei Fiscovelox denota la volontà, da parte italiana, di sabotare non solo la piazza finanziaria ticinese, ma anche quella commerciale, terrorizzando i cittadini della penisola che fossero intenzionati a fare acquisti in Ticino”, ha detto il consigliere nazionale Lorenzo Quadri, anche se lascia qualche dubbio il collegamento tra fiscovelox e una giornata di shopping. “All’Italia abbiamo fatto due richieste semplicissime. Stop ai fiscovelox, e l’apertura di un tavolo di trattativa. Dobbiamo prendere atto che nessuna delle due richieste ha avuto seguito”, osserva Attilio Bignasca, fratello del fondatore del movimento cantonale elvetico.

Tanto preoccupati ed infastiditi gli svizzeri che, pur di ottenere quello che vogliono, sono pronti a rompere accordi internazionali vecchi di quasi quarant’anni. E per farlo non hanno esitato a mettere in atto un vero e proprio ricatto: via i fiscovelox o niente soldi. E per essere credibili hanno già congelato la metà dei fondi che dovrebbero versare ai comuni di confine. Mettendo ovviamente i loro bilanci in seria difficoltà.

Dal 1974 infatti, un trattato sancisce che la Svizzera trattiene al 100% le tasse sui redditi dei lavoratori italiani, per poi “ristornarne” il 38.8% all’Italia che, sia pure con un anno abbondante di ritardo, provvede a girarli ai circa duecento comuni frontalieri delle province di Como, Varese e Verbania. E non si tratta di pochi soldi: lo scorso anno i ristorni dovuti erano pari a 57 milioni di franchi, circa 35/40 milioni di euro. Cifre che per dei piccoli comuni come quelli interessati significano molto. Ma le tensioni con l’Italia, che sembra essersi messa in testa di voler davvero combattere l’evasione fiscale, una novità assoluta, hanno spinto la Confederazione a congelarne su un fondo la metà. Risultato: comuni frontalieri in crisi di bilanci e pronti anche loro alla protesta.

Attilio Fontana, sindaco di Varese, è uno dei primi cittadini interessati dalla questione: “Abbiamo di nuovo perso una buona occasione per distinguere tra la lotta all’evasione e i rapporti di buon vicinato. Per contrastare gli evasori, ci sono mille sistemi. Non si capisce proprio perché innescare spirali ritorsive con la Svizzera”. Sarà, quello che non si capisce è perché cercare di contrastare l’espatrio illegale di capitali e l’evasione fiscale debba irritare un paese confinante. Trattandosi della Svizzera qualche idea potrebbe però venire.