Elezioni, dal 70% di No dei giovani al governo M5S/Lega e referendum 2

di Riccardo Galli
Pubblicato il 12 Dicembre 2016 - 13:19 OLTRE 6 MESI FA

Luigi Di Maio e Matteo Salvini

ROMA –Elezioni prossime venture: se continua così come va nei sondaggi e negli umori, va a finire con un governo 5Stelle, di minoranza, sorretto dall’appoggio esterno della Lega di Matteo Salvini. Un matrimonio che si celebrerà sulle note e sugli slogan di un altro ‘No’ e sulla promessa, impraticabile ma vai a sapere, di un altro referendum questa volta sull’euro.

Non è una scommessa, ma lo scenario più probabile che l’attuale panorama politico possa proporre alle prossima scadenza elettorale. Si voterà con una legge elettorale sostanzialmente proporzionale, quindi M5S ha la forte probabilità di risultare il partito di maggioranza relativa, con più seggi degli altri in Parlamento. Ma non tanti seggi da fare maggioranza che possa sostenere governo. A meno che…in nome del diritto del popolo italiano ad esprimersi e votare sull’euro, Salvini non possa usare questo argomento per portare i voti presi insieme con Berlusconi a sostenere un governo…Di Maio. E se non sarà così, sarà governo Pd-Forza Italia. Qui, solo qui porta una legge elettorale proporzionale, quel che oggi tutti più o meno v ogliono mentre il maggioritario (chi vince governa) è stato abbandonato come un cane morto.

Il governo Gentiloni che si va insediando ha, come suo mandato principale, quello di confezionare insieme al Parlamento una nuova legge elettorale che possa portare l’Italia al voto prima dell’estate. Se la scadenza per il ritorno alle urne è però “ballerina”, si può votare a giugno come a settembre come, anche se risulta decisamente più improbabile, arrivare al 2018, quello che è certo è che l’idea di votare con un Italicum modificato ed esteso al Senato o con due leggi differenti per i due rami del Parlamento è semplicemente irrealizzabile.

E allora, stando alle dichiarazioni e alle volontà delle forze che compongono l’attuale Parlamento, e non solo l’attuale e riconfermata maggioranza, appare abbastanza evidente che la legge elettorale che verrà sarà una legge dal carattere proporzionale. Lo vuole Forza Italia come una fetta di Pd, e lo vogliono tutti i partiti cosiddetti minori mentre, solo ora e solo il M5S sembra aver scoperto il fascino discreto del maggioritario detto Italicum dopo aver detto che l’Italicum era inganno, osceno inganno del popolo.

Quello che uscirà dalle urne con il proporzionale, stando ai precedenti delle ultime politiche come del referendum del 4 dicembre, sarà allora un risultato che vedrà il Paese sostanzialmente diviso in tre: un terzo dei voti circa al Pd o al cosiddetto centrosinistra ed un terzo a quello che era il centrodestra e che ora è un mosaico di forze più divise che unite e un terzo, probabilmente il più grande, ai 5Stelle. Una previsione corroborata dai dati riportati su Repubblica da Ilvo Diamanti secondo cui il 70% dei votanti tra 25 e 34 anni – secondo un sondaggio Demos-Coop – al referendum ha dato un segnale di rifiuto a Renzi perché dal governo non ha ottenuto la svolta che era stata promessa.

In altre parole è quasi una certezza che i grillini risulteranno alle prossime elezioni il partito di maggioranza relativa nel Paese e in Parlamento. Ma la maggioranza relativa, senza una legge che preveda un premio di maggioranza, non è una condizione sufficiente per governare. A meno che tutte le altre forze lo consentano attraverso l’astensione o, cosa più verosimile, a meno che qualcuno corra in soccorso dei pentastellati. Il sistema proporzionale è infatti quello che meglio si presta agli accordi post elettorali e, nel panorama italiano, chi potrebbe scoprirsi ad urne chiuse più vicino a Grillo e ai suoi di quanto ci si potesse aspettare? La risposta, dicono sondaggi ed analisti, è la Lega di Matteo Salvini. E questo perché i due movimenti hanno più di un tratto in comune ma, soprattutto, in comune hanno l’avversione all’euro e all’Europa. Su questo ‘No’ si potrebbe creare una nuova convergenza. E poco importa che il referendum sull’euro che Grillo e Salvini più volte hanno evocato sia soltanto una chimera per non dire una bugia.

Una bugia elettorale che paradossalmente proprio i due paladini dell’antipolitica versione anni ’90 e anni 2000 tanto stigmatizzano. In Italia infatti, come stancamente provano a ripetere polverosi giuristi inascoltati dalle piazze come dagli elettori, referendum sui trattati internazionali non si possono fare (e l’istituzione della moneta unica è avvenuta tramite trattato internazionale, come non si possono fare referendum propositivi. Nel nostro Paese, piaccia o no, gli unici referendum ammessi sono quelli abrogativi (ma solo sulle leggi nazionali) e quelli costituzionali.

Per cui, se davvero un i 5Stelle e/o la Lega volessero uscire dall’euro una volta al governo potrebbero ovviamente farlo, ma o tramite decisioni parlamentari senza consultazione popolare o, se davvero volessero l’opinione e il pronunciamento degli elettori, attraverso una modifica della Costituzione che riformi la materia referendaria. Ma questa è fanta-politica, o no? Sul carro del ‘viva il referendum sull’euro’ potrebbero salire e trovar spazio anche altri attori, che agli occhi puri dei grillini in nome di queste battaglie verrebbero mondati dal peccato originale di aver lavorato e flirtato con Silvio Berlusconi, come Fratelli d’Italia della Meloni. Una domanda: che farà in quel caso Sinistra Italiana-Sel che sospetta e diffida dell’euro, metterà il suo indiretto mattoncino a tener su il governo Di Maio?