Frontiere Ue: “Documenti prego…” Da 30 anni non succedeva

di Riccardo Galli
Pubblicato il 5 Gennaio 2016 - 15:10 OLTRE 6 MESI FA
Frontiere Ue: "Documenti prego..." Da 30 anni non succedeva

Frontiere Ue: “Documenti prego…” Da 30 anni non succedeva (foto Ansa)

ROMA ­ “Alt, controllo passaporti“. C’è, in Europa, un’intera generazione che mai si è trovata di fronte il cartello che preannunciava il controllo frontaliero. Una generazione che in Italia non ha mai sentito il poliziotto o il finanziere di turno pronunciare il fatidico: “Favorisca il passaporto…”. E una generazione che rischia ora, a breve e anzi è già in atto, di trovarsi a dover far di nuovo i conti con i controlli, le frontiere e i confini.

Svezia e Danimarca, dopo mezzo secolo, sono state le prime a ripristinare i controlli. Ma anche la Francia, con lo stato di emergenza proclamato dopo gli attacchi di novembre, ha fatto altrettanto. E anzi è notizia di questa mattina la convocazione per mercoledì, da parte del commissario dell’Unione Europea all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, dei ministri di Svezia, Danimarca e Germania per “un maggiore coordinamento” di fronte alla pressione migratoria. E’ infatti questa, la pressione migratoria, la ragione e il motore del ritorno alle frontiere.

E se Svezia e Danimarca sono state convocate in relazione alla decisione di ripristinare i controlli, la Germania si è fatta notare per le affermazioni del suo ministro degli Esteri, Frank ­Walter Steinmeier, che ha sottolineato come, dopo le scelte di Stoccolma e Copenaghen, l’accordo di Schengen e la libertà di circolazione in Europa “siano in pericolo”.

Così in pericolo che anche l’Italia, come anticipa Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, sarebbe pronta per reintrodurre i controlli. Limitandosi, almeno per ora, al confine più ‘esposto’ sul fronte migranti, e cioè quello che era la frontiera con la Slovenia.

“Nell’ultimo periodo è stato registrato un aumento degli arrivi in Italia dalla Slovenia – racconta la Sarzanini ­- Stranieri che, secondo il Viminale, non vengono registrati dalla polizia locale e decidono di entrare nel nostro Paese per trovare accoglienza. I dati parlano di un numero che oscilla tra i 300 e i 400 a settimana e tanto basta per destare allarme. Il timore è che la decisione presa dai Paesi del nord Europa ­ in particolare Svezia e Danimarca ­ possa far aumentare la ‘pressione’ in Italia. Anche tenendo conto della scelta della Francia di dichiarare lo «stato di emergenza» per tre mesi dopo gli attentati di Parigi e chiudere i confini. Di fronte a una ulteriore impennata degli ingressi l’Italia sarebbe costretta ad adeguarsi perché, viene sottolineato al ministero dell’Interno ‘alla fine rischiamo di dover pagare le conseguenze più gravi’. (…) La direzione Immigrazione della polizia ha predisposto un piano di intervento già consegnato al ministro Angelino Alfano. Prevede il ripristino dei controlli ai valichi terrestri e ferroviari con la Slovenia, lasciando invece libera la circolazione per quanto riguarda il traffico aereo. ‘Una misura straordinaria ­ chiariscono al Viminale ­ ma che diventerà operativa qualora dovessero aumentare gli ingressi e soprattutto continuare a mancare quel clima di collaborazione che era stato invece promesso nel corso dell’estate’”.

Schengen è in pericolo e con lui, come ha avvertito il ministro tedesco Steinmeier, lo è anche la libera circolazione in Europa. In pericolo anche perché, come certificano i numeri, è fallito il piano di redistribuzione dei migranti: 40mila in due anni i ricollocamenti annunciati e pianificati, 40mila persone che dalla Grecia e dall’Italia avrebbero dovute essere distribuite tra tutti i Paesi Ue e, dopo 3 mesi dagli annunci, ad essere partite dal nostro Paese sono state circa 200 persone.

Un fallimento che è la dimostrazione dell’inesistenza di una politica comune su un tema fondamentale come quello dei migranti e della pressione migratoria sui Paesi dell’Unione. Un fallimento che è dell’Europa tutta e che porterà, chi ha cominciato a viaggiare per il Vecchio Continente dalla seconda metà degli anni ’90 in, alla riscoperta di quella che era la norma per chi oggi ha almeno 40/50 anni, e cioè le code, i controlli, i timbri sul passaporto, le perquisizioni e tutte le altre abitudini di un controllo alla frontiera.