Grecia deve 623 euro a italiano. Merkel a Tsipras: tra 5 giorni fine dei bluff

di Riccardo Galli
Pubblicato il 6 Febbraio 2015 - 12:26 OLTRE 6 MESI FA
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Lapresse

ROMA – La Germania sembra essere ancora una volta la più intransigente nel voler puntare sull’austerità prima di tutto. Ma se l’ipotesi della Grecia fuori dall’euro, tornata prepotentemente d’attualità dopo l’elezione di Alexis Tsipras, si realizzasse, non sarebbero Berlino e i tedeschi a rimetterci di più. Ogni cittadino greco ‘deve’ poco meno di 3.500 euro all’Italia, cifra che spacchettata fa sì che ogni italiano sia in credito per 623 euro nei confronti della Grecia.

In più, ogni anno maturano interessi per altri 22 euro ad italiano. Interessi che gli italiani pagano non incassano. Sono il costo del debito che l’Italia ha dovuto fare per ottenere i liquidi con cui ha fatto prestito alla Grecia, gli ormai noti 37 miliardi che Atene deve a Roma. In Germania, per dire, gli interessi ammontano a 17 euro annui a tedesco, circa il 20% in meno (i titoli di Stato tedeschi pagano meno interessi dei Btp italiani a chi li sottoscrive).

Ovviamente questo tipo di conteggio e divisione è puramente teorico in quanto si tratta di debito pubblico ed è quindi volutamente artificioso dividerlo come se si trattasse di debiti personali, ma nonostante questo le cifre servono comunque a dare una dimensione concreta, o tentare di farlo, ad un’eventuale uscita dall’euro di Atene. Perché va da sé che se la Grecia lasciasse alla fine la moneta unica, i crediti nei suoi confronti diverrebbero automaticamente pressoché inesigibili. E di conseguenza addio a quei 623 euro di cui sopra…Addio non solo virtuale: i suoi 623 euro perduti il contribuente italiano sarebbe chiamato inevitabilmente a ripagarli in forma di tasse, magari nascoste, magari diluite ma sempre da pagare.

Osservando la questione da un altro punto di vista si potrebbe ipotizzare allora che la Germania sia così dura perché ha meno da perdere, ma in realtà la posizione di Berlino è una posizione squisitamente politica e non frutto di calcoli spiccioli. Anche in sedi diverse e distanti da Berlino, il dibattito tra sostenitori e contrari all’austerità ha infatti origini antiche persino più dell’ultima crisi. Come racconta Stefano Lepri su La Stampa, già nel 2010 al Fondo Monetario Internazionale, cioè all’interno della cosiddetta Troika, c’era chi riteneva l’austerità ad ogni costo e le condizioni imposte ad Atene la strada sbagliata per uscire dalla crisi.

“Diversi esperti fin dall’inizio avevano giudicato troppo duro il programma imposto alla Grecia. Ad esempio è trapelato che nel 2010 erano di questa opinione diversi membri del consiglio di amministrazione del Fmi. Uno di essi, il rappresentante dell’India, aveva previsto con lucidità che cosa sarebbe accaduto nei 4 anni successivi: ‘una spirale deflazionistica di caduta dei prezzi, caduta dell’occupazione, caduta del gettito fiscale’. Allora gli Usa dettero retta agli europei; ora hanno cambiato idea”.

Gli Stati Uniti, poco dopo, hanno cambiato idea e i numeri dell’economia a stelle e strisce stanno dando ragione alla scelta. Ma mentre Berlino continua ad essere almeno apparentemente indisponibile a qualsiasi concessione ad Atene, Washington ha ora un motivo in più per caldeggiare soluzioni che consentano alla Grecia di restare nell’euro oltre quelli della semplice politica economica, e cioè ragioni di politica internazionale.

Il neo premer ellenico Tsipras ha conquistato la poltrona di primo ministro promettendo, in sostanza, migliori condizioni per il popolo greco finanziate per lo più attraverso una dilazione, comoda, del debito greco. E i greci lo hanno eletto anche perché, oggettivamente, le condizioni imposte sin qui ad Atene hanno avuto un prezzo altissimo per il popolo greco. Gli Stati Uniti, oltre ad essere per una diversa politica economica, temono ora che un’Atene scaricata da Bruxelles possa finire tra le braccia di Mosca o Pechino. Uno scenario che appunto, molto prima che per questioni di politica economica, preoccupa Washington per questioni strategiche.

Sorde anche a queste considerazioni, la Germania e la sua cancelliera Angela Merkel insistono nella loro dottrina, scelta su cui potrebbero incidere anche questioni di politica interna. Abbandonare la linea dell’austerità significherebbe infatti per la Merkel sconfessare se stessa e la politica economica dei suoi governi e, soprattutto, avrebbe la concreta possibilità di trasformarsi in una sconfitta per lei nelle urne.

Dopo anni però di “esce non esce”, e nonostante il ‘minestrone’ di pro e contro, di favorevoli alla trattativa ed ultras dell’austerità, è arrivato forse il momento della verità: di una scelta in qualche modo definitiva. Con l’elezione di Tsipras i greci hanno infatti comunicato che il tempo della politica ‘nell’euro ad ogni costo’ è finito, e forse incoscientemente visti i rischi potenzialmente devastanti per un paese che importa la maggior parte delle materie prime, si sono detti pronti al limite anche ad abbandonare la moneta unica. E questo è in fondo il mandato che hanno dato a Tsipras: o si ottengono migliori condizioni o ciao.

Il tempo per un accordo in un senso o in un altro è ora decisamente ristretto. Entro la fine di febbraio occorre infatti trovare almeno un compromesso temporaneo, o la situazione in Grecia potrebbe cominciare a deteriorarsi già in modo irrimediabile. Con una soluzione tampone come potrebbe essere un ‘programma ponte’ che consenta alla Banca centrale europea di fornire liquidità, si potrebbe ipotizzare di concedersi al massimo tre mesi per un accordo completo negoziato con più calma. Nel cosiddetto ‘dietro le quinte’ è facile immaginare che le trattative siano ad uno stato più avanzato ma, per ora, siamo alla dichiarazione del ministro delle finanze tedesco di ieri, che dopo l’incontro col collega greco ha detto: “Siamo d’accordo nel non essere d’accordo”.

Come racconta Federico Fubini su La Repubblica ci sono due possibili “contagi”. Uno finanziario e uno politico se la Grecia esce dall’euro per rigore teutonico o vi resta a condizioni targate Syriza. Il contagio finanziario è ovvio: Atene non rimborsa i suoi 300 e passa miliardi di debito. Non li rimborsa alla Bce, al Fmi e soprattutto ai paesi europei che hanno sostenuto con soldoni veri la Grecia in questi anni. Più di 250 miliardi sono stati prestati a tassi bassissimi alla Grecia e la restituzione giudicata “capestro” da Tsipras si allunga fino al 2057. Il contagio finanziario sarebbe un’epidemia sui mercati e nei portafogli pubblici e privati. Un’epidemia che ammala e affligge. Ma che si può curare e passa.

Il contagio politico sarebbe invece una pestilenza dagli esiti incerti. Se passa la linea Tsipras che i debiti non si pagano, allora saranno i contribuenti/cittadini/elettori di Spagna, Italia, Francia, Portogallo…a chiedere di fare altrettanto: rifiutare il debito. E nessuno potrà fermare l’onda di successi elettorali e conseguenti governi che chiederanno questo e scioglieranno di fatto l’euro e l’Unione Europea. Per questo la Merkel tutt’altro che sola nel dire a Tsipras: il debito si paga, magari più lentamente, magari con più aiuti alla Grecia, ma si paga.

E poi resta il fatto che della Grecia modello Tsipras moltissimi in Europa sono entusiasti. Ma tanto bene quale sia il modello Tsipras non è ancora chiaro. Se avrà respiro finanziario e risorse da allentamento del debito (e questo l’Europa a Tsipras è pronta a concederlo), vorrà anche allentamento sul deficit interno, insomma sulla spesa pubblica? Su questo punto la Grecia non ha una storia gloriosa: per anni hanno truccato i conti sul deficit e quei pochi che facevano i conti veri erano e sono considerati in Grecia “antipatriottici”. Per anni in Grecia il pagare le tasse è stata una stravaganza di pochi e andava bene a tutti fosse così. Per anni sono stati assunti dipendenti pubblici, alla fine più di un milione su 10 milioni di abitanti e per anni la loro retribuzione aumentava e aumentava così come cresceva la speculazione immobiliare. Il tutto alimentato da un deficit che la Grecia dichiarava al 6 per cento mentre era intorno al 15 per cento.

Insomma la diffidenza verso il modello greco non è senza fondamento: c’è evidente una gran voglia nel voto a Syriza di tornare alla Grecia “di prima”, di prima della intollerabile austerità. Ma non c’è in Grecia consapevolezza che a “prima” non si può tornare e non perché Merkel non voglia o Draghi non sborsi. Ma perché il”prima” è quello che ha portato all’oggi e se torni al “prima” ritorni pure all’oggi. In soldi e soldoni: se Tsipras vuole giustamente riattaccare la luce a chi non ha i soldi per pagare la bolletta faccia pagare una patrimoniale e chi in Grecia non l’ha mai pagata. E se avrà margini di bilancio incentivi manifatture per le quali la Grecia e un deserto e non riassuma impiegati statali, magari li riconverta in lavoratori produttivi. O anche questo è “agire contro il popolo”?

Appuntamento per tutti l’11 di febbraio al vertice dei governanti europei. A Tsipras la Merkel ha chiesto per allora di arrivare con un piano e con numeri precisi e con concrete richieste e relativi impegni. Se ci sono bluff, se qualcuno bluffa, ha cinque giorni ancora, poi dovrà scoprire le carte.