Imu mini per la Chiesa non basta, sacerdoti non vogliono pagare un euro

di Riccardo Galli
Pubblicato il 26 Novembre 2012 - 14:14 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La Chiesa come istituzione porta a casa una mini Imu per le sue scuole, ospedali e alberghi ma anche questo è troppo per i sacerdoti insegnanti e manager in carne e ossa che protestano e minacciano migliaia di licenziamenti. Altro che sopportare con devota rassegnazione, i sacerdoti di fronte ad una tassa che tutti pagano, per loro in versione light, puntano i piedi. E, in fondo ma con tutta evidenza, hanno un solo obiettivo: non pagare di Imu neanche un euro.

E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il regolamento che doveva far chiarezza, in ritardo e dopo due sentenze del Consiglio di Stato, sull’Imu alla Chiesa. Pubblicato, ma poco chiaro. Troppi e troppo vaghi i criteri per calcolare l’esenzione, motivo per cui già il Consiglio di Stato aveva bocciato un precedente testo sostanzialmente identico. Per il governo basta che l’attività non sia commerciale (non ci siano utili o questi siano reinvestiti) per non pagare l’imposta. Per l’Europa invece l’attività deve essere non economica, ovvero priva di costi e ricavi. Punto di vista sancito dalla giurisprudenza continentale e punto dolente per l’Italia che rischia diversi miliardi di multa da Bruxelles per aiuti di Stato, non consentiti, al Vaticano.

Eppure…“Per le nostre scuole è l’inizio della fine”, commenta padre Francesco Ciccimarra, presidente dell’Agidae (l’Associazione gestori istituti dipendenti dall’autorità ecclesiastica). La nuova norma “è assurda perché le scuole cattoliche non possono pagarla”, le altre evidentemente sì, visto che lo fanno e che padre Ciccimarra le esclude dalla sua tirata. La situazione, incalza il sacerdote, è addirittura drammatica: “Già da alcuni anni il settore è in crisi: le famiglie, specialmente al Centro-Sud, hanno difficoltà a pagare le rette, e gli Enti locali e lo Stato ritardano o riducono gli stanziamenti”. E “sono sempre di più le scuole che pagano gli stipendi in ritardo. La situazione era già così difficile che abbiamo siglato contratti di solidarietà con i sindacati per evitare di licenziare. E in alcuni casi le retribuzioni sono diminuite”.

Adesso la vicenda Imu “ci spiazza e ci costringe a chiudere i battenti: noi paghiamo 13 mensilità, più il Tfr e le ferie ai nostri insegnanti (e ci mancherebbe viene da aggiungere), com’è possibile pensare a rette simboliche o a prestazioni gratuite?”. Sono infatti queste due delle condizioni per accedere all’esenzione secondo la Gazzetta Ufficiale. D’altra parte, per quanto dai confini scivolosi, il regolamento appena pubblicato stabilisce o tenta di stabilire un criterio in teoria semplice, e cioè che se il servizio fornito è gratuito o comunque a buon prezzo (si dice “al di sotto della metà della media di mercato”) non si paga la tassa, se invece come una qualsiasi attività commerciale si fornisce un servizio a pagamento, come una qualsiasi attività commerciale si paga l’Imu. Semplice in teoria, difficile applicarlo con il regolamento appena redatto e ancor più difficile da far digerire alla Chiesa.

“Se chiudessimo domani tutte le nostre scuole – continua Ciccimarra – , lo Stato dovrebbe farsi carico della disoccupazione di 200 mila persone e fare spazio a un milione di alunni, per un costo di oltre 5 miliardi. Quello che recupera con l’Imu dovrà sborsarlo con gli interessi in altro modo”. Parole dure, anche troppo per un prete, soprattutto perché più che il sapore e il tono dell’analisi hanno quello della minaccia. Non c’è però da sorprendersi, è di pochi giorni fa quel politico, anzi amministratore locale, anzi rappresentante nazionale delle Province che annunciava: “Se ci tagliano i fondi spegniamo il riscaldamento ai bambini nelle scuole”. Gli scolari in ostaggio, le Province hanno fatto scuola, i sacerdoti manager si adeguano.

“Nun ce vonno sta”, non ci vogliono stare, si dice e si scherza a Roma di chi una sconfitta non sa gestire. Coro da stadio in questo caso perfettamente applicabile anche all’altra sponda del Tevere che nei confronti dell’Imu adotta esattamente lo stesso atteggiamento. Non c’è infatti nulla di anticristiano, anticlericale o scorretto nel far pagare le tasse alle scuole private, cattoliche o meno che siano, che offrono le loro prestazioni dietro lauto compenso. E’ casomai ingiusto e anche antistorico il contrario, cioè l’esenzione a prescindere per tutti gli edifici della Chiesa, compresi alberghi e scuole appunto. Nonostante questo però il governo ha comunque ritagliato una versione all’acqua di rose per le private cattoliche, ma non basta.

Il problema è che il governo e anzi l’Italia, sono in questo caso stretti tra incudine e martello, tra Vaticano ed Europa. Il primo non vuol pagare, la seconda vuole che tutti paghino le stesse tasse. Il Pdl difende San Pietro e le paritarie: “Fanno risparmiare allo Stato più di 5 miliardi”. Di Pietro attacca: “Nessun privilegio per il Vaticano, paghi l’Imu per gli edifici a uso commerciale”. Gli italiani, intanto, aspettano tra qualche settimana il saldo dell’Imu che loro sì devono pagare, a prescindere da preti ed Europa.