Giovanni Toti, un “uomo tondo” per Berlusconi. Per giocarci a Forza Italia

di Riccardo Galli
Pubblicato il 10 Gennaio 2014 - 14:05 OLTRE 6 MESI FA
Giovanni Toti, il nuovo coordinatore dei circoli di Forza Italia (foto Lapresse)

Giovanni Toti, il nuovo coordinatore dei circoli di Forza Italia (foto Lapresse)

ROMA – Giovanni Toti, chi era, anzi è costui? Direttore, anzi bi-direttore di casa Mediaset, e candidato in pectore a prendere il posto di Angelino Alfano nella neorinata Forza Italia. Sì, certo, questo è quello che di lui tutti o quasi, si fa per dire, sanno. Ma è questa il segmento ultimo, almeno per ora, della biografia del suddetto. Non l’inizio e nemmeno la cifra della sua ascendente parabola. Toti, detto “pupino” in contrapposizione al “pupone” Francesco Totti che di ‘T’, nel cognome, ne vanta due, è l’uomo “tondo” che piace a Berlusconi. Anzi, ai Berlusconi. Un uomo senza spigoli, come da definizione di Mattia Feltri su La Stampa, pronto alla mediazione, con una naturale tendenza all’accomodamento e all’accomodare. Esattamente quello che in un partito come Forza Italia, fatto dai vari “contundenti” alla Brunetta e Santanché, risulta essere un pesce fuor d’acqua. E non a caso la sua investitura sta incontrando non poche opposizioni. Ma sarà solo questione di tempo perché, come è noto, quando il Capo prende una decisione, poco o nulla contano le opinioni altrui. Poi il capo casomai la cambia la decisione o se la dimentica, ma questa è un’altra storia…

“Nessuno a Cologno ha da ridire su di lui – scrive Mattia Feltri su La Stampa -. ‘Smussa, attenua, compatta’, dicono. E questa è musica di violino per il Capo, che fuori dalla porta ha file di aspiranti beati, tutti che si accreditano come ultimo baluardo del berlusconismo contro subdoli nemici intestini: il che ha fatto di Forza Italia un partito di falchi tendenza avvoltoio. Una famelica propensione concentrata ora proprio su Toti, del quale i pretoriani forzisti dicono che è leggerino e senza esperienza e alla sua nomina a coordinatore organizzativo frappongono questioni burocratiche, e cioè convocazioni di assemblee, necessità di firme, cambi di statuto: robe però buone giusto a prendere tempo e a scocciare il Sire, che la sua decisione l’ha presa”.

Piace a Berlusconi Silvio, ma piace ai Berlusconi tutti. Piace a Marina, la figlia più volte indicata come erede politica e non solo filiale dell’ex Cavaliere, e piace a Pier Silvio che con lui, a Mediaset, lavora da tempo. Piace perché non crea problemi ma cerca di risolverli. Piace perché non rivendica pretese di carriera, e difficile sarebbe immaginare come potrebbe essere altrimenti visto che è già direttore di Studio Aperto e Tgcom. Piace perché frequenta Arcore, come tutti i direttori di casa Mediaset sembrano dover fare, ma lo fa in sordina. Piace perché segue il calcio, ma non urla. Piace perché capisce di politica, ragiona cioè con la sua testa, e produce idee non lontane da quelle ortodosse per i Berlusconi.

E piace perché è giovane, con i suoi 45 anni potrebbe quasi essere il nipote del Berlusconi capo. Così come piace perché come giornalista è docile col capo ma può vantare e rivendicare di essere cresciuto altrove. Ha cioè una sua dignità professionale costruita col lavoro ma che non gli impedisce di confezionare interviste non esattamente pungenti o speciali come “La guerra dei vent’anni”, quella guerra che la magistratura comunista avrebbe negli ultimi 4 lustri combattuto contro l’eroe della libertà Berlusconi cavalier Silvio.

Piace meno la sua buona forchetta e quel suo capello brizzolato a prova di tintura. Pancetta e capelli imbiancati sono, in casa Forza Italia, considerati alla stregua di una toga da magistrato ma, come scrive Feltri, “gli toccherà la dieta, lui che ama la buona tavola e lo dimostra sui fianchi, e poi gli toccherà sistemare le prime imbiancature di chioma: sulle questioni di fondo non si discute”.

Piace tanto e piace a tutti. Almeno a tutti quelli che contano e decidono in Forza Italia, altrimenti identificati con quelli che il cognome Berlusconi esibiscono sulla carta d’identità. Piace meno, invece, a quelli che un altro cognome portano e che, magari anche per aspirazioni personali, al ruolo di guida del nuovo-vecchio partito aspirano e/o aspiravano.

Oppongono questi alla scelta del Capo questioni di procedura e protocollo prima ancora che d’opportunità. E provano, i detrattori del pupino, a puntellare le loro tesi e i loro malumori con i sondaggi che non premiano la scelta di un uomo così pacato, così all’interno delle righe, così tondo e quindi così avulso dall’anima e dal carattere che ha ritrovato Forza Italia perdendo la sua componente alfaniana e vagamente istituzionale.

“Magari Toti non sarà mai il candidato premier da contrapporre a quel cannibale di Renzi, ma sarà senz’altro – invidie o no, burocrazia o no – il gestore del partito e soprattutto il depositario del simbolo. Basta lunghi coltelli, trabocchetti, miserabili delazioni. Basta con quell’aria mefitica perfettamente sintetizzata da Emilio Fede pochi giorni fa alla Zanzara: ‘Mi rode il c… per il successo di Toti’”. Il Sovrano ha deciso, gli eredi approvano e i cortigiani si adegueranno. Almeno sino alla prossima resa dei conti.

Uomo tondo, accomodante, non invadente, moderato nei toni e nei gesti, scalator di carriere ma senza strepiti e fanfare, attento sempre a non “fare l’onda”, intelligente e misurato di fronte e intorno al Capo e anche intelligente e misurato nel perimetro dell’azienda. L’identikit, insieme e contemporaneamente, di un vero manager e di un pollo di batteria.